L’utilizzo dei derivati?
Come la magia nera La tesi dell’antropologo
irca un anno fa, l’economista Paolo Savona pubblicò un libro, divertente e non affatto banale: «Eresie, Esorcismi e Scelte Giuste per Uscire dalla Crisi: Il caso Italia» (Rubettino). In parole povere il saggio, di facile lettura, avvertiva che così come la crisi era nata da alchimie finanziarie , non potevano certo essere alchimie di politica economica a rimetterci in sesto. In questi giorni, negli Stati Uniti, un libro sull’antropologia della crisi rafforza il punto centrale del ragionamento di Savona: la natura della crisi non è né finanziaria né economica ma antropologica, con la conseguenza che per uscirne occorre soprattutto sapere come si comporta l«’homo sapiens». È la tesi di «The Anthropology of the Credit Crisis: Magical Thinking, Irrationality and the Role of Inequality» dell’antropologo americano Niccolç Leo Caldararo, docente alla San Francisco State University e noto per studi sui riti magici (o ritenuti tali) di tribù primitive. Nell’ormai lontano 2005 Caldararo creò un certo scalpore nella comunità finanziaria con una lettera al Financial Times in cui comparava i derivati alla magia nera e sosteneva che si basavano su un imbroglio: facevano credere ai risparmiatori di essere uno strumento di assicurazione contro mentre, invece, lo acuivano. Secondo Caldararo, dai tempi dei tempi i «vertebrati» cercano di diminuire il rischio andando alla caccia di tanti animali non di uno o due come fanno gli invertebrati.
Secondo i suoi, ciò avveniva già nel Neolitico. Da 2,5 milioni di anni gli uomini e da a 200,000 anni quella specie umana che è l’homo sapiens ha seguito strategie analoghe di sopravvivenza. Affinate negli ultimi 10.000 anni, ossia da quando si ha notizia di comunità sedentarie. In effetti, a detta di Calderaro, la strategia di sopravvivenza è rimasta immutata nei millenni ed alla base di boom e crisi economiche finanziarie. Non ne sappiamo molto di più dei boscimani.
Giuseppe Pennisi
Come la magia nera La tesi dell’antropologo
irca un anno fa, l’economista Paolo Savona pubblicò un libro, divertente e non affatto banale: «Eresie, Esorcismi e Scelte Giuste per Uscire dalla Crisi: Il caso Italia» (Rubettino). In parole povere il saggio, di facile lettura, avvertiva che così come la crisi era nata da alchimie finanziarie , non potevano certo essere alchimie di politica economica a rimetterci in sesto. In questi giorni, negli Stati Uniti, un libro sull’antropologia della crisi rafforza il punto centrale del ragionamento di Savona: la natura della crisi non è né finanziaria né economica ma antropologica, con la conseguenza che per uscirne occorre soprattutto sapere come si comporta l«’homo sapiens». È la tesi di «The Anthropology of the Credit Crisis: Magical Thinking, Irrationality and the Role of Inequality» dell’antropologo americano Niccolç Leo Caldararo, docente alla San Francisco State University e noto per studi sui riti magici (o ritenuti tali) di tribù primitive. Nell’ormai lontano 2005 Caldararo creò un certo scalpore nella comunità finanziaria con una lettera al Financial Times in cui comparava i derivati alla magia nera e sosteneva che si basavano su un imbroglio: facevano credere ai risparmiatori di essere uno strumento di assicurazione contro mentre, invece, lo acuivano. Secondo Caldararo, dai tempi dei tempi i «vertebrati» cercano di diminuire il rischio andando alla caccia di tanti animali non di uno o due come fanno gli invertebrati.
Secondo i suoi, ciò avveniva già nel Neolitico. Da 2,5 milioni di anni gli uomini e da a 200,000 anni quella specie umana che è l’homo sapiens ha seguito strategie analoghe di sopravvivenza. Affinate negli ultimi 10.000 anni, ossia da quando si ha notizia di comunità sedentarie. In effetti, a detta di Calderaro, la strategia di sopravvivenza è rimasta immutata nei millenni ed alla base di boom e crisi economiche finanziarie. Non ne sappiamo molto di più dei boscimani.
Giuseppe Pennisi
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