l’analisi Errori di strategia. E
poco coraggio
Il «fiume di denaro» messo in campo per non far fallire la compagnia non ha portato ai risultati sperati per gli azionisti. Che pagano una mancanza di visione. E ora provano a sfilarsi
Il «fiume di denaro» messo in campo per non far fallire la compagnia non ha portato ai risultati sperati per gli azionisti. Che pagano una mancanza di visione. E ora provano a sfilarsi
DI GIUSEPPE PENNISI
I greci parlavano di «nemesi storica». Che nesso c’è tra la convocazione per il 22 gennaio del comitato esecutivo di Alitalia e l’inaugurazione, lo stesso giorno, della stagione lirica a Palermo con «L’Oro del Reno» di Richard Wagner? Uno specialista di neuro-finanza, vagamente scaramantico, mostra un libro di qualche anno fa del musicologo Vincent Ramón Bisogni «Das Rheingeld- un fiume di denaro», in cui si descrivono i costi per realizzare la tetralogia wagneriana. Se il management di Alitalia avesse saputo delle coincidenza (di cui si sorride amaramente all’interno della sede della compagnia) avrebbe forse scelto un giorno prima o uno dopo. Il «fiume di denaro» dell’opus wagneriano è analizzato accuratamente da Bisogni. Vediamo quello che concerne Alitalia.
Quando nel 2008, sull’onda di una campagna elettorale, si decise di non fare fallire la compagnia e di non cederla a prezzi ritenuti stracciati a AirFrance-Klm, si prese una decisione che è costata agli italiani 32 miliardi di euro – più del doppio dell’ultima Legge di Stabilità e quasi quanto il SalvaItalia. I conti preliminari della gestione 2009-2011 indicano un disavanzo complessivo di 565 milioni che (pare) giungerebbe a oltre un miliardo tenendo conto delle perdite 2012 (il consuntivo si deve fornire in maggio). Dato che «chi non ce l’ha, il coraggio non se lo può dare» (vi ricordati il Manzoni del liceo?), i dieci capitani che nel 2008 si sono assunti oneri ed onori della compagnia concludono che, a fronte di tali perdite (e di prospettive ancora più nere per 2013-2014) la «disutilità marginale» di farsi coraggio è troppo alta. Tentano di sfilarsi (dato che ora lo possono). Pensavano che AirFrance-Klm (che ha il 25% delle azioni) sarebbe stata l’uscita di sicurezza, ma con 6,6 miliardi debiti, i franco-olandesi hanno fatto capire con non punterebbero neanche un euro. Emirates Airlines, visti i conti, si è rivolta alla Mecca. Pregando. Si è cercato di fare l’occhiolino a Lufthansa che, a quel che si dice, non ha neanche voluto guardare i conti: era già al corrente dato che l’informazione va veloce nel mondo dell’aviazione civile.
Come mai la vicenda ha preso una piega che fa parlare ancora una volta di possibili procedure fallimentari? La recessione internazionale ha causato difficoltà a tutto il settore. Al «destino cinico e baro», si sono aggiunti tre ordini di errori: 1) di visione. Si è puntato sul fare diventare un «campione nazionale quel che restava di Alitalia ed Air One». Roba del passato in un’epoca in cui il confronto è tra campioni europei ove non mondiali (aspetto che si applica anche ad altri 'campioncini' italiani); 2) di strategia. Si sono messe le carte sul Roma-Linate-Roma , rotta «protetta» e quindi considerata un fiume di utili. È, invece, un fiume di perdite a ragione della concorrenza con l’alta velocità; 3) di tattica. Da scarsa attenzione alla puntualità alle frequenti cancellazioni alla recente caotica campagna di stampa e di marketing per gli «e-coupon» che pare abbia fatto perdere clientela fidelizzata pure a una nota agenzia internazionale di carte di credito, nonché servizi finanziari e turistici.
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