Il naso di
Šostakovič. All’Opera di Roma arriva un minifestival dedicato al grande
compositore russo, e c’è anche l’opera antizarista “censurata” in patria
Scritto da Giuseppe
Pennisi | giovedì, 10 gennaio 2013 · Lascia un commento
Il Naso, Opera di Zurigo, 2011
È il compositore che, con Igor Stravinskij, più ha influito sulla musica
del Novecento, specialmente nell’integrazione tra vari generi. Tra la grande
sinfonica mahleriana – per esempio – ed i sentieri dell’opera lirica aperti da
maestri del teatro in musica, pur molto differenti, come Richard Strauss
e Leos Janaceck, da un lato, ed il jazz e le esperienze timbriche
più innovative, dall’altro. Dal 12 gennaio al 3 febbraio arriva a Roma un mini
festival dedicato a russo Dmitri Šostakovič, a cura del Teatro
dell’Opera: in programma l’esecuzione di due sinfonie, la prima (composta
quando il compositore aveva appena 19 anni ma già scritta in un linguaggio che
tiene conto delle avanguardie musicali dell’epoca , con un finale volutamente
grottesco e con contrasti espressivi molto marcati) e la quindicesima
(enigmatica e condotta tutta sul filo dell’invenzione musicale) . Dirige
Gennard Rozhdestvensky. A fine maggio, a cura non del Teatro dell’Opera ma
dell’Orchestra Sinfonica di Roma, si ascolterà a la grandiosa settima sinfonia
dedicata all’assedio di Leningrado.
Prevista poi la rappresentazione della prima opera per il teatro di Šostakovič, Il naso, da un racconto di Gogol del 1835, rappresentata con grande successo al Malyi il 18 gennaio 1930, quando l’autore non aveva ancora compiuto 25 anni. Era una satira terribile della burocrazia (quella zarista in Gogol, ma poteva sembrare anche quella moscovita). Un ritmo incalzante: 12 quadri in poco più di due ore di musica. Nonostante un’orchestra da camera, ben 60 personaggi in scena: 27 nel settimo quadro. Una partitura che fonde citazioni dalla grande tradizione classica con musica di puro intrattenimento ed un campionario di effetti modernistici, quali intervalli esageratamente ampi, movimenti di scale, moti pendolari, trilli, moti pendolari, canoni, artifici politonali. Ove ciò non bastasse a sbigottire, le scene erano astratte e cubiste e la regia si ispirava ai tempi velocissimi delle “comiche” del muto. Il pubblico, specialmente quello più giovane, andò in visibilio.
Dopo 14 repliche all’insegna del tutto esaurito, al direttore del Malyi, ossia a Šostakovič in persona, venne suggerita una pausa; l’opera venne ripresa la stagione successiva, ma successivamente, un silenzio, nell’Unione Sovietica, di ben 43 anni (nonostante venisse rappresentata all’estero, dove era giunta la partitura, e considerata come uno di capolavori della musica del Novecento a cui si ispiravano generazioni di giovani musicisti). A Roma arriva nell’edizione con la regia di Peter Stein inizialmente prodotta per Zurigo.
Prevista poi la rappresentazione della prima opera per il teatro di Šostakovič, Il naso, da un racconto di Gogol del 1835, rappresentata con grande successo al Malyi il 18 gennaio 1930, quando l’autore non aveva ancora compiuto 25 anni. Era una satira terribile della burocrazia (quella zarista in Gogol, ma poteva sembrare anche quella moscovita). Un ritmo incalzante: 12 quadri in poco più di due ore di musica. Nonostante un’orchestra da camera, ben 60 personaggi in scena: 27 nel settimo quadro. Una partitura che fonde citazioni dalla grande tradizione classica con musica di puro intrattenimento ed un campionario di effetti modernistici, quali intervalli esageratamente ampi, movimenti di scale, moti pendolari, trilli, moti pendolari, canoni, artifici politonali. Ove ciò non bastasse a sbigottire, le scene erano astratte e cubiste e la regia si ispirava ai tempi velocissimi delle “comiche” del muto. Il pubblico, specialmente quello più giovane, andò in visibilio.
Dopo 14 repliche all’insegna del tutto esaurito, al direttore del Malyi, ossia a Šostakovič in persona, venne suggerita una pausa; l’opera venne ripresa la stagione successiva, ma successivamente, un silenzio, nell’Unione Sovietica, di ben 43 anni (nonostante venisse rappresentata all’estero, dove era giunta la partitura, e considerata come uno di capolavori della musica del Novecento a cui si ispiravano generazioni di giovani musicisti). A Roma arriva nell’edizione con la regia di Peter Stein inizialmente prodotta per Zurigo.
- Giuseppe Pennisi
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