l’analisi Promozione Ue di corto
respiro senza revisione della spesa
DI GIUSEPPE PENNISI L’ Italia «esce» dunque dalla procedura d’infrazione per eccessivo indebitamento netto delle pubbliche amministrazione.
Non è l’unica procedura d’infrazione aperta dall’Unione europea nei confronti dell’Italia – numerose altre, infatti, riguardano aspetti tecnici – ma la più importante per la valenza politica.
L’uscita è in ogni caso una prima vittoria segnata dal governo Letta in materia di politica europea. Ed è stata possibile anche grazie a misure severe adottate dal precedente governo Monti. Una volta considerato il significato politico attribuito alla «certificazione » da parte dell’Eurostat, ovvero che non siamo più a rischio di «sforare» i parametri (e i vincoli) che abbiamo circoscritto, la fine della «procedura », va comunque detto che la «chiusura» è stata caricata da aspettative. Occorre, quindi, analizzarne con cura le implicazioni nel breve e nel medio termine.
Le conseguenze immediate.
L’uscita dalla procedura vuole dire che non rientriamo più tra il gruppo dei Paesi «indagati » dall’Eurostat (e dagli altri servizi della Commissione europea) in quanto ad alta probabilità di non essere in grado di restare nell’alveo tracciato. L’«indagine» non si è conclusa però con un’archiviazione: restiamo «attenzionati » e ai primi segni di trasgressione dal percorso comune potremmo diventare «sorvegliati», «sorvegliati speciali » e di nuovo «indagati». La Ue non propone né un condono né un’amnistia né un indulto. Non fa sconti. Invita l’organo deliberante (il Consiglio dell’eurozona) a sospendere le indagini (poiché abbiamo dimostrato che vogliamo e possiamo restare nei vincoli di trattati ed accordi), ma a continuare a seguirci con particolare cura.
Uscire dalla procedura potrà avere effetti immediati: riduzione dello spread (e quindi degli oneri sul bilancio pubblico). Ciò dipende, in grandissima misura, da come i mercati leggeranno le reazioni politiche dell’Italia. Se si stappano troppe bottiglie di prosecco (la crisi ha allontano lo champagne dai Palazzi), se si invocano aumenti della spesa per questo o quel meritevole obiettivo, i mercati potrebbero dare una «lettura » negativa come nell’estate 1992 e nell’autunno 2011. Con implicazioni nefaste. Quindi, è essenziale che l’Esecutivo sia coeso, abbia una voce sola e un Parlamento che lo supporta in questa delicata fase.
Le implicazioni di medio periodo.
L’uscita dalla procedura apre varie finestre d’opportunità. Sul piano della finanza pubblica, senza dover ricorre alla richiesta di un’estensione di due anni per il raggiungimento dell’equilibrio strutturale di bilancio (come ottenuto da Francia e Spagna, ora diventati «sorvegliati speciali»), guadagniamo una maggiore flessibilità nel mantenere il disavanzo entro il 3% del Pil. Avremo indubbiamente un margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review e fosse tolto il «grasso» che appesantisce la spesa pubblica. Si potrebbe anche giungere a una specie di «golden rule» – esenzione dal computo di parte degli investimenti cofinanziati con la Ue con obiettivi altamente prioritari – per un aumento della produttività e riduzione della disoccupazione giovanile. Da anni la caduta delle produttività è l’aspetto più preoccupante. I dati dell’ultimo rapporto Ocse sono eloquenti: in un decennio i costi del lavoro per unità di prodotto sono aumentati in Italia del 10% rispetto alla media dell’area dell’euro e del 35% rispetto alla Germania. Non si pensa certo a colmare la differenza con una riduzione dei salari netti in busta paga (mediamente tra i più bassi nell’eurozona), ma con misure atte ad aumentare produttività ed impiego. Agire sui costi unitari del lavoro non sarebbe sufficiente se l’azione non venisse accompagnata da misure per accorciare i tempi della giustizia civile, per rafforzare il sistema bancario in modo da diventare un motore per il finanziamento delle imprese, per snellire la burocrazia, per accorciare i tempi del pagamento dei debiti alle imprese. Nei prossimi mesi, la Ue guarderà a questi aspetti (non solo ai saldi di bilancio) ed avremo una graduale maggiore flessibilità di finanza pubblica (per lo sviluppo) man mano che mostreremo progressi in tali aree.
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L’uscita dalla procedura significa che non siamo più tra i Paesi «indagati» dall’Eurostat Margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review
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