La riforma
dei teatri lirici
Mentre in Cina si stanno costruendo
cento teatri polivalenti per la concertistica e l’opera occidentale, e alle
porte dell’Italia, nel Tirolo, è stato appena inaugurato un modernissimo tempio
della musica, in Italia alcuni teatri rischiano di chiudere…
Scritto da Giuseppe
Pennisi | sabato, 5 gennaio 2013 · Lascia un commento
Orchestra e coro – Tiroler Festspiele – photo Tom Benz
Chiusura: è questo il destino di alcuni teatri italiani, almeno stando ai
commenti di qualche sovrintendente e sindacalista al nuovo ‘testo unico’ per la
lirica, varato dal Consiglio dei Ministri a fine dicembre e il cui iter
parlamentare verrà completato nei primi mesi della prossima legislatura.
La legislazione italiana si allinea a quella di stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia, dove la lirica non è la sorella povera dello spettacolo dal vivo ma una realtà vivace. Al pari di quanto avviene nei maggiori Paesi europei, si pone un vincolo al finanziamento dello Stato: una ‘fondazione’ dovrà coprire metà del bilancio con entrate proprie (biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da enti locali (Regioni, Province, Comuni), nonché apporto di soci privati.
Gli enti locali protestano di essere già troppo oberati: ciò, però, li costringe a decidere se utilizzare gli stanziamenti per la cultura a pioggia, se finanziare la fiera del carciofone o della patata rossa o se contribuire al ‘loro’ teatro, spesso un gioiello architettonico ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Ciò li costringerà anche a ‘mettere bocca’ nella programmazione, a cercare sinergie, ad attivare circuiti con istituzioni simili in Italia e all’estero. Chi non può o non vuole sostenere la propria fondazione lirica e non la sente radicata nella propria comunità, subirà un declassamento: la fondazione (con finanziamenti statali triennali) diventerà un ‘teatro di tradizione’ (con finanziamenti statali basati sul numero delle rappresentazioni effettive). I sovraintendenti strillano perché, conoscendo gli amministratori locali con cui hanno a che fare, temono il declassamento.
La legislazione italiana si allinea a quella di stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia, dove la lirica non è la sorella povera dello spettacolo dal vivo ma una realtà vivace. Al pari di quanto avviene nei maggiori Paesi europei, si pone un vincolo al finanziamento dello Stato: una ‘fondazione’ dovrà coprire metà del bilancio con entrate proprie (biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da enti locali (Regioni, Province, Comuni), nonché apporto di soci privati.
Gli enti locali protestano di essere già troppo oberati: ciò, però, li costringe a decidere se utilizzare gli stanziamenti per la cultura a pioggia, se finanziare la fiera del carciofone o della patata rossa o se contribuire al ‘loro’ teatro, spesso un gioiello architettonico ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Ciò li costringerà anche a ‘mettere bocca’ nella programmazione, a cercare sinergie, ad attivare circuiti con istituzioni simili in Italia e all’estero. Chi non può o non vuole sostenere la propria fondazione lirica e non la sente radicata nella propria comunità, subirà un declassamento: la fondazione (con finanziamenti statali triennali) diventerà un ‘teatro di tradizione’ (con finanziamenti statali basati sul numero delle rappresentazioni effettive). I sovraintendenti strillano perché, conoscendo gli amministratori locali con cui hanno a che fare, temono il declassamento.
Gustav Kuhn
Il punto debole è che non si prevedono incentivi europei per le deduzioni
dei contributi privati dall’imponibile. Nel resto d’Europa si aggirano intorno
al 30% dell’elargizione filantropica mentre in Italia si è al 19%. Inoltre il
testo unico prevede la sostituzione della contrattazione nazionale collettiva
con le contrattazioni di organizzazioni rappresentative dei singoli cori e
orchestre con ciascuna fondazione lirico-sinfonica. Ciò irrita i sindacati ma
ci avvicina all’Europa, dove in molti casi cori e orchestre hanno personalità
giuridica autonoma che negozia con i teatri.
Nel Tirolo è stato inaugurato un nuovo teatro. Gustav Kuhn, austriaco ma con una carriera molto italiana, è stato testardo tanto quanto Richard Wagner ed è riuscito a farsi costruire un teatro secondo le sue specifiche tecniche: una meraviglia architettonico-acustica. Sono bastati due anni per i lavori. Roba da far piangere in un’Italia dove il restauro del Teatro Massimo di Palermo ha richiesto 22 anni e quelli della Scala e della Fenice circa dieci anni. Il nuovo teatro, una struttura plurifunzionale adatta per la lirica, la prosa, la sinfonica e la cameristica, è stato inaugurato il 26 dicembre, in occasione della Festa di Santo Stefano, patrono dell’Austria. Vi era presente il Gotha della musica, della cultura, della politica e della finanza di mezza Europa. La costruzione è stata finanziata interamente da enti locali e soprattutto da sponsor privati.
Nel Tirolo è stato inaugurato un nuovo teatro. Gustav Kuhn, austriaco ma con una carriera molto italiana, è stato testardo tanto quanto Richard Wagner ed è riuscito a farsi costruire un teatro secondo le sue specifiche tecniche: una meraviglia architettonico-acustica. Sono bastati due anni per i lavori. Roba da far piangere in un’Italia dove il restauro del Teatro Massimo di Palermo ha richiesto 22 anni e quelli della Scala e della Fenice circa dieci anni. Il nuovo teatro, una struttura plurifunzionale adatta per la lirica, la prosa, la sinfonica e la cameristica, è stato inaugurato il 26 dicembre, in occasione della Festa di Santo Stefano, patrono dell’Austria. Vi era presente il Gotha della musica, della cultura, della politica e della finanza di mezza Europa. La costruzione è stata finanziata interamente da enti locali e soprattutto da sponsor privati.
Il Nabucco nel teatro tirolese di Gustav Kuhn – photo Tom Benz
La stagione inaugurale prevede Le Nozze di Figaro e Nabucco e
molti concerti. La serata del 26 dicembre è stata aperta da Il Castello del
Duca Barbablu di Béla Bartók, diretta da Kuhn, il quale, nella
seconda parte, ha passato la bacchetta a sei giovani maestri concertatori
addestrati in gran misura all’Accademia di Montegral nei pressi di Lucca. Una
sorpresa il finale: fuochi d’artificio nel bel paesaggio alpino in piena
sincronia con l’orchestra alle prese con Music for the Royal Fireworks
di Georg F. Händel.
Le Nozze di Figaro è stato presentato in costumi moderni poiché il suo messaggio è valido oggi tanto quanto ieri: vittoria di contessa e cameriera su un conte che vuole dormire nel letto che non gli è proprio. Molto interessante la direzione musicale del Nabucco: nulla di enfatico ma ‘belcantista’ con un soprano (Anna Princeva) di coloratura e un tenore (Alessandro Liberatore) di tessitura alta e morbida, quasi donizettiano. Come concepito da Verdi. Lineare la regia di Andreas Leisner: scena unica e costumi semplicissimi, distante dal colossal all’amatriciana di molte messe in scena.
Le Nozze di Figaro è stato presentato in costumi moderni poiché il suo messaggio è valido oggi tanto quanto ieri: vittoria di contessa e cameriera su un conte che vuole dormire nel letto che non gli è proprio. Molto interessante la direzione musicale del Nabucco: nulla di enfatico ma ‘belcantista’ con un soprano (Anna Princeva) di coloratura e un tenore (Alessandro Liberatore) di tessitura alta e morbida, quasi donizettiano. Come concepito da Verdi. Lineare la regia di Andreas Leisner: scena unica e costumi semplicissimi, distante dal colossal all’amatriciana di molte messe in scena.
Giuseppe Pennisi
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