Quando
Šostakovi prendeva Stalin per il naso
Il compositore russo è
stato ed è un personaggio scomodo per ex-neo-post-comunist
di Hans Sachs - 23 gennaio 2013 17:19 fonte ilVelino/AGV
NEWS Roma
La nostra è stata una delle poche testate a ricordare, sette
anni fa, che il 2006 non era solo l’anno mozartiano, ma anche quello del
centenario della nascita di Dmitri Šostakovi, il compositore russo che, con
Igor Stravinskij, più ha influito sulla musica del Novecento. Allora, non sono
mancate iniziative: ad esempio, il Teatro dell’Opera di Roma ha presentato
spettacoli basati sulla sua musica; il Regio di Parma ha realizzato in
primavera un mini-festival con una delle sue sinfonie più importanti e la
proiezione di alcuni film con la sua colonna musicale; l’Accademia di Santa
Cecilia ha tenuto un altro minifestival alla fine di novembre. Queste ed altre
iniziative sono state, però, oscurate dalle celebrazioni mozartiane. Alla fine
del 2006, è andata in scena (a Torino , a Roma e nel 2009 nei teatri
dell’Emilia l’anno prossimo) una delle sue due opere “Il Naso” composta quando
aveva appena 24 anni. Nel 2007 si è visto ed ascoltato l’altro suo capolavoro “Lady
Macbeth del distretto di Mzendk”, composta quando aveva trent’anni (Šostakovi
visse sino a sfiorare i 70 anni). Il relativo oblio non è figlio del caso:
Dmitri Šostakovi è stato ed è un personaggio scomodo per ex-neo-post-comunisti.
Tanto che nessun distributore ha messo nelle sale il film Tony Palmer
“Testimony” del 1987 tratto dalle memorie di Šostakovi raccolte dal giornalista
Solomon Volkov, nonostante il successo di pubblico in vari Paesi. La Rai non lo
ha mai messo in onda. Lo si è visto, però, negli ultimi mesi sul canale
“Classica” di Sly. La vita ed il percorso artistico di Šostakovi sono una
dimostrazione incontrovertibile delle estreme difficoltà che l’intellettuale,
anche un comunista convinto (come lui), ha alle prese con il socialismo reale.
Nato a San Pietroburgo, studia nella sua città natale dove si accosta ai
movimenti dell’avanguardia culturale incarnata da Majakovskij, Mejer’hold,
Prokof’ev . Cresce da comunista d.oc.; il successo internazionale delle sue tre
prime sinfonie, lo fanno diventare uno degli autori più ricercati per la
composizione di musiche da film (il cinematografo era agli inizi ed il Pcus ne
aveva carpito l’importanza al fine di plasmare l’opinione pubblica), nonché, a
soli 24 anni, direttore del Teatro della Gioventù Operaia, il Malyi, della sua
città (il cui nome era, nel contempo, diventato Leningrado). Un incarico che
poteva essere attribuito unicamente ad un fedelissimo del Partito. In questo
clima, nasce la sua prima opera, “Il Naso”, da un racconto di Gogol del 1835,
rappresentata con grande successo al Malyi il 18 gennaio 1930, quando non aveva
ancora compiuto 25 anni. Sarà a Roma dal 27 gennaio; è ‘vietato’ perderla.Un
ritmo incalzante: 12 quadri in poco più di due ore di musica. Nonostante
un’orchestra da camera, ben 60 personaggi in scena: 27 nel settimo quadro. Una
partitura che fonde citazioni dalla grande tradizione classica con musica di
puro intrattenimento ed un campionario di effetti modernistici, quali
intervalli esageratamente ampi, movimenti di scale, moti pendolari, trilli,
moti pendolari, canoni, artifici politonali. Ove ciò non bastasse a sbigottire,
le scene erano astratte e cubiste e la regia si ispirava ai tempi velocissimi
delle “comiche” del muto. Il pubblico, specialmente quello più giovane, andò in
visibilio. Ma la critica accolse il lavoro (così distante dal realismo
socialista che allora faceva i primi passi nell’estetica ufficiale)
freddamente. Dopo 14 repliche all’insegna del tutto esaurito, al direttore del
Malyi, ossia a Šostakovi in persona, venne suggerita una pausa; l’opera venne
ripresa la stagione successiva, ma successivamente, un silenzio, nell’Unione
Sovietica, di ben 43 anni (nonostante venisse rappresentata all’estero, dove
era giunta la partitura, e considerata come uno di capolavori della musica del
Novecento). “Il Naso” riapparve sulle scene russe nel 1974, per iniziativa di
una piccola compagnia (in un cinema-teatro con appena 200 posti): il Teatro
Musicale da Camera creato ed animato da Boris Provovskij .. Il testo irritò Stalin:
un alto burocrate perde, all’improvviso, il proprio naso e si mette, quindi, ad
una sua ansiosa ricerca nelle alte e nelle basse sfere della capitale (Palazzi,
chiese, uffici, botteghe, redazioni di giornali), scoprendone di cotte e crude.
Il sarcasmo surrealista si riferisce alle burocrazie di tutti i tempi,
soprattutto a quella bolscevica. La musica sgomentò l’ortodossia ancora di più:
su un impianto chiaramente slavo innesca jazz, atonalità, ritmi incalzanti (con
forti dinamiche timbriche), stili di canto estremi (dal parlato al sovracuto
alla polifonia). L’orchestra è snella, include strumenti inconsueti come la
domra, la balalaika, ed il flexaton e, in certi passaggi, deve riuscire ad
evocate la grande tradizione sinfonica ottocentesca. Sino ad ora, la si è vista
in Italia principalmente nell’allestimento del 1974, un po’ rinfrescato, ed in
uno di Maccari e De Filippo per il festival di Spoleto. A Roma sarà in quello,
con la regia di Peter Stein, che da tre anni furoreggia a Zurigo.
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