mercoledì 23 gennaio 2013

E Palermo investe su Wagner in Avvenire del 24 gennaio



E Palermo investe su Wagner


DA PALERMO GIUSEPPE PENNISI I l Teatro Massimo di Palermo – u­nico in Italia a chiudere i conti in attivo da sette anni – ha deciso di celebrare il bicentenario wagneriano con un impresa da far tremare i pol­si: un nuovo allestimento del Ring ( L’anello del Nibelungo), un 'prologo' e 'tre giornate' (per complessiva­mente 15 ore di musica) da realizzar­si in una sola stagione: due opere al­l’inizio dell’anno e due alla fine. Di re­cente, la Scala, Firenze , Venezia, Ca­tania ed anche Bari hanno messo in scena il Ring, al passo di un’opera per anno. Al termine di un’intrapresa ini­ziata nel 2010, La Scala presenterà due cicli dell’intero Ring in giugno.

Grande, quindi, l’attesa per questa e­dizione tanto più che a Palermo il Ring mancava del 1970-71 quando venne 'importato' (sull’arco di due anni) da Ginevra. L’altra sera, quindi, 'prima' da grande occasione, con il ministro Ornaghi e numerosi critici anche stra­nieri. Il prologo ( L’oro del Reno) è un atto unico di due ore e mezzo: quat­tro scene dove si narra come gli elfi neri e gli elfi bianchi della mitologica germanica tradiscano pure le proprie regole per impadronirsi dell’anello che dà potere assoluto. Una premes­sa in un mondo di Dei, nani e gigan­ti (tutti truffaldini) che apre il sentie­ro che porterà, nella quarta opera, al

Crepuscolo degli Dei
con la promessa di un mondo migliore. Nell’accostar­si al Ring, ad alle altre opere di Wa­gner (compose meno di 50 ore di mu­sica) occorre rammentare che l’auto­re era un luterano praticante (con qualche vena di buddismo in tarda età) e che da giovane aveva composto una cantata sull’Ultima Cena ed ha lasciato libretti di un’opera su Gesù di Nazareth e di una sulle rinunce di Budda.

L’allestimento è stato affidato a Graham Vick il quale una diecina di anni fa, a Lisbona, ha affrontato le quattro opere ambientatole in un cir­co e venti anni fa ne realizzato, con il musicista Jonathan Dove, un’edizio­ne ridotta (in 9 ore) a Birmingham (ri­proposta in autunno a Reggio Emilia) ispirata ai mélo televisivi. Difficile a­spettarsi che Vick cogliesse gli aspet­ti cristiani di una musica le cui battu­te iniziali raffigurano la creazione del mondo e di un testo in cui la volontà di potenza è il peccato originale che porta il Pantheon politeistico alla pro­pria distruzione. Anche se l’azione è attualizzata ai giorni nostri, si ispira al teatro greco; ne L’oro del Reno più al­la commedia di Aristofane che ai tra­gici. Molto curata la recitazione e tan­te idee brillanti in scena, ma si resta un po’ freddi. Vedremo Vick come di­panerà il seguito, da quando, nella se­conda opera ( La Valchiria ) uomini e donne diventano protagonisti ed il contrasto con i 'vecchi Dei' (e tra que­sti ultimi) cresce. Sotto il profilo musicale, puntuale, ma dilatata, la concertazione del giovane promettente Pietari Inkinen con tem­pi lunghi, specialmente nell’ultimo quadro. I 14 solisti sono tutti buoni attori; nel gruppo femminile spicca­no la Fricka di Anna Maria Chiuri e la Erda di Cerl Williams. In quello ma­schile il Loge di Will Hartmann. Stan­co, o non in buona serata, il Wotan di Frans Hawlate.

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Il Massimo lancia la colossale produzione del «Ring» con la regia di Vick. Ma «L’oro del Reno» vira in commedia



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