OPERA/ Il Götterdämerung di
Richard Wagner riscatta La Scala di Milano
martedì 21
maggio 2013
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NEWS Musica
Sabato 18
maggio è andato in scena alla Scala Götterdämerung (“Il Crepuscolo degli
Dei”), ultima “giornata” della tetralogia L’Anello del Nibelungo (in
breve il Ring ) di Richard Wagner. L’opera, co-prodotta con la
Staatsoper-unter-den-Linden di Berlino, verrà replicata a Milano sino al 7
giugno ma tornerà alla Scala il 22 e il 29 giugno al termine dell’esecuzione di
due cicli completi del Ring. Il teatro non era pieno forse perché
il pubblico di un sabato sera è stato terrorizzato dall’annuncio che,
intervalli compresi, lo spettacolo sarebbe durato poco più di sei ore (con
ingresso alle 18 ed uscita dopo le 24 - sotto una pioggia battente) sia perché
non concertava Daniel Barenboim, infortunato a causa di una brutta caduta e
costretto ad essere lontano dal podio almeno sino all’inizio di giugno. Chi è rimasto
a casa per una di queste due determinanti ha perso uno dei migliori spettacoli
scaligeri delle ultime stagioni.
Per
apprezzarlo occorre guardare, a ritroso, all’intero Ring Scala-Staatsoper
di cui è stata presentata un’opera l’anno, in attesa di vedere l’intero ciclo
tra poche settimane. In sintesi, è dal 1963 che la Scala non presentava un Ring
di questo livello. Nell’arco di questi cinquant’anni è stato iniziato, alla
metà degli Anni Settanta, un Ring rimasto incompleto per dissapori tra
il direttore musicale Wolfgang Sawallisch, da un lato, e il regista e lo
scenografo, Luca Ronconi e Pier Luigi Pizzi, dall’altro: l’intero progetto è
stato, poi, portato a Firenze, con la concertazione di Zubin Mehta.
Negli Anni Novanta, Riccardo Muti si è cimentato con un Ring da lui
concepito: ne è risultata una delle pagine meno gloriose della sala del
Piermarini: un progetto scombinato in cui, ad esempio, il “prologo” è stato
presentato (in versione da concerto) l’anno dopo la messa in scena della “prima
giornata”, le regie erano disomogenee, i cast traballanti e una concertazione
verdiana più che wagneriana. Nel frattempo, Firenze e Roma proponevano due
edizioni di livello del Ring, Venezia e Torino ne offrivano di
dignitosissime e anche Bari e Catania ne presentavano di decorose pur se
tradizionali.
Non abbiamo
fatto sconti a questo Ring scaligero e berlinese, criticando soprattutto
la drammaturgia e la regia di Guy Cassiers e dell’équipe di Tonneelhuis che,
specialmente, nel “prologo” ci è parsa troppo carica di una simbologia
politica, e sociale, poco adatta al grande lavoro di Wagner. Abbiamo anche
criticato i tempi eccessivamente dilatati e solenni di Barenboim (così
differenti rispetto a quelli del Ring che diresse a Bayreuth, con la
regia di Kupfer, circa un quarto di secolo fa (e di cui esistono ottimi DvD).
Occorre dire che drammaturgia, regia, impianto scenico, proiezioni e mimi sono
parsi gradualmente più in linea con la parte musicale via via che il Ring si
dipanava e dal mondo degli Dei germanici si passava a quello degli uomini.
Nell’ambito di una politica molto terrena assume significato leggere lo
sterminato lavoro come lotta degli indignados o simili nei
confronti di poteri costituiti ormai logoro. In fin dei conti, siamo su
un’estensione di quanto Chéreau fece a Bayreuth nel 1976 e Ronconi-Pizzi a
Firenze nel 1979-81.
Questa
lettura politica si adatta bene a Götterdämerung dove le
divinità appaiono principalmente nel racconto di una Valchiria scorata (e che
vede il “crepuscolo” di un intero universo), in tre Norme che hanno il presagio
della fine e nelle tre figlie del Reno che ottengono il riscatto della natura
primigenia. Il dramma è soprattutto negli intrighi di potere (e di sesso) nel
Palazzo in cui l’ingenuo Sigfrido resta imbrigliato. Sono tali da richiedere
l’olocausto di Brunilde e la fine del vecchio ordine nella speranza (il grande
accordo in mi bemolle maggiore con cui termina la tetralogia) di un mondo
migliore. Götterdämerung è anche l’opera del Ring in
cui l’eros (sparito dai palcoscenici italiani) è più declinato: il risveglio di
Sigfrido e Brunilde dopo la notte d’amore, la seduzione di Sigfrido da parte di
Gutrune, il bruto desiderio di sesso da parte di Hagen, lo scambio di coppie
(che occupa gran parte del secondo atto), i giochi erotici di Sigfrido con le
figlie del Reno, il ricordo sia di Sigfrido sia di Brunilde della prima volta
che fecero l’amore. Guy Cassiers e la sua squadra colgono bene questi aspetti
anche se avremmo preferito colori meno nordici, specialmente nelle scene dove
il Reno e la natura sono protagonisti. Occorre sottolineare l’alta qualità
della recitazione di tutti i tredici solisti – frutto non solo di prove ma
anche del fatto che questoGötterdämerung arriva alla Scala dopo
numerose repliche a Berlino.
Andiamo alla
parte musicale. Ha diretto Karl-Heinz Steffens: una concertazione puntuale ,
rispettosa dei tempi quali previsti da Wagner e (grazie a un’orchestra in
grande spolvero) tale da comunicare le tensione necessaria. Meno solenne di
Barenboim ma più intenso e tale da comunicare la drammaturgia con efficacia al
pubblico – come intendeva Wagner con il musikdrama.
Götterdämerung è anche l’unica opera del Ring con un
ruolo per il coro – vero protagonista del secondo atto e di parte del terzo
atto. Bruno Casoni ha diretto in modo eccellente il complesso scaligero. Di
grande qualità il cast vocale in generale, eccelle la Brunilde di Iréne Theorin
che ha, tra l’altro, il peso della grande scena finale. Lance Ryan è un
Sigfrido generoso ma con qualche difficoltà con la “mezza voce”. La vocalità di
Waltraud Meier comincia a risentire degli anni che passano , ed erra di nota
nel finale del duetto del primo atto. Mikhail Petrenko è un Hagen di grande
volume e duttilità ma con un timbro forse troppo chiaro. Grave come si vuole
l’Alberico di Johannes Martin Kränze. Adeguatamente perversi il Gunter di Gerd
Grochowski e la Gutrune di Anna Sumuil. Buoni gli altri. Meritate ovazioni al
termine dello spettacolo.
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