mercoledì 8 maggio 2013

L’EUROPA E L’ESERCITO (DI DISOCCUPATI), Formiche (mensile) maggio



L’EUROPA E L’ESERCITO (DI DISOCCUPATI)
Giuseppe Pennisi
L’eurozona minaccia di avvitarsi nel ‘circolo vizioso della disoccupazione’. Lo ha detto in termini eloquenti il direttore del servizio studi di una delle maggiori banche dell’area , la ING, commentando i dati su chi cerca lavoro senza trovarlo pubblicati dall’Eurostat all’inizio di aprile. Nei 17 Stati dell’area dell’euro, si è superato un tasso di disoccupazione del 12% alla fine di marzo ed è probabile che si arrivi a sfiorare il 14% entro l’inizio dell’estate. Nei 27 dell’Unione Europea (UE), all’ultima conta (inizio febbraio) coloro alla ricerca di un lavoro superavano i 26 milioni. Queste cifre contrastano nettamente con quelle degli Stati Uniti dove il tasso di disoccupazione viaggia verso il 7,5% (il livello più basso dal 2008) e, dall’inizio del 2013, la creazione netta di posti di lavoro supera i 200.000 al mese.
Il ‘circolo vizioso’ dipende in gran misura da politiche macro-economiche e di bilancio allestite per promuovere la convergenza di finanza pubblica degli Stati dell’eurozona verso obiettivi comuni. Tali politiche sono in discussione; il dibattito durerà almeno sino a quando si sapranno i risultati delle elezioni tedesche in calendario per il prossimo settembre. Anche se è difficile pensare ad un riassetto del quadro istituzionale dell’area dell’euro prima di allora, ci sono leve che possono essere utilizzate , anche solamente con una più flessibile interpretazione dei trattati.
Una di queste è il potenziamento e l’impiego degli investimenti a lungo termine. Solo in Italia, il tracollo dell’investimento pubblico ha aggravato la contrazione dell’economia e provocato, nel biennio 2010-2011, unicamente nel settore delle costruzioni, una perdita di circa 350mila posti di lavoro, che arrivano a oltre 500mila se si considera anche l’indotto. Fenomeni analoghi – sottolinea un recente studio dell’Office Français des Conjunctures économiques (Ofce), prodotto in collaborazione con due altri istituti di ricerca: l’Imk di Düsserdolf e l’Eclm di Copenhagen- si riscontrano in varia misura in tutta l’eurozona.
All’inizio di aprile, la Commissione Europea ha diramato agli Stati membri un ‘Libro Verde’ sul ‘Finanziamento a Lungo Termine dell’Economia Europea’ che avrebbe meritato un maggior dibattito di quello che si è avuto, soprattutto in Italia (dove la politica era polarizzata dall’elezione del Capo dello Stato e dai tentativi di formazione di un Governo con caratteristiche di stabilità). Non è il consueto voluminoso documento in cui si descrivono le situazioni  e le posizioni dei 27, ma un sintetico testo di 15 pagine e mezzo in cui si sollevano 30 domande a cui si spera di avere risposte dagli Stati membri. Alcune di queste domande sono a carattere definitorio (cosa considerare e cosa non considerare ‘investimenti a lungo termine’) , altre riguardano l’analisi dei servizi della Commissione (in che misura la caduta degli investimenti a lungo termine ha avuto e sta avendo effetti negativi sulla crescita), altre ancora sono specificatamente tecniche (il ruolo dell’armonizzazione delle regole per i covered bond). Sotto una guisa che pare meramente professionale, però, si celano interrogativi con un forte contenuto di politica economica a cui non dovrebbero rispondere unicamente funzionari di dicasteri e di banche centrale: Cosa fare , a livello europeo, per incoraggiare gli investimenti a lungo termine? Come assicurarne la qualità in termini di effetti e di impatti (anche occupazionali) e di benefici per le giovani generazioni e quelle future? Quali modelli di conti di risparmio specifici incoraggiare per canalizzare le risorse delle famiglie verso gli investimenti a lungo termine? Come rivedere (e coordinare) il trattamento tributario e le regole contabili a livello europeo per facilitare impieghi a lungo termine? Come migliorare la trasparenza ? Come  far sì che le risorse per il lungo termine vengano dirette anche verso le piccole e medie imprese?
 L’insieme di queste domande sembra sottintendere la possibilità che almeno per parte dell’investimento a lungo termine si stia finalmente giungendo a riconoscere l’esigenza di un trattamento speciale nell’interpretazione del Fiscal Compact. E’ un punto molto forte. C’è da augurarsi che il questionario non resti nelle scrivanie di barracuda-esperti, ma ci sia un Governo in grado di fare sentire chiara e forte la propria voce a Bruxelles.

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