sabato 12 gennaio 2013

Errori di strategia. E poco coraggio in Avvenire 11 gennaio



l’analisi Errori di strategia. E poco coraggio

Il «fiume di denaro» messo in campo per non far fallire la compagnia non ha portato ai risultati sperati per gli azionisti. Che pagano una mancanza di visione. E ora provano a sfilarsi


DI GIUSEPPE PENNISI

I greci parlavano di «nemesi storica». Che nesso c’è tra la convocazione per il 22 gen­naio del comitato esecutivo di Alitalia e l’i­naugurazione, lo stesso giorno, della stagione lirica a Palermo con «L’Oro del Reno» di Richard Wagner? Uno specialista di neuro-finanza, va­gamente scaramantico, mostra un libro di qual­che anno fa del musicologo Vincent Ramón Bisogni «Das Rheingeld- un fiume di denaro», in cui si descrivono i costi per realizzare la tetra­logia wagneriana. Se il management di Alitalia avesse saputo delle coincidenza (di cui si sorri­de amaramente all’interno della sede della com­pagnia) avrebbe forse scelto un giorno prima o uno dopo. Il «fiume di denaro» dell’opus wa­gneriano è analizzato accuratamente da Bisogni. Vediamo quello che concerne Alitalia.

Quando nel 2008, sull’onda di una campagna elettorale, si decise di non fare fallire la compa­gnia e di non cederla a prezzi ritenuti straccia­ti a AirFrance-Klm, si prese una decisione che è costata agli italiani 32 miliardi di euro – più del doppio dell’ultima Legge di Stabilità e quasi quanto il SalvaItalia. I conti preliminari della gestione 2009-2011 indicano un disavanzo complessivo di 565 milioni che (pare) giungerebbe a oltre un miliardo tenendo conto delle perdite 2012 (il consuntivo si deve fornire in maggio). Dato che «chi non ce l’ha, il coraggio non se lo può dare» (vi ricordati il Manzoni del liceo?), i dieci capitani che nel 2008 si sono as­sunti oneri ed onori della compagnia conclu­dono che, a fronte di tali perdite (e di prospet­tive ancora più nere per 2013-2014) la «disuti­lità marginale» di farsi coraggio è troppo alta. Tentano di sfilarsi (dato che ora lo possono). Pensavano che AirFrance-Klm (che ha il 25% delle azioni) sarebbe stata l’uscita di sicurezza, ma con 6,6 miliardi debiti, i franco-olandesi hanno fatto capire con non punterebbero nean­che un euro. Emirates Airlines, visti i conti, si è rivolta alla Mecca. Pregando. Si è cercato di fa­re l’occhiolino a Lufthansa che, a quel che si di­ce, non ha neanche voluto guardare i conti: era già al corrente dato che l’informazione va ve­loce nel mondo dell’aviazione civile.

Come mai la vicenda ha preso una pie­ga che fa parlare ancora una volta di possibili procedure fallimentari? La recessione internazionale ha causato difficoltà a tutto il settore. Al «destino cinico e baro», si sono aggiunti tre ordini di errori: 1) di visione. Si è puntato sul fa­re diventare un «campione nazionale quel che restava di Alitalia ed Air One». Roba del passato in un’epoca in cui il confronto è tra campioni europei ove non mondiali (aspetto che si applica an­che ad altri 'campioncini' italiani); 2) di strategia. Si sono messe le carte sul Roma-Linate-Roma , rotta «protetta» e quindi considerata un fiume di utili. È, invece, un fiume di perdite a ragione del­la concorrenza con l’alta velocità; 3) di tattica. Da scarsa attenzione alla pun­tualità alle frequenti cancellazioni alla recente caotica campagna di stampa e di marketing per gli «e-coupon» che pa­re abbia fatto perdere clientela fidelizzata pure a una nota agenzia internazionale di carte di credito, nonché servizi finanziari e turistici.

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