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L’analisi statistica ci dice che una ‘luna di miele’ di
un Governo con il Parlamento e l’opinione pubblica dura tra i sei e i nove
mesi. Tuttavia, esperienze recenti affermano che è in corso un
acceleramento, o, se si vuole, un accorciamento. Il Governo Monti
in Italia e la Presidenza Hollande in Francia hanno avuto ‘lune di miele’
di circa tre-cinque mesi a ragione, nel primo caso, del forte
aumento della pressione tributaria causata dal decreto Salva
Italia a cui non ha fatto seguito un impulso alla crescita (di
produzione , redditi ed occupazione) con il Cresci Italia e, nel
secondo caso, dall’avere fatto in campagna elettorale promesse che si sono
subito rivelate impossibili da mantenere.
Enrico Letta ha di fronte a sé una ‘ luna di
miele’ che minaccia di essere breve (come quelle di Monti e di
Hollande) anche a ragione di rissosità all’interno della
maggioranza, frutto inevitabile delle circostanze in cui è nata e
della mancanza di tempo per definire un programma chiaro, condiviso e tale
da non dare adito ad equivoci. Prima dell’inizio dell’estate, deve
avere avviato a soluzione i nodi economici e sociali più gravi.
Ciò vuol dire individuare subito un filo d’Arianna per percorrere un
labirinto complesso in cui le principali forze che sostengono il Governo
sostengono tesi contrapposte, con l’aggravante che nell’ambito di una di
queste forze si supportano linee tra loro contrastanti.
A mio avviso, il filo d’Arianna può essere composto di
questi elementi:
a) Ottenere dalle autorità europee una deroga-rinvio agli obblighi
relativi all’equilibrio strutturale di bilancio’ e all’arco di tempo per
portare lo stock di debito pubblico al 60% del Pil al pari di quanto già
concesso a Spagna e a Francia.
b) Mettere in atto misure efficaci per la ripresa e per aumentare il
tasso di occupazione, soprattutto giovanile.
c) Arrestare , o almeno rallentare, l’incremento del disagio sociale in
corso da anni ed aggravatosi negli ultimi mesi.
Vediamo gli aspetti essenziali di questi tre elementi.
In primo luogo , il saggio 'Does high public debt
consistently stifle economic growth? A critique of Reinhart and Rogoff'
(«Gli alti debiti pubblici impediscono davvero la crescita? Una
critica a Reihart e Rogoff» pubblicato poche settimane fa da Thomas
Herndon, Micheal Ash, e Robert Pollin
dell'Università del Massachussetts a Ahmerst mette in serio dubbio i
risultati del riassunti da Carmen Reihart e
Kenneth Rogoff autori di 'This time is
different: eight century of financial folly' («Questa volta è
differente: otto secoli di follia finanziaria») pubblicato nel 2009 presso
la Princeton University Press per presentare in modo organico una serie di
studi prodotti nell’arco di dieci anni.
Il lavoro mette in serio dubbio il teorema di Reinhart
e Rogoff in base al quale se lo stock di debito pubblico supera il
90% del Pil, la crescita potenziale subisce un freno pari ad un punto
percentuale del Pil. Tale ‘teorema’ è diventato , per anni, la
dottrina dominante delle istituzioni finanziarie internazionali e,
quel che più conta, la base della lettera del 2011 di Olli Rehn,
vice-presidente della Commissione europea, in cui si richiamavano i
ministri economici e finanziari dell’eurozona (e dei cosiddetto «PIIGS» in particolare)
a osservarla.
E successivamente della lettera della Banca centrale europea e della
Banca d’Italia al Governo italiano che innescò il cambiamento di esecutivo.
Reinhart e Rogoff hanno essenzialmente ammesso gli errori
statistici ed econometrici. Ho esaminato questi punti altrove con
maggior dettaglio tecnico. L’implicazione politica è che cadono le
ragioni per la lettera di Rehn (ed atti successivi) e ne
diminuisce il loro valore. Quindi, il Governo italiano ha le ragioni per
chiedere un trattamento pari a quello di Francia e Spagna all’ormai
imminente Consiglio Europeo del 22 maggio. E di conseguenza, la chiusura
immediata della ‘procedura d’infrazione’ (aperta contro Roma). Ciò
darebbe spazio ad una politica di bilancio più‘accomodante’ nei confronti
della crescita.
Le misure per la crescita devono riguardare principalmente le imprese e
l’occupazione giovanile. Ciò vuol dire non solo ridurre il ‘cuneo fiscale’
sul lavoro e adottare sgravi per le imprese che impiegano giovani ma anche
risolvere al più presto il problema dei debiti delle pubbliche
amministrazioni nei confronti delle imprese (il decreto pare
impantanato) e fare arrivare alle imprese l’aumento della liquidità
che resta parcheggiato presso le banche centrali e la stessa Bce.
Sul primo punto, un lavoro di Franco Bassanini e Marcello Messori mostra
come (seguendo un percorso già adottato in Spagna) si
possa risolvere il problema dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei
confronti delle imprese senza aggravare il deficit e lo stock di debito
pubblico. Sul secondo uno studio di quasi vent’anni fa di
Ben Bernanke e Mark Gertler (Inside the
Black Box : The Credit Channel of Monetary Policy Transmission) delinea
le misure che devono essere prese per evitare la penalizzazione di
cui soffrono le imprese italiane.
Per quanto attiene al terzo punto, dati recenti di Nomisma documentano
che in Italia il tasso di risparmio delle famiglie si sta
contraendo più che in altri Paesi europei e che la povertà sta crescendo
più che altrove. C’è il rischio di ‘social unrest’.
Occorre ripensare drasticamente il welfare perché i fondi pubblici vadano
effettivamente verso chi è in maggiore condizioni di disagio. L’aumento
del finanziamento della cassa integrazione in deroga è un tampone
temporaneo. Occorre andare rapidamente verso un ridisegno
degli ammortizzatori sociali.
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