IL CASO/ I
due "poli" per dare energia all’Italia
domenica 13 gennaio 2013
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Abbiamo sempre tenuto un occhio criticamente vigile
sul Governo “tecnico” presieduto da Mario Monti. Ora che la campagna elettorale
è iniziata, è il momento di mettere l’accento, sine ira et studio, su
due documenti, particolarmente importanti, lasciati in eredità al prossimo
Parlamento ed Esecutivo: a) la Strategia Energetica Nazionale; b) la riforma
delle fondazioni lirico- sinfoniche. Sono documenti di cui si è parlato poco,
anzi pochissimo, al di fuori di una cerchia molto ristretta di “addetti ai
lavori”, ma che meritano attenzione per l’attento lavoro che ha portato alla
loro redazione e per le proposte interessanti in essi contenute. C’è da
augurarsi che il prossimo Parlamento e il prossimo Governo, quale che sia la
maggioranza, ne tengano conto e prendano le misure del caso.
Oggi occupiamoci della Strategia Energetica Nazionale
(Sen); nei prossimi giorni, tratteremo dei teatri, anche in quanto sta
iniziando un periodo di “inaugurazioni” di “stagioni”. La Sen nasce da un
dispositivo del 2008, l’articolo 7 del decreto-legge n. 112 (convertito dalla
legge n. 133/2008). Allora era stato riaperto un dibattito sullo sviluppo
dell’energia nucleare a fine pacifici; esisteva una vasta congerie di norme che
prevedevano documenti di strategia in questo o quel comparto (energie
rinnovabili, la programmazione delle rete gas, la sicurezza degli
approvvigionamenti), ma non uno strumento complessivo che rendesse coerenti
questi vari elementi. La Sen, meno ambiziosa di un programma energico
nazionale, ma più operativa, è nata con questo scopo.
Occorre sottolineare non solo la buona qualità del
lavoro (che ha comportato uno stretto coordinamento tra le varie
amministrazioni e i numerosi enti interessati), ma il metodo. Tale metodo ha
comportato un vasto programma di consultazioni con tutti i soggetti interessati
al settore: produttori, rappresentanti delle varie categorie di utenti,
associazioni accademiche e professionali specialistiche (come quella degli
economisti di energia), sindacati, enti territoriali e via discorrendo. È stato
poi chiesto al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) di tirare
un po’ le somme e di fornire osservazioni e proposte a Governo e Parlamento.
Il lavoro del Cnel è molto avanzato, ma ancora debbono
essere effettuati alcuni passaggi formali. Dato che sono Consigliere
dell’organo sarebbe inappropriato che entrassi nel merito della Sen. Posso,
però, formulare, a titolo personale, alcuni punti di riflessione che possono
essere utili in questa fase “di attesa” prima dell’insediamento di un nuovo
Parlamento e Governo.
La prima riguarda la vocazione internazionale
dell’Italia in materia di energia. Si parla di una politica energetica europea
sin dagli anni Sessanta, ma neanche le crisi petrolifere degli anni Settanta
hanno contribuito alla sua formazione. Il trattato di Lisbona pone l’energia al
centro dell’attività europea e le conferisce una base giuridica che le mancava
nei precedenti trattati (articolo 194 del trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (Tfue)).
Gli strumenti di mercato (essenzialmente imposte,
sovvenzioni e sistema di scambio di quote di emissione di CO2), lo
sviluppo delle tecnologie energetiche (in particolare le tecnologie per
l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, o le tecnologie a basso
contenuto di carbonio) e gli strumenti finanziari comunitari sostengono
concretamente vari aspetti del comparto energetico. L’Ue ha inoltre adottato
nel dicembre 2008 una serie di misure il cui obiettivo è ridurre il suo
contributo al riscaldamento del clima e garantire l’approvvigionamento
energetico. Tuttavia, a livello europeo, si è nella situazione in cui si era in
Italia prima della Sen: numerosi documenti su aspetti del settore, ma nulla di
organico, complessivo, coerente e operativo.
La Sen contiene la proposta di trasformare il Paese in
un hub del gas sud-europeo al fine di accentuare competitività
ed efficienza. Tale proposta deve essere portata al resto dell’Ue ed essere
condivisa a livello comunitario. Potrebbe essere l’occasione per incidere sulla
Commissione e sui partner europei e andare verso una Sen-Ue basata su Sen
nazionali, come avviene per i Programmi Nazionali di Riforme (Pne). Anche se
non si crede nel valore contenutistico di tali piani, programmi e strategie,
essi hanno un importante valore simbolico, specialmente in un’Ue in cui da anni
si parla principalmente di moneta e di finanza e si tratta poco di economia
reale per la crescita.
La seconda riguarda il sistema di “governance” in cui
si accavallano numerosi livelli di governo e più di un’autorità indipendente,
ma si trascura il ruolo chiave, a livello locale, dei sindaci e dei consigli
comunali per giungere a decisioni condivise.
In effetti, occorre guadare a due livelli - da un
lato, all’Europa - quello più alto ma più distante -, dall’altro al Comune -
quello più vicino ai cittadini - per giungere a una Sen davvero operativa.
© Riproduzione Riservata.
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