Uno scandalo che rovina i "piani" di
Monti, Grilli e Moavero
lunedì 28 gennaio 2013
Approfondisci
NEWS Finanza
Qualcuno, ci auguriamo, pagherà per i danni inferti agli italiani dalle
vicende del Monte dei Paschi di Siena. Se i fatti narrati in questi giorni
nelle cronache giornalistiche sono documentati e provati. Vale la pena di
capire a quanto ammonta il danno al fine di un eventuale risarcimento. Agli
italiani. Se si stima il danno sulla base dei Monti bond, che comprendono anche
il rifinanziamento dei Tremonti bond, il danno finanziario sarebbe di 4
miliardi di euro. Quando negli anni Novanta si verificarono scandali di natura
analoga in banche americane, stime econometriche portarono il danno
reputazionale a 12-16 volte quello finanziario (ossia attorno ai 50-70
miliardi). La magistratura le accettò. Alcuni istituti chiusero i battenti.
Alcuni manager, un tempo ritenuti “brillanti”, stanno ancora in prigione.
Non abbiamo la strumentazione econometrica per effettuare stime analoghe.
Non vogliamo certo portare via il lavoro alla magistratura (inquirente e
giudicante) e agli organi di controllo che paiono meritarsi anche loro una
bella lavata di capo e lustrata. Non possiamo, però, non porre il problema.
Tanto più se gli italiani sono stati pronti, vent’anni fa, a dimenticare presto
le vicende del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, né i nostri
connazionali, né gli europei potranno accantonare quelle del Monte dei Paschi -
molto più gravi nella sostanza e molto più pesanti per gli intrecci con una
parte politica che ha la tendenza a volere dare lezione d’etica al resto
dell’universo-mondo.
In Europa è in corso una trattativa per giungere a una banking union.
Il Governo Monti - dobbiamo dargliene atto - e una pattuglia di euro-deputati
guidata da Roberto Gualtieri sono riusciti a far sì che almeno uno dei tre
capitoli del negoziato (quello relativo alla supervisione bancaria europea) non
morisse sul nascere. Il compromesso che ha portato a quella che potrebbe essere
la base di un accordo è stato in gran parte orchestrato dalla delegazione
italiana.
Non vogliamo togliere alcun merito al Presidente Monti, ai Ministri Grilli
e Moavero e alla diplomazia finanziaria dell’Italia nel sottolineare che il
loro lavoro è stato facilitato dalla resistenza mostrata dal sistema bancario
italiano alla crisi finanziaria in corso dal 2007. Lo scorso autunno - è vero -
il Global Financial Stability Report del Fondo monetario internazionale
ha scritto, in sostanza, che la resilience (capacità di essere dura e
pura) della finanza italiana era ben inferiore di quanto mostrassero le
apparenze - e da allora è in corso una vertenza epistolare tra Abi e Fmi - , ma
mentre negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in
Portogallo, in Irlanda, in Ungheria e in tanti altri paesi si era dovuti
ricorrere a salvataggi e nazionalizzazioni, il sistema bancario italiano era
rimasto forse vecchiotto e provinciale, ma indenne da serie difficoltà.
Ora il “caso Monte dei Paschi” mostra ai nostri interlocutori parte del
sistema bancario come padri di famiglia in grisaglia ma grandi frequentatori di
case di tolleranza. Svela legami non tanto occulti con un partito politico,
prestiti elevatissimi (e privi di garanzie reali) a congiunti e parenti stretti
degli amministratori, un uso di “derivati” da campagnoli poco astuti che si
recano per la prima volta in città, un meccanismo di governance da
fiaschetteria, un sistema di vigilanza e di controlli a cui è facile occultare
documenti essenziali e prendere per il naso autorità i cui componenti sono tra
i più retribuiti al mondo. Insomma, un quadro a metà strada tra Pirandello e
Totò.
Inoltre, fa sorgere il dubbio che molti istituiti sono recalcitranti a
finanziare imprese e famiglie perché i prestiti Bei vengono probabilmente
utilizzati in portafogli apparentemente immacolati ma con titoli tossici di cui
nessuno conosce l’entità. In questo quadro, i nostri interlocutori, europei e
anche internazionali, si chiedono, giustamente, se siamo affidabili, se è
possibile andare a braccetto con noi verso la banking union.
Che fare? Per contenere il danno, a mio avviso, si dovrebbe: a)
nazionalizzare il Monte per porlo sul mercato (per rami d’impresa) man mano che
i singoli rami sono risanati; b) iniziare “azioni di responsabilità” nei
confronti degli amministratori e dei dirigenti; c) dare un nuovo statuto alla
“new bank” tale da rendere difficile, ove non impossibile, che un partito
politico la utilizzi come suo strumento; d) riesaminare il sistema di controlli
e vigilanza. Non è tempo né di piagnistei né di pannicelli caldi.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento