DAL BAROCCO AL JAZZ/ “Blues de l’Haitienne”: la John Papa Boogie Band in
concerto
Pubblicazione: venerdì 11 marzo 2016
Gianni Frasi
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Anche se il vostro chroniqueur scrive
soprattutto di lirica e di sinfonica , considera il jazz ed il blues ‘musica
alta’ non solo a ragione dei tre lustri passati negli Usa ma anche in quanto
cultore, ad esempio, del jazz di Šostakovic. Anche per questo motivo è
andato ad una sessione blues al Quirinetta di Roma nell’ambito di un programma
musicale intitolato “Dal barocco al jazz”.
Per chi non è romano, e per le
generazioni più giovani,il Quirinetta significa forse poco; non sanno che si
era pensato di trasformare in locale da fast food una delle più eleganti
piccole sale del centro storico.
La storia del Teatro Cinema
Quirinetta comincia con la trasformazione dei palazzi Sciarra alla fine del XIX
secolo, «trasformazioni innescate dalle nuove ipotesi urbanistiche sul tessuto
tra Fontana di Trevi e il Corso dai primi piani per Roma Capitale».
Il Principe Maffeo Sciarra si
impegnò in un piano di riorganizzazione dell’intero isolato tra via delle
Vergini, via dell’Umiltà, via delle Muratte e via del Corso. La prima concreta
conseguenza che riguarda il nostro argomento fu la costruzione del Teatro
Quirino nel 1871 (sala e palcoscenico completamente in legno); in seguito, nel
1882, il Quirino fu ricostruito su progetto dell’architetto De Angelis, al
quale si deve «l’orchestrazione del tono architettonico e urbano dell’intero
complesso». Il Quirinetta di Piacentini è stato ‘modernizzato’ con un bar in
fondo alla sala ed eliminando il delizioso palchetto, nonché ridipingendo il
tutto.
In questo contesto domenica 6
marzo si è inserito un concerto della blues band di John Papa Boogie nel quadro
di una tournée in varie città italiana. La John Papa Boogie Band «enigmatica e
misteriosa blues band di caratura europea» ha suonato e cantato per
due ore di musica all’insegna del loro suono firmato da Gianni Frasi, la
Voce “nera” del blues italiano ispirato a quello haitiano. Pubblico affezionato
anche se scarso; cantava e danzava all’unisono con la banda.
Il “Blues de l’Haitienne” è un
concerto celebrativo che dedica e devolve ad Haiti parte dell’incasso
della John Papa Boogie.
“Blues de l’Haitienne” nasce da
un’idea ispirata di Gianni Frasi, che è stato per anni ad Haiti. Una “visione”,
che Frasi afferma di dovere a quella terra e al suo popolo, il manifestarsi
della sacralità e della radicalità del segno musicale. I musicisti che
accompagnano Frasi hanno aderito a questa “visione” in nome dello Spirito che
gli dà Vita. Il suono, il sentimento di passione, il grido, il Mistero, sono
tutti nell’emozione dei loro concerti in Italia e in Europa.
Il recente microsolco della John
Papa Boogie, "Triduo", è stato presentato con ottimo riscontro alla
55esima Biennale di Venezia e con un concerto a Londra all’Electric Lane di
Market Row a Brixton, è il riflesso su vinile di questo grido mistico. Accanto
a Gianni Frasi, ci sono Antonio Piacentini e Leonardo Zago alle chitarre,
Gianmaria Tonin alla batteria, Marco Bosco al basso, Giorgio Peggiani
all’armonica, Simone Bistaffa al piano, organo e chitarra.
Ricordiamo che la band si era costituita,
quasi per scherzo, all’inizio del 1985, per esaudire un grande desiderio del
“giovane” Gianni Frasi che fin da adolescente portava segretamente con sé la
passione per il canto e una sconfinata attrazione per la musica nera dei grandi
padri del blues (Robert Johnson, Elmore James, Muddy Waters, Albert King e
Freddy King). In quella prima formazione faceva parte anche il chitarrista
Antonio Piacentini: l’incontro tra i due fu determinante, nacque subito un
sodalizio artistico e ininterrotto
Poche parole sul merito. In primo
luogo, l’originale è sempre meglio della copia: lo ricordammo raffrontando
l’estate scorsa quel capolavoro che Il Cimarron di Hans Werner
Henze al festival chigiano a Siena (dove il protagonista era un italiano
truccato da cubano) con l’edizione di alcuni anni fa al Lauro Rossi di Macerata
dove il protagonista era un baritono caraibico In secondo luogo,
difficile capire perché, a quel che si riusciva a comprendere, si cantasse in
inglese (e neanche in un inglese caraibico come quello di Barbados e Giamaica)
dato che ad Haiti si parla e canta in un créol di stampo
francese. In terzo luogo, in un piccolo ambiente ‘liberty’ non c’è bisogno di
amplificazione; tanto meno di amplificazione da stadio. Infine, non è stato
messo a disposizione del pubblico neanche un programma elencando i blues della
serata.
© Riproduzione Riservata.
BLUES E LIBERTY
Giuseppe Pennisi
Anche se il vostro choniqueur
scrive soprattutto di lirica e divsinfonica , considera il jazz ed il blues
‘musica alta’ non solo a ragione dei tre lustri passati negli Usa ma anche in
quanto cultore, ad esempio, del jazz di Šostakovic . Anche per
questo motivo è andato ad una sessione blues al Quirinetta di Roma nell’ambito di un programma musicale
intitolato “barocco al jazz”. Per chi non è romano, e per le generazioni più
giovani,il Quirinetta significa forse ; non sanno che si era pensato di
trasformare in locale da fast food una delle più eleganti piccole sale del
centro storico. La storia del Teatro Cinema Quirinetta comincia con la
trasformazione dei palazzi Sciarra alla fine del XIX sec., «trasformazioni innescate
dalle nuove ipotesi urbanistiche sul tessuto tra Fontana di Trevi e il Corso
dai primi piani per Roma Capitale».
Il Principe Maffeo Sciarra si impegnò in un piano di
riorganizzazione dell’intero isolato tra via delle Vergini, via dell’Umiltà,
via delle Muratte e via del Corso. La prima concreta conseguenza che riguarda
il nostro argomento fu la costruzione del Teatro Quirino nel 1871 (sala e
palcoscenico completamente in legno); in seguito, nel 1882, il Quirino fu
ricostruito su progetto dell’architetto De Angelis, al quale si deve
«l’orchestrazione del tono architettonico e urbano dell’intero complesso». Il
Quirinetta di Piacentini è stato ‘modernizzato’ con un bar in fondo alla sala
ed eliminando il delizioso palchetto, nonché ridipingendo il tutto.
In questo contesto domenica 6 marzo si è inserito un concerto
della blues di John Papa Boogie nel
quadro di una tournée in varie città italiana,. La John Papa Boogie «enigmatica
e misteriosa blues band di caratura europea» ha suonato e cantato per due ore di musica all’insegna del loro suono
firmato da Gianni Frasi, la Voce “nera” del blues italiano ispirato a quello
haitiano. Pubblico affezionato anche se scarso; cantava e danzava all’unisono
con la banda.
Il “Blues de
l’Haitienne” è un concerto celebrativo che dedica e devolve ad Haiti parte
dell’incasso della John Papa Boogie.
“Blues de l’Haitienne” nasce da un’idea ispirata di Gianni Frasi, che è stato
pervaso in Haiti. Una “visione”, che Frasi afferma di dovere a quella terra e
al suo popolo, il manifestarsi della sacralità e della radicalità del segno
musicale. I musicisti che accompagnano Frasi hanno aderito a questa “visione”
in nome dello Spirito che gli dà Vita. Il suono, il sentimento di passione, il
grido, il Mistero, sono tutti nell’emozione dei loro concerti in Italia e in
Europa. Il recente microsolco della John Papa Boogie, TRIDUO, è stato
presentato con ottimo riscontro alla 55ma Biennale di Venezia e con un concerto
a Londra all’Electric Lane di Market Row a Brixton, è il riflesso su vinile di
questo grido mistico. Accanto a Gianni Frasi, ci saranno Antonio Piacentini e
Leonardo Zago alle chitarre, Gianmaria Tonin alla batteria, Marco Bosco al
basso, Giorgio Peggiani all’armonica, Simone Bistaffa al piano, organo e
chitarra. Ricordiamo che la band si era costituita, quasi per scherzo,
all’inizio del 1985, per esaudire un grande desiderio del “giovane” Gianni
Frasi che fin da adolescente portava segretamente con sé la passione per il
canto e una sconfinata attrazione per la musica nera dei grandi padri del Blues
(Robert Johnson, Elmore James, Muddy Waters, Albert King e Freddy King). In
quella prima formazione faceva parte anche il chitarrista Antonio Piacentini:
l’incontro tra i due fu determinante, nacque subito un sodalizio artistico e
ininterrotto
Poche parole sul merito. In primo luogo, l’originale è
sempre meglio della copia: lo ricordammo raffrontando l’estate scorsa quel
capolavoro che Il Cimarron di Hans
Werner Henze al festival chigiano a Siena (dove il protagonista era un italiano
truccato da cubano) con l’edizione di alcuni anni fa al Lauro Rossi di Macerata
dove il protagonista era un baritono caraibico . In secondo luogo, difficile
capire perché , a quel che si riusciva a comprendere, si cantasse in inglese (e
neanche in un inglese caraibico come quello di Barbados e Giamaica) dato in
Haiti si parla e canta in un créol di
stampo francese. In terzo luogo, in un piccolo ambiente ‘liberty’ non c’è
bisogno di amplificazione; tanto meno di amplificazione da stadio. Infine, non
è stato messo a disposizione del pubblico neanche un programma elencando i
blues della serata.
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