giovedì 3 gennaio 2013

Perché non ho brindato all’accordo sul ‘fiscal cliff’ in Il Velino 4 gennaio



Perché non ho brindato all’accordo sul ‘fiscal cliff’
L’intesa sarebbe una breve quiete prima della tempesta
di Giuseppe Pennisi - 03 gennaio 2013 18:34 fonte Il Velino/AGV Roma
È difficile capire perché numerosi osservatori abbiamo stappato bottiglie di champagne all’annuncio dell’accordo che ha, per ora, evitato quello che in gergo gli americani hanno chiamato ‘il baratro fiscale’( Fiscal Cliff’). Il ‘baratro’, se questo è il termine che fornisce un’idea appropriata del problema, è sostanzialmente rimasto tale e quale, nonostante si siano ottenuti due risultati importanti : a) si è guadagnato tempo prima di affrontare il vero problema (‘il limite – in gergo ‘tetto’- all’indebitamento); b) i due partiti degli Stati Uniti, e soprattutto tutte le correnti all’interno dei partiti, possono mostrare ai loro elettori di avere ‘vinto’ qualcosa in linea con le loro aspirazioni. Per chi, come me, ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, l’intesa per evitare il “baratro” ricorda, a livello interno, l’accordo della Smithsonian Institution del dicembre 1971 che l’allora presidente degli Stati Uniti Richard M. Nixon definì in televisione ‘il più importante accordo monetario della storia’ e che dopo alcuni mesi era diventato carta straccia. Con l’accordo dello Smithsonian si era tentato di tornare ad un sistema di cambi fissi – defunto nell’agosto precedente tramite una serie di rivalutazioni e svalutazioni dei tassi di cambio dei maggiori Paesi rispetto al dollaro, che perdeva la propria convertibilità in oro ad un prezzo prestabilito. Già nel marzo 1973, l’accordo dello Smithsonian era di fatto abolito: le principali monete fluttuavano liberamente le une verso le altre. Il parallelo è, a mio avviso, calzante. Da un lato, il tempo che si guadagna può essere utilizzato saggiamente per evitare che la ‘vera battaglia’ – quella sull’indebitamento e sul debito – non sia pilotata solamente da visioni di parte ma tenga conto dei problemi reali dell’economia americana (ed internazionale): crescita, produttività, creazione di posti di lavoro, specialmente nei Paesi industrializzati ad economia di mercato che hanno perso quel monopolio del progresso tecnologico, il motore della loro crescita negli ultimi due secoli. Qualcosa di analogo avvenne nell’anno circa in cui fu in vigore l’accordo dello Smithsonian con l’esito che gli effetti delle fluttuazioni furono meno pesanti (grazie, ad esempio, alla creazione del ‘serpente monetario europeo’). Da un altro, avere dato ‘contentini’ ai due partiti e, quel che più conta, alle loro correnti, può fare sì che il conflitto sull’indebitamento e sul debito sarà meno duro e si sia pronti ad un compromesso che tenga conto degli interessi di medio e lungo termine degli Stati Uniti. Tuttavia, è anche possibile un altro scenario. I repubblicani, specialmente ‘i falchi’, avendo fatto una serie di concessioni alla Casa Bianca nei giorni tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, sono adesso effettivamente in grado di chiedere ‘una libbra di carne sanguinante’ per accettare un aumento del ‘tetto’ al debito ed alla capacità d’indebitamento, ossia riforme profonde atte a calmierare l’aumento della spesa per la sanità e per la previdenza sociale. Quindi, l’intesa sarebbe una breve quiete prima della tempesta, tale da mettere in fibrillazione i mercati e di costare caro nelle aree (come l’eurozona) dove l’Himalaya del debito sovrano rende la finanza pubblica e privata molto fragile.

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