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giovedì 24 gennaio 2013
Le stregonerie del Monte dei Paschi di Siena inFormiche del 25 gennaio
Le stregonerie del Monte dei Paschi di Siena
25 - 01 - 2013
Giuseppe Pennisi
In questi ultimi giorni si sta leggendo molto sulla stampa quotidiana di vicende che riguardano il Monte dei Paschi di Siena. Per interpretarle, però, occorre fare riferimento alla teoria ed alla metodologia economica. Per decenni, la teoria è stata dominata dalla
‘market efficiency hypothesis’
come formalizzata da Eugene Fama dell’Università di Chicago, ma già sviluppata in embrione attorno al 1860 da Jules Regnault e Louis Bachelier per spiegare l’andamento della
Bourse
di Parigi.
Secondo la modellizzazione di Fama, in estrema sintesi, il mercato è il miglior e più spedito fornitore di informazioni; quindi i prezzi di mercato riflettono il valore di titoli nel mondo più accurato e al momento in cui avviene la transazione. Inoltre, già negli anni Trenta e Quaranta, Alfred Cowles aveva dimostrano che gli investitori di professione non riescono a gestire meglio del mercato.
Questo edificio ha cominciato a traballare con le crisi debitorie, e di debito sovrano, della fine degli Anni Ottanta (America Latina) e della metà degli Anni Novanta (Asia). Dal 2007 (crisi dei mutui
suprime
) è in serie difficoltà. Lo sta soppiantando l’’economia comportamentale’ o ‘neuroeconomia’. Secondo questi paradigmi interpretativi, il Monte dei Paschi si sarebbe rivolto agli stregoni per tappare buchi comprando derivati. Circa un anno fa, l’economista Paolo Savona (uno dei pochi italiani che si è interessato a questi temi) pubblicò un libro, divertente e non affatto banale:
Eresie, Esorcismi e Scelte Giuste per Uscire dalla Crisi: Il caso Italia
(Rubbettino). Viene tardivamente presentato il primo febbraio al Club Canova. In parole povere il saggio avvertiva che così come la crisi era nata da alchimie finanziarie (quali quelle che sembrano aver travagliato il Monte dei Paschi), non potevano certo essere alchimie di politica economica a rimetterci in sesto.
In queste settimane, negli Stati Uniti, un libro sull’antropologia della crisi rafforza il punto centrale del ragionamento di Savona e fornisce una lettura interessante di quanto pare sia avvenuto a Siena: la natura della crisi non sarebbe né finanziaria né economica ma antropologica, con la conseguenza che per uscirne occorre soprattutto sapere come si comporta l«’homo sapiens».
È la tesi di
The Anthropology of the Credit Crisis: Magical Thinking, Irrationality and the Role of Inequality
dell’antropologo americano Niccolò Leo Caldararo, docente alla San Francisco State University e noto per studi sui riti magici (o ritenuti tali) di tribù primitive. Nell’ormai lontano 2005 Caldararo creò un certo scalpore nella comunità finanziaria con una lettera al
Financial Times
in cui comparava i derivati alla magia nera e sosteneva che si basavano su un imbroglio: facevano credere ai risparmiatori di essere uno strumento di assicurazione contro mentre, invece, lo acuivano.
Secondo Caldararo, dai tempi dei tempi i
vertebrati
cercano di diminuire il rischio andando alla caccia di tanti animali non di uno o due come fanno gli invertebrati. Secondo i suoi studi, ciò avveniva già nel neolitico. Da 2,5 milioni di anni gli uomini e da a 200,000 anni quella specie umana che è
l’homo sapiens
ha seguito strategie analoghe di sopravvivenza. Affinate negli ultimi 10.000 anni, ossia da quando si ha notizia di comunità sedentarie. In effetti, a detta di Calderaro, la strategia di sopravvivenza è rimasta immutata nei millenni ed alla base di boom e crisi economiche finanziarie. Non ne sappiamo molto di più dei boscimani.
La Repubblica di Siena era nota come terra di strega; nel 1427, il francescano San Bernardino da Siena tenne a Roma una serie di seminari in materia tratti da episodi che sarebbe avvenuti proprio in quei luoghi. Vogliamo dire che mandata in pensione
‘market efficiency hypothesis’
nella Rocca si sia tornati alle prassi del Medio-Evo?
Non è da escludere, ma il quadro più probabile è che cercato di parere questo e quello, non fidandosi più della vecchia teoria di Fama, siano caduti in credenze relative ai rendimenti dei derivati. Perché lo hanno fatto è spiegato in un lavoro di Kirstin Hubrich (Banca centrale europea) e Robert J. Tetlow (Federal Reserve Board che probabilmente a Piazza del Campo e dintorni nessuno ha letto – il FEDS Working Paper N0. 2012-82 – in cui si spiegano le dinamiche economiche dello stress finanziario e la trasmissione delle crisi.
Forse non è stata neanche letta, in quel di Siena, la recente rassegna delle teorie sulla crisi finanziaria pubblicata da Assaf Razin dell’Università di Tel Aviv e da Itay Godstein dell’Università della Pennsylvania. In breve , tutti i maggiori istituti finanziari si sono trovati, dal 2007, con doti più o meno importanti di titoli spazzatura e tossici. Molte hanno rallentato il flusso di finanziamenti per ripulire i loro portafogli, come documentato da Olivier Jeanne di Johns Hopkins University e Anton Korinek dell’Università del Maryland (NBER Working Paper No. W18675) .
Ciò spiega ad esempio perché tante banche europee, ed italiane, non hanno utilizzato per prestiti ad imprese le obbligazioni ottenute dalla Bce o da programmi speciali come i ‘Tremonti Bonds’. Richard Koo, Chief Economist del Nomura Research Institute, ha documentato come ormai l’obiettivo di banche e banchette non sia quello di
massimizzare l’utile
, ma di
minimizzare il proprio indebitamento
al fine di ripulire i loro cassetti.
Da quello che si legge navigando su Internet (per quanto si possa dire della affidabilità della fonte) il Monte ha invece operato (almeno in apparenza) in controtendenza, espandendo le loro linee creditizie, sviluppando nuovi strumenti, attirando nuove categorie di clienti. Ciò dava l’impressione che, anche a ragione delle pressioni che si hanno in un istituto essenzialmente ‘locale’, manteneva un atteggiamento più ‘positivo’ di altri istituti ed aveva già completata l’operazione di ripulitura. Ora, pare che non sia stato così.
Forse i fantasmi delle vecchie fattucchiere si aggirano ancora nella Rocca. Se nei loro quattro passi per il Monte hanno indotto a reati, la questione non riguarda più gli economisti. Ma i procuratori.
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