La
religiosità in Puccini
Libri •
Un recente saggio di Oriano De Ranieri approfondisce l’aspetto problematico
della fede nelle opere e nella vita compositore
di Giuseppe Pennisi
La religiosità degli intellettuali italiani, e dei
compositori, nel periodo tra la metà dell’Ottocento e gli Anni Trenta del
Novecento è un tema sempre intrigante. Il Risorgimento era stato vissuto da
molti di loro come una contrapposizione netta allo Stato della Chiesa (almeno
sino alle graduali aperture che sfociarono nei Patti Lateranensi), il
positivismo aveva soppiantato l’idealismo (alcuni filoni del quale avevano
peraltro preso un sentiero laicista, più ancora che ateo), il progresso
tecnologico e l’industrializzazione trionfante si contrapponevano ad una
religiosità che, in Italia, aveva caratteristiche molto legate a quelle della
società e dell’economia rurale. Chi scrive ha esplorato alcuni di questi temi
su La Nuova Antologia, Il Foglio e Avvenire, specialmente per quanto riguarda
Verdi: da una formazione cattolica, alla perdita della Fede, al rifiuto dell’ateismo
lieto di Giuseppina Strepponi, ad un ateismo dubbioso e tormentato
che lo segue per tutta la vita e la cui evoluzione è apertamente mostrata dalle
sue opere (in particolare nelle ultime).
Oriano De Ranieri, studioso lucchese
che ha già prodotto lavori interessanti su Puccini (Giacomo Puccini: luoghi
e sentimenti, Lucca 2004 e 2007, Puccini e le Donne: la famiglia , gli
amori e la musica, Lucca 2008) scava ora nella religiosità di Puccini, un
lato oscuro perché poco noto e soprattutto poco studiato: nell’opinione comune,
Puccini e la generazione dell’Ottanta, al pari del resto della scapigliatura, è
vista in generale come agnostica con forti tendenze anticlericali. È utile
ricordare che il lavoro di De Ranieri nasce da una tesi di laurea in Scienze
Religiose – conseguita dopo quella in lettere avuta anni prima con un lavoro su
un periodico del Settecento. De Ranieri, inoltre, è stato per oltre
trentacinque anni giornalista professionista, in varie testate, alcune delle
quali di tendenza manifesta cattolica. Si sarebbe, quindi, potuto pensare ad un
saggio di parte in cui la Fede dell’autore (e l’amore per il compositore
conterraneo) orientassero l’analisi più della ricerca storica.
Il lavoro è, invece, una meticolosa analisi per
«cercare di rilevare, nella vita ed in alcune opere di Puccini, i segni della
Fede». Il saggio scava, innanzitutto, nella biografia di Puccini: l’ambiente
familiare, l’attenzione sin da bambino alla musica sacra, gli studi in
seminario, il rapporto intenso con la sorella monaca, la crisi esistenziale
della maturità, la richiesta di Sacramenti quando, a Bruxelles, comprese che la
sua avventura terrena era giunta al capolinea. Nell’ultimo, vasta, capitolo, il
lavoro analizza le opere sempre alla ricerca di indizi: la ricerca
dell’assoluto nei lavori giovanili per la scena, la svolta disperata di Manon
Lescaut, lo stupore della morte che colpisce Mimì, le domande sul perché
del male in Tosca, i falsi valori che uccidono Madama
Butterfly , la via della Redenzione de La Fanciulla del West,
il riscatto di Magda ne La Rondine, la disperazione de Il Tabarro, il
misticismo di Gianni Schicchi, il misticismo di Suor Angelica, il
clima di trasfigurazione che avvicina alla morte in Turandot.
Ne risultano molti aspetti della personalità di
Puccini ignorati, non conosciuti o poco noti anche a musicologi attenti come
Julian Budden e Leonardo Pinzauti. Questi aspetti ed i numerosi indizi non
oscurano, però, che Puccini (come gran parte degli intellettuali del suo tempo)
avesse una religiosità formale (per i familiari) e che si rivolgesse ad essa in
momenti particolari, come il timore del dopo all’approssimarsi della
morte, più che una vera e propria Fede. Il libro trascura di sottolineare come
l’esplosione dell’eros nella poetica di Puccini (dopo anni di allontanamento
della scene dalla metà dell’Ottocento) non sia collegata (come nel romanticismo
tedesco) ad un thanatos che porta all’Alto; è molto sensuale e terrena. Si
pensi, ad esempio, alla carica erotica nel secondo atto di Manon Lescaut od
a quella che pervade Madama Bufferfly e La Bohème, per non
parlare del mondo senza Dio de Il Tabarro e Gianni Schicchi. In
sostanza, con l’eccezioni di pochi momenti (da attribuirsi più a consuetudini
sociali dell’epoca, e del pubblico che frequentava i teatri), il mondo
interiore di Puccini resta agnostico, ove non apertamente ateo.
Non tiene conto, poi, di una crisi esistenziale
artistica (lo scontro con il tardo romanticismo tedesco, l’irrompere di
Debussy, i primi segni di dodecafonia) più che religiosa. Budden ha capitoli
importanti in materia. In effetti, ci sono chiare indicazioni che Puccini non
riuscì a comporre la scena finale di Turandot (intrisa di carnalità
terrena e non certo rivolta a Dio) dopo avere ascoltato, a casa della famiglia
dell’autore, l’esecuzione al pianoforte di Die tode Stadt di Erich
Wolfgang Korngold, allora appena ventiduenne, ebreo non osservante e probamente
neanche credente, cresciuto nella Vienna di Freud. Comprese che il compositore
austriaco era riuscito in ciò che lui stesso tentava da mesi per il finale di Turandot:
un erotismo visionario e macero con echi di Debussy e della nuova musica che
stava nascendo nella capitale austriaca. In breve, il lavoro di De
Ranieri arricchisce se letto con occhi laici.
Oriando De Ranieri La Religiosità di Puccini- La Fede nelle Opere del
Maestro | Introduzione di Simonetta Puccini | pp.120, Zecchini
Editore Varese 2013 € 19
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