FINANZA E
POLITICA/ Una nuova"minaccia" greca anche per Letta
lunedì 20 maggio 2013
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NEWS Economia e Finanza
Il 14 maggio, l’agenzia di rating Fitch ha alzato il rating sul debito ellenico
da “CCC” a “B-”. In Italia pochi se ne sono accorti: la notizia ha ottenuto
appena qualche riga sulla stampa d’informazione, nonostante la decisione
dell’agenzia abbia implicazioni anche per noi. Prima di delineare tali
ramificazioni, chiediamoci se è il caso di stappare champagne o anche più
modesto prosecco. Come mostra il primo grafico a fondo pagina, elaborato da
Bloomberg, già da diversi mesi era in atto un ribasso dei rendimenti dei titoli
di Stato decennali, passati in un anno dal 30% l’anno a poco più del 9%. Fitch
ha, quindi, preso atto di un andamento già in corso e consolidato.
In effetti, si è ridotto in misura significativa lo “spread” tra i titoli
greci e quelli del gruppo di Stati dell’eurozona considerati più solidi
(Repubblica federale tedesca in prima fila). La riduzione dello spread è
avvenuta grazie alle severe misure di finanza pubblica intraprese, non a un
miglioramento dell’economia reale o a un ribasso del rapporto tra stock di
debito pubblico e Pil. Al contrario, l’economia reale continua a contrarsi
(dopo una diminuzione del Pil del 15% circa negli ultimi tre anni, se ne
aspetta una ulteriore del 5% nel 2013) e, quindi, il rapporto tra debito e Pil
aumenta.
L’indicatore che meglio riassume la situazione è l’andamento del tasso di
disoccupazione. I dati Eurostat sono eloquenti: mentre il rendimento sui titoli
decennali diminuiva, il numero di coloro che cercano lavoro senza trovarlo
cresceva giungendo al 27% - un incremento di cinque punti percentuali rispetto
al già elevatissimo 22% segnato a fine 2011. In questo quadro la disoccupazione
giovanile tocca il 62% (l’andamento è riassunto nel secondo grafico a fondo
pagina).
L’insieme di queste cifre vuole dire che il rischio di “Grexit”, ossia di
fuoriuscita della Repubblica ellenica dalla moneta unica (con un “effetto
domino” sugli Stati ad alto debito dell’eurozona) non c’è più. Questa è una
buona notizia per tutti. Indica anche, però, che il costo sociale per evitarla
(e ottenere un miglioramento nella classificazione di Fitch) è stato molto
elevato. Chi ha mantenuto il proprio posto di lavoro ha mediamente subito una
perdita almeno del 25% del proprio stipendio, salario o pensione. Ora, 3,5
milioni di greci (su un totale di 11 milioni) vivono al di sotto della “soglia
di povertà”.
Tutto ciò ha lasciato ferite molto profonde e dubbi molti forti sulla
strategia seguita prima per facilitare l’ingresso della Repubblica ellenica
nell’unione monetaria e, poi, per varare programmi di aiuti che hanno avuto
(almeno sinora) principalmente l’effetto di alleviare le pene ai creditori (in
gran misura banche francesi, britanniche e tedesche) che avevano scommesso
sulla Grecia nell’aspettativa che, bene o male, una rete di sicurezza avrebbe
contenuto i rischi (pur elevati) che correvano.
La decisione di Fitch è stata considerata come una “svolta” dal Governo
greco. Solo tra qualche mese si potrà dire se tale commento è giustificato. Il
Paese non ha più quel poco di manifattura che esisteva nel 2000. Ora conta
essenzialmente sul turismo, da attirare grazie a una massicciafiscal
devaluation, riduzione dei redditi e dei prezzi pur non alterando il tasso
di cambio. Pare che le prenotazioni per le vacanze nell’Egeo siano aumentate
del 25% rispetto al 2012. In autunno si potranno tirare le somme.
Più seri degli aspetti economici sono quelli politici. In materia sono
stati pubblicati dozzine di papers da parte di studiosi greci, americani e di
altri paesi europei. Proprio nei giorni in cui Fitch si preparava a migliorare
il rating dei titoli di Atene, ne sono apparsi due di studiosi tedeschi.
Scontato il primo, dato che l’autore è Jürgen Habermas e il lavoro è apparso il
7 maggio su Social Europe. Meno prevedibile il secondo: un paper di
Andreas Maurer della Stiftung Wissenschaft und Politik (un think tank
europeista). Ambedue sottolineano come la crisi greca (peraltro ancora in
corso) abbia ferito la legittimità democratica dell’Unione europea e dello
stesso Parlamento europeo. Maurer propone che si vada dall’Emu (European
monetary union) al Demu (Democratic european monetary union).
Tutto ciò non riguarda soltanto i greci, ma tutti gli europei. E ci tocca
molto da vicino. Come hanno sottolineato efficacemente Alberto Alesina e
Francesco Giavazzi su Il Corriere della Sera del 17 maggio, il
nuovo Governo italiano non deve farsi intimidire da parametri la cui poca
fondatezza economica è stata documentata nei mesi scorsi anche sotto il profilo
scientifico: la strada di un’austerità eccessiva ci porterebbe ad avvitarci
come la Grecia e ad avere un sollievo dalle agenzie di rating dopo una
contrazione del 25% del reddito nazionale e una perdita di pari portata della
capacità produttiva.
Occorre insistere al prossimo Consiglio europeo, tra pochissime settimane,
per rimettersi sulla via dello sviluppo, anche se ciò potrebbe comportare un
deprezzamento della moneta unica sui mercati internazionali.
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