venerdì 18 gennaio 2013

Quanto è british il Falstaff alla Scala in Milano Finanza 19 gennaio



Quanto è british il Falstaff alla Scala
di Giuseppe Pennisi

Dopo oltre trent'anni, il Teatro alla Scala di Milano ha mandato in pensione il Falstaff di Verdi nell'edizione Maazel-Muti-Strehler. Il nuovo allestimento, coprodotto con il Covent Garden e la Canadian Opera, in scena fino al 12 febbraio, è molto differente dalle versioni tradizionali che pongono l'accento sugli aspetti marcatamente farseschi dell'ultimo capolavoro del compositore.
http://www.milanofinanza.it/artimg/2013/014/1807927/1-img131417.jpgPiù ancora che la trasposizione dall'epoca elisabettiana alla metà del Novecento in Gran Bretagna (declino dell'aristocrazia e ascesa di ceti borghesi ad alto reddito) è la direzione musicale di Daniel Harding a marcare il segno. Più vicina a quella di un indimenticabile edizione di Giulini che a Maazel-Muti, con il braccio sinistro largo e la bacchetta scattante nel destro, Harding scava nelle parti liriche e nostalgiche, non dimenticando i momenti ironici (più che comici). Falstaff è la riflessione serena di un ottuagenario che riguarda alla propria esperienza di vita e a una vasta gamma di rapporti di coppia e relazioni sociali. Lo assecondano bene l'orchestra e il cast. La partitura recupera matrici antiche come la polifonia ma anticipa il chiacchierar cantando del Novecento. Ambrogio Maestri è forse il miglior Falstaff su piazza, ottime le comari (Carmen Giannattasio, Daniela Barcellona, Laura Polverelli) e deliziosi i giovani innamorati (Francesco Demuro e Irina Lungu). Nel numeroso gruppo maschile spicca Fabio Capitanucci. La regia di Robert Carsen (elegantissimi i costumi delle signore) può lasciare insoddisfatti gli spettatori che si aspettano frizzi e lazzi, ma lo spettacolo è stato accolto con applausi e lunghe ovazioni. (riproduzione riservata)


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