Letta e
Alfano hanno fatto goal ma non hanno vinto la partita
17 - 05 - 2013Giuseppe Pennisi
Con un Ministro dell’Economia ed nuovo Ragioniere Generale dello Stato che
godono della stima internazionale, si sarebbero dovuti evitare rinvii che hanno
il sapore fogazzariano delle "belle cose di pessimo gusto" e si
sarebbero dovute prendere misure chiare per crescita e occupazione
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva tentato di calmierare le
aspettative, avvertendo che dalla riunione del Consiglio dei Ministri non ci
sarebbero dovuti attendere “miracoli”, nonostante gli incontri del Ministro
dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni con i colleghi del G7,
dell’Eurogruppo e dell’Ecofin ed il “ritiro spirituale” dell’intero
governo in un’abbazia.
Le aspettative
Un bicchiere può sempre essere visto o mezzo pieno o mezzo vuoto. Tuttavia, molti si aspettavano qualcosa di più di: a)
il congelamento della rata di giugno dell’Imu sulla prima casa (e l’impegno di
una riforma della tassazione sull’edilizia entro il 31 agosto); b) un
rifinanziamento della Cassa Integrazione Guadagni in deroga per un miliardo di
euro; c) la proroga al 31 dicembre dei contratti a termine nel pubblico
impiego; e d) una serie di ritocchi ai “contratti di solidarietà” in vigore in
imprese in difficoltà.
Niente svolta
Probabilmente, dato il clima infuocato all’interno della maggioranza, si è
riusciti a segnare un goal, come commentato dal vice presidente del Consiglio,
Angelino Alfano. Non c’è, però, il colpo d’ala che avrebbe dato un carattere di
svolta effettiva all’esecutivo. Svolta che sarebbe stata più importante proprio
a ragione sia della situazione economica sia delle tensioni tra i partiti che,
volenti o nolenti, sostengono il governo.
Sarebbe stata tale svolta possibile? A mio avviso sì, a condizione che
Letta avesse scelto come proprio motto la frase rooseveltiana “la sola cosa che
dobbiamo temere è di avere noi stessi paura” e se avesse aperto la riunione con
un incipit mutuato da Winston Churchill “I soldi sono finiti, cari colleghi: è,
quindi, venuto il momento di pensare”.
No ai rinvii
Non c’è contraddizione tra i due periodi. Nell’attuale contesto italiano,
ed europeo, ciò che più dobbiamo temere sono i rinvii: le decisioni assunte (la
lettura dei decreti potrà smentirci) rappresentato principalmente rinvii (della
tassazione sull’edilizia, degli ammortizzatori “passivi”, del precariato nelle
pubbliche amministrazioni. I rinvii possono solo peggiorare una situazione già
grave; fare segnate un goal mettendo a rischio l’esito finale della partito.
Non dobbiamo avere paura di un’Unione europea a cui (basta leggere i dati
dell’ultimo euro barometro) hanno voltato le spalle oltre il 60% degli europei.
Men che mai dobbiamo avere paura dei
rimbrotti di Olli Rehn, la base economica della cui lettera ai Ministri
economici e finanziaria dell’eurozona è molto indebolita dal dibattito degli
ultimi mesi in cui gli stessi Carmen Reihnart e Kenneth Rogoff (autori della
dottrina dominante su cui la lettera è fondata) hanno fatto le loro scuse alla
comunità accademica.
Le misure per la crescita e l’occupazione?
Quindi, senza paura, avremmo dovuto pensare meglio a come uscire dal
labirinto. Con un ministro dell’Economia e delle Finanze ed nuovo Ragioniere Generale dello Stato
che godono della stima e della fiducia internazionale, si sarebbero dovuti evitare
rinvii che hanno il sapore fogazzariano delle “belle cose di pessimo gusto” (e
di poca utilità) di piccoli tempi antichi e si sarebbero dovute prendere
due-tre misure chiare sul piano della crescita e dell’occupazione.
L’uscita dalla procedura per deficit eccessivo
Ammesso che la tassazione sull’edilizia è materia delicata e complessa che
può meritare un paio di mesi per avere una soluzione tecnicamente adeguata, ci
si sarebbe dovuto muovere subito su due fronti: a) il costo del lavoro
riducendo il cuneo fiscale (non contributivo, perché ciò avrebbe comportato una
riduzione delle pensioni future, già basse, delle nuove leve) ; b)
l’investimento pubblico (e sgravi a quello privato per innovazione, ricerca,
istruzione e cultura in generale). Queste misure ci avrebbero posto a rischio
di non “uscire”, il 29 maggio, dalla procedura d’infrazione poiché potrebbero
far sì che non si raggiungesse il pareggio di bilancio nel 2013 ed, anzi, che
il disavanzo superasse il 3% del Pil? Non credo che Olli Rehn e colleghi si
sarebbero appigliati ad una dottrina un tempo dominante ma ora screditata.
Sempre che queste misure rivolte ad una crescita “inclusiva” fossero state
incluse in un programma coerente (il nuovo Documento di Economia e Finanza,
Def, ed una “nota aggiuntiva” a quello appena approvato) di sviluppo della
produzione, del reddito e dell’occupazione.
In attesa del 30 maggio
Si può rispondere a questi rilievi che è meglio attendere il 30 maggio,
ossia l’annuncio ufficiale della chiusura della procedura d’infrazione. Cautela
tale da sembrare timore reverenziale, o forse paura. Non solo Roosevelt, ma
anche la Lucia di Alessandro Manzoni in una frase famosa de “I Promessi Sposi”
dice, nel lazzaretto di Milano, “Paura di che”?
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