IL RITORNO
DEGLI EUROBONDS
Giuseppe Pennisi
Si ritorna a
parlare di eurobonds, quando sembrava
che lo strumento fosse definitivamente scomparso. Sulla rivista Bancaria,un saggio di Francesco
Marchionne (Università Politecnica delle Marche- Nottingham Business School),
dal titolo obamiano ‘Eurobonds, Yes We Can!) ripropone gli eurobonds non solamente come
veicolo per facilitare l’uscita dalla crisi dell’economia reale che attanaglia
tutte le economie europee (lo documenta l’ultimo rapporto della Commissione) ma
anche come strada per andare verso l’unione bancaria tramite incentivi virtuosi
a darsi buone regole ed a seguirle. L’idea , afferma Marchionne, potrebbe
essere sperimentate a livello nazionale tramite garanzie mutue per alcune
tipologie di enti locali.
Indubbiamente, le prospettive non incoraggianti di crescita economica ripropongono il
problema di come risolvere il nodo del debito di alcuni Stati della zona euro
senza tentare di volta in volta di chiudere questo o quel buco, in un clima di
emergenza. 'Socializzando' parte dello stock di debito pubblico si abbasserebbe
il costo di rinnovo dei titoli per gli Stati ritenuti maggiormente a rischio, a
torto od a ragione, da parte dei mercati internazionali. E’ quindi naturale che
tornino sul tappeto proposte per l’emissione da parte della Banca centrale
europea di eurobond con cui
sostituire gradualmente parte dei titoli di Stato nazionali. Le recenti
proposte sul tappeto escludono Grecia, Irlanda e Portogallo dai beneficiari
degli eurobond perché i loro titoli sono classificati «junk» («spazzatura »)
dalle agenzie di rating. Spagna e Italia sarebbero, quindi, gli Stati
che trarrebbero eventualmente maggior vantaggi dalla loro attuazione. Non
possiamo aspettarci che una manna europea cada dal Cielo per risolvere i
problemi che ci siamo creati con le nostre mani. Gli eurobond saranno probabilmente in discussione ad uno dei prossimi
vertici europeiLe nuove proposte prendono in gran misura il via dal progetto 'stability bonds' presentato circa due anni fa in un 'Libro Verde' della Commissione Europea. Nel documento venivano delineate numerose variazioni. L’alternativa più prudente prevedeva emissioni congiunte di nuove obbligazioni con garanzie parziali di ciascun emittente, che resterebbe comunque responsabile per lo stock in essere. Quindi la trasformazione da debito nazionale a debito europeo sarebbe stata molto graduale con almeno due tipologie coesistenti. La più ambiziosa delle tre proposte formulate all’inizio di aprile è stata predisposta dal Centro Studi di Bruxelles Bruegel. Il debito pubblico verrebbe diverso in due aree: titoli 'blue' e titoli 'rossi'. I titoli 'blu' (al di sotto del 60% del Pil di ciascun Stato della zona euro) verrebbero gradualmente socializzati mentre quelli 'rossi' resterebbero responsabilità dei ministeri dell’Economia. In pratica, la fascia 'blu' diventerebbe pari a 5.500 miliardi di euro; ciò creerebbe un vasto mercato europeo di titoli di Stato affidabili. Potrebbe essere, però, un boomerang: i titoli 'rossi' verrebbero considerati tossici e tali da infettare chi li detiene, mandando i tassi d’interesse di questi ultimi alle stelle. Più moderato il programma delineato dal servizio studi della Rabobank olandese: un programma quadriennale per finanziare essenzialmente Italia e Spagna con titolo biennali garantiti dall’insieme dell’eurozona; è prudente, forse troppo, ma consente un alleggerimento della posizione degli istituti finanziari (degli Stati maggiormente interessati dando loro attivi sicuri e solidi) e se necessario può essere esteso a titoli quinquennali e decennali ed avere una maggiore durata di applicazione. Allora, il Comitato dei consiglieri economici del Cancelliere tedesco avrebbe utilizzato gli eurobond per sostituire i debiti che eccedono il 60% del Pil – un mercato di 2.300 milioni di euro – secondo uno schema venticinquennale. Lo proporrebbe ancora oggi dopo la ‘chiara sconfitta’ del Governo federale alle elezioni in Bassa Sassonia?
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