Il caso Furtwängler: un dramma di successo e le sua fonti storiche
07 - 05 - 2013Giuseppe Pennisi“Con un regime infame non si deve collaborare, questo è ovvio. Ma svolgere un’attività artistica equivale a collaborare? Per qualcuno sì, perché si contribuisce a dare un’immagine positiva di un Paese che invece è marcio. Per qualcun altro però no: se mostri l’arte e la bellezza ai tuoi concittadini per quanto oppressi, aiuti a tener vivo in loro qualcosa che un giorno potrebbe aiutarli a riprendersi”, spiega Masolino D’Amico, autore della traduzione del testo di Harwood.
Negli ultimi mesi, Formiche ha ospitato note su musicisti russi che o sono rimasti in Patria subendo la repressione stalinista (come Šostakovi ) o hanno fragorosamente sbattuto la porta e , una volta partiti, si sono rifiutati di rientrare (come Stravinskij, naturalizzatosi prima francese e poi americano). Ho affrontato, in passato, in due lavori per La Nuova Antologia, sia il tema dei ‘musicisti degenerati’- così vennero chiamati- (costretti ad emigrare dalla Germania per non finire in campo di sterminio) che di Richard Strauss che invece restò nel suo Paese sino alla fine e per anni fu Presidente della Camera dei Musicisti dei Reich. Quindi mi sembra doveroso intervenire sulla pièce teatrale di Harwood.
Ancorché di ottima fattura e di efficace messa in scena, chi vuole andarlo a vedere ed, a maggior ragione, chi lo ha visto, deve leggere il libro di Audrey Roncigli Il caso Furtwängler – Un Direttore d’Orchestra sotto il Terzo Reich (Zecchini Editore, pp. 310 € 25) e, se possibile, riprendere in mano un libro uscito un paio di anni fa – Misha Aster L’Orchestra del Reich – I Berliner Philarmoniker ed il Nazionalismo. I due lavori sono complementari perché un aspetto importante della vita di Furtwängler, dopo l’avvento del nazismo, fu la decisione di lasciare la guida di quei Berliner che erano la sua famiglia (e la sua vita musicale) per meglio tutelare l’orchestra allora sull’orlo del fallimento finanziario (ed agevolare la fuga dalla Germania di alcuni musicisti) ‘dal di fuori’. Non solo, però, restò in Patria ma accettò onorificenze dal nazismo (riuscendo , al tempo stesso, a salvare vari colleghi – come tutte le dittature il nazismo era molto corrotto).
Il due libri si basano su fonti originali d’archivio, spesso pubblicate per la prima volta, e scavano in un dramma per molti aspetti più vasto e più frequente di quello che confronta gli intellettuali sotto un regime dittatoriale a loro inviso. Audrey Roncigli analizza le scelte, le parole ed i silenzi di Furtwängler ed, in modo innovativo, confronta il repertorio interpretativo del maestro con le direttive del Reich e valuta il peso della tragedia storica nella lettura data alle partiture. In effetti se utilizziamo le categorie all’azione politica (ed alla direzione d’azienda) definite nel 1970 da Albert O. Hirschmann nel libro Exit, Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States. (Cambridge, MA: Harvard University Press), si trae un aspetto fondante, ignorato dal dramma di Harwood. Furtwängler non diede mai la propria loyalty al Reich – anzi, alla prima interferenze in materia di repertorio lasciò l’orchestra da lui tanto amata. Non optò neanche per la exit – anche se lo avrebbe tentato dopo l’attentato a Hitler nel 1944 quando alcuni pensarono che lui stesso fosse parte del complotto. Resto ma non in silenzio: le sue scelte di repertorio ed in modo in cui interpretava anche le partiture apprezzate dal regime, parlavano per lui. Erano la sua Voice.
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