CANONE RAI/
Ecco come cambiare la tassa più odiata dagli italiani
INT.
domenica 6 gennaio 2013
Sede Rai di Via Mazzini a Roma
(Infophoto)
Sono iniziati gli spot che ci ricordano che, entro il
31 gennaio, si dovrà pagare il canone Rai. Quest'anno, l'imposta è aumentata di
1,50 euro, per un totale di 113,50. «La Rai è nell’occhio del ciclone - ci dice
Giuseppe Pennisi, docente di Economia internazionale all'Università Europea di
Roma, ed ex Dirigente Generale ai Ministeri del Bilancio e del Lavoro, oltre
che della Banca Mondiale - non solo per la qualità, scarsa dei programmi e la
consistenza, precaria, delle finanze aziendali, ma anche per il canone che pare
essere il balzello più detestato dagli italiani. Non c'è ragione perché per la
esista “un'imposta di scopo”. Racconto un aneddoto che spiega, in modo
corretto, cosa si intende per “imposta di scopo”. Nel Dopoguerra, il Piano
Marshall richiedeva che i Governi presentassero dei programmi in ordine di
priorità per essere, conseguentemente, finanziati. Il Borgo Mastro di Vienna
presentò alla commissione come priorità principale il restauro del Teatro
dell'Opera. Gli americani gli risero in faccia e fu cambiata la richiesta: al
posto del teatro furono inseriti, come lavori prioritari, il rifacimento dei
binari del tram e le fognature. I viennesi si riunirono in Consiglio Comunale
e, in tutta risposta, approvarono un'imposta di scopo per ricostruire il loro
Teatro dell'Opera, che fu concluso prima dei lavori tranviari e la sistemazione
delle fognature. Venne inaugurato con nove spettacoli che mandarono in scena le
opere più importanti: il fatto sorprendente è che l'orchestra, il coro e tutti
gli addetti lavorarono gratuitamente per l'intera stagione».
Quando è stato varato il canone Rai?
Il canone è, tecnicamente, una “imposta di scopo”
varata quando l’Italia era un Impero malconcio tra una guerra e l’altra, e
aveva un sistema tributario primitivo basato su Ige e imposta di famiglia. Pure
allora gli specialisti di scienza delle finanze non amavano affatto le “imposte
di scopo” perché distorsive. Inoltre, sono regressive: non si paga “secondo la
propria capacità contributiva”, ma il magnate a reddito da favola paga lo
stesso canone delle vecchietta con la pensione al minimo. Un aspetto che la
rende, agli occhi di molti, decisamente poco “democratica”.
E' questo il motivo dell'elevata
percentuale di coloro i quali decidono di non pagarla?
Nonostante richiami e ispezioni, il tasso di evasione
è il 30%; alcune indagini e le campagne lanciate da alcune testate indicano
che, se potessero, il 70% degli italiani lo eviterebbe perché non crede che il
servizio offerto sia un “corrispettivo” adeguato: se la Rai facesse una cura
dimagrante, e diventasse bella e scattante, ciò cambierebbe. Ma non sembra che
l’azienda voglia perdere peso. Ci sono inoltre certamente tecniche più moderne
per sovvenzionare la Rai, sempre che si lo ritenga appropriato.
Ad esempio?
Innanzitutto una sovvenzione annua votata dal
Parlamento, ma sino a quando l’imposta di scopo esiste, occorre pagarla. E
nessuno vede gli italiani correre con gioia ad assolvere questo obbligo. Si
deve, quindi, trovare un sistema per contenere l’evasione, dato che far
piantonare ogni famiglia da un vigilante Rai costerebbe più di quanto si
porterebbe nelle casse della malmessa azienda. E’ stata formulata la proposta
di agganciare il canone alla bolletta elettrica nell’ipotesi cartesiana
“elettricità, ergo Tv, ergo Rai”; se hai l’allacciamento elettrico, ti godi,
per così dire, anche la Rai in Tv.
Un metodo che funzionerebbe sul
serio?
A mio avviso, ciò sarebbe macchinoso: ci vorrebbe,
oltre a una legge, una rete di accordi con circa centocinquanta aziende
elettriche. Inoltre, se non si ha un “canone” per fasce di reddito, ciò
aggraverebbe la regressività: la pensionata al minimo che pagherebbe una
tariffa elettrica “sociale”, ma lo stesso canone rateizzato di Paperon de’
Paperoni. Potrebbe avere effetti negativi sull’economia, aggravando i costi
d’impresa e contenendo i consumi.
Dunque?
Ammesso che le “imposte di scopo”, anche se arcaiche,
non devono essere evase, sarebbe più semplice aggiungere una dichiarazione nei
formulari dell’imposta sul reddito. Chi dichiara che ha un televisore, paga
un’addizionale Rai correlata al proprio reddito. Chi per evadere dichiara il
falso, commette un reato di falso in atto pubblico. Perché per raggiungere
obiettivi semplici, scegliamo sempre percorsi complicati? Victor Ricciardi, maestro
della “behavioral economics”, afferma che occorre chiamare un
“neuro-fiscalista”.
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