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Dmitrij Šostakovič e quel "Naso" che fece irritare Stalin
mercoledì 30 gennaio 2013
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NEWS Musica
Il 27 febbraio, al Teatro dell’Opera di Roma, c’è la “prima” della nuova
edizione de “Il Naso" di Dmitrij Šostakovic, il compositore russo che, con
Igor Stravinskij, più ha influito sulla musica del Novecento. Lo spettacolo è
nato circa due anni fa a Zurigo con la regia di Peter Stein, le scene di
Ferdinand Wõgerbauer , i costumi di Anna Maria Heinrich e la coreografia di Lia
Tsolaki. E’ una messa in scena che, in repertorio a Zurigo, sta giustamente
facendo il giro del mondo.
In altre sedi ho ricordato che Dmitrij Šostakovic è stato ed è un
personaggio scomodo per ex-neo-post-comunisti. Tanto che nessun distributore ha
messo nelle sale il film Tony Palmer “Testimony” del 1987 tratto dalle memorie
di Šostakovi raccolte dal giornalista Solomon Volkov. Lo si vede però, di
tanto in tanto sul canale “Classica” di Sky. La vita e il percorso
artistico di Šostakovic sono una dimostrazione incontrovertibile delle estreme
difficoltà che l’intellettuale, anche un comunista convinto (come lui), ha alle
prese con il socialismo reale. Nato a San Pietroburgo, studia nella sua città
natale dove si accosta ai movimenti dell’avanguardia culturale incarnata da
Majakovskij, Mejer’hold, Prokof’ev . Cresce da comunista doc e il successo internazionale
delle sue tre prime sinfonie lo fanno diventare uno degli autori più ricercati
per la composizione di musiche da film (il cinematografo era agli inizi e il
Pcus ne aveva carpito l’importanza al fine di plasmare l’opinione pubblica). A
soli 24 anni divenne direttore del Teatro della Gioventù Operaia, il Malyi,
della sua città (il cui nome era, nel contempo, diventato Leningrado). Un
incarico che poteva essere attribuito unicamente a un fedelissimo del Partito.
In questo clima, nasce la sua prima opera, “Il Naso”, da un racconto di
Gogol del 1835, rappresentata con grande successo al Malyi il 18 gennaio 1930.
Un ritmo incalzante: 12 quadri in poco meno di due ore di musica. Nonostante
un’orchestra da camera, ben 60 personaggi in scena: 27 nel concertato settimo
quadro. Una partitura che fonde citazioni dalla grande tradizione classica con
musica di puro intrattenimento, jazz e un campionario di effetti
modernistici, quali intervalli esageratamente ampi, movimenti di scale, moti
pendolari, trilli, moti pendolari, canoni, artifici politonali. Ove ciò non
bastasse a sbigottire, le scene erano astratte e cubiste e la regia si ispirava
ai tempi velocissimi delle “comiche” del muto. Il pubblico, specialmente quello
più giovane, andò in visibilio. Ma la critica accolse il lavoro (così distante
dal realismo socialista che allora faceva i primi passi nell’estetica
ufficiale) freddamente.
Dopo 14 repliche all’insegna del tutto esaurito, al direttore del Malyi,
ossia a Šostakovic in persona, venne suggerita una pausa; l’opera venne ripresa
la stagione successiva, ma successivamente, un silenzio, nell’Unione Sovietica,
di ben 43 anni (nonostante venisse rappresentata all’estero, dove era giunta la
partitura, e considerata come uno di capolavori della musica del Novecento).
“Il Naso” riapparve sulle scene russe nel 1974, per iniziativa di una piccola
compagnia (in un cinema-teatro con appena 200 posti): il Teatro Musicale da
Camera creato e animato da Boris Provovskij. Il testo irritò Stalin: un alto
burocrate perde, all’improvviso, il proprio naso e si mette, quindi, a una sua
ansiosa ricerca nelle alte e nelle basse sfere della capitale (Palazzi, chiese,
uffici, botteghe, redazioni di giornali), scoprendone di cotte e crude. Il
sarcasmo surrealista si riferisce alle burocrazie di tutti i tempi, soprattutto
a quella bolscevica. La musica sgomentò l’ortodossia ancora di più: su un
impianto chiaramente slavo innesca jazz, atonalità, ritmi incalzanti (con forti
dinamiche timbriche), stili di canto estremi (dal parlato al sovracuto alla
polifonia). L’orchestra è snella, include strumenti inconsueti come la domra,
la balalaika, ed il flexaton e, in certi passaggi, deve riuscire ad evocate la
grande tradizione sinfonica ottocentesca.
E’ la quinta edizione che vedo. Nel 1966-67, l’opera (che circolava in
Germania e Francia in quanto trafugata all’estero), il Maggio Musicale
Fiorentino e il Teatro dell’Opera di Roma ne affidarono l’allestimento a
Edoardo De Filippo e a Mimo Maccari; il lavoro veniva dato in traduzione
ritmica italiana, perdendo il mirabile intreccio a tra parola e musica del
giovane Šostakovic, ma entusiasmando spettatori per la vis comica. Nel 1995, al
piccolo Teatro Caio Melisso di Spoleto, Roman Terleckyj e Steven Mercurio
offrirono per la prima volta in Italia l’opera in versione originale con un
cast internazionale (prevalentemente anglosassone): un allestimento
“surrealista” efficace, ma Šostakovic era un giovane comunista che aveva
aderito al movimento futurista. L’edizione di Provovskij si è a vista a Torino
e al Teatro Olimpico di Roma nel 2006 in occasione delle cerimonie per il
centenario dalla nascita del compositore e in varie città emiliane nel 2010; la
colsi a Torino e a Parma. L’allestimento di Provovskij (ormai deceduto da
tempo), leggermente ritoccato , è ancora molto valido; molto diverso da quello
del 1930 con pochi elementi mostra tutta San Pietroburgo e le sue atmosfere .
Affiatatissima la compagnia che lo canta, balla e recita almeno 50 volte l’anno
nel piccolo Teatro da Camera di Mosca. Nel 211 esplode l’allestimento grandioso
e tecnologico di William Kentrige, coprodotto dal Festival di Aix-en-Provence,
dall’Opéra National di Lione e dal Metropolitan di New York; lo colsi a Aix,
dove la bacchetta era affidata a Kuzushi Ono, uno dei migliori concertatori di
musica contemporanea. L’opera viene mostrata come “un manifesto della
modernità”.
Veniamo ora al mio quinto “Naso” goduto all’Opera di Roma dove, a ragione
della domenica sera (non propizia a una “prima”, specialmente di un’opera poco
conosciuta). Splendida la regia, le scene e i costumi; spettacolo
essenziale come quello di Provovskij (e quindi facilmente trasportabile),
con un uso sapiente della tecnologia. Eccellente la concertazione del giovane
direttore argentino Alejo Perez. Ottimo il vastissimo cast internazionale con
Paulo Szot nella veste di protagonista e nei ruoli minori molti russi
nonché italiani tra cui alcuni provenienti dall’organico stabile del coro.
Bravi ballerini e mimi. Insomma, da vedere e rivedere, augurandosi che se ne
possa fare un dvd..
© Riproduzione Riservata.
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