Così Letta e
Moscovici uniranno le forze per abbattere il Fiscal compact
01 - 05 - 2013Giuseppe Pennisi
Considerazioni a latere del tour europeo del premier Enrico Letta che ha
anche incontrato Angela Merkel
La “neuro-economia” – che coniuga psicologia, psichiatria e “triste
scienza” – è, almeno in Italia, disciplina poco conosciuta specialmente per
quanto riguarda l’economia reale (se ne interessano – pour cause! – coloro che
seguono Borsa e finanza). Uno degli aspetti della “neuro–economia” è lo studio
dei comportamenti dei soggetti economici (anche e soprattutto di chi ha
responsabilità politica) in base alle loro fisime (quali i colori delle
cravatte).
Nel suo blitz europeo (Berlino, Parigi, Bruxelles), il presidente del
Consiglio Enrico Letta dovrebbe cercare di osservare con attenzione la custodia
dell’I-Phone del ministro francese dell’Economia e delle Finanze, Pierre
Moscovici. Mentre Letta ha, per il suo cellulare, una custodia “normale” di
quelle che si acquistano per una diecina di euro al massimo, Moscovici sfoggia
un piccolo gioiello: una fodera su cui è ricamata l’effige di Léon Blum, il
mitico leader del Front Populaire negli anni che precedettero la Seconda guerra
mondiale.
Le due custodie dicono tutto: un “sobrio” ex-democristiano cresciuto
all’insegna della parsimonia (e che detesta sfoggiare); un socialista che va a
pranzo alla Brasserie Lipp, a cena alla Pérouse, non disdice champagne e
caviale ma sempre pronto a “combattere” per una “bonne cause”. Tutto si sa dei
buoni studi di Letta. Moscovici non gli è di meno: Science Po e Ena. Dal 1995 è
anche segretario nazionale del Partito Socialista francese. Al pari di Letta è
stato dal 1997 al 2002, Ministro agli Affari Europei. Pochi sanno che sino al
1984, il ben educato studente dell’Ena di progenie di buona borghesia romena e
polacca, quando usciva dall’Ena toglieva il gessato grigio, indossava jeans,
maglione e sciarpa rossa ed era uno dei leader più aggressiva della Lega dei
Comunisti Rivoluzionari (tenuti da Mitterand fuori dalla porta). Qualcosa di
quegli anni (oltre al fodero dell’I-Phone) gli è rimasto. Tanto quanto Letta è
pacato, Moscovici è aggressivo.
Perché ce ne interessiamo in questi giorni – anche coloro come il vostro
chroniqueur per i quali i pranzi da Lipp e le cene alla Pérouse sono un lontano
ricordo? Ambedue stanno negoziando con Frau Merkel come meglio interpretare
quel Fiscal Compact che Italia e Francia (con tanti altri) hanno sottoscritto.
Ed utilizzano tattiche molto differenti.
Moscovici lo dice a tutto tondo: la Francia “socialista” è la quinta più
grande economia a livello mondiale ed è la quarta (sempre a livello mondiale)
in termini di indice di attrazione per gli investimenti stranieri; l’ortodossia
“neo-liberista” dell’eurocrazia di Bruxelles è vecchiume riciclato dei tempi
dei “compianti” Thatcher e Reagan; la Francia metterà in ordine previdenza,
sanità ed aiuti alla famiglia ma il tetto dell’indebitamento delle pubbliche
amministrazione al 3% del Pil non è che un “feticcio” tanto più che Thomas
Herndon, Micheal Ash, e Robert Pollin della Università del Massachussetts a
Ahmerst hanno mostrato che i calcoli di Carmen Reihart e Kenneth Rogoff (base
delle missive del non-eletto Olli Rehn, Vice Presidente della Commissione
Europea, ai Ministri dell’Economia e delle Finanze dell’eurozona). La
“grandeur” della Francia trasuda da ogni poro. Uno stile, quindi, molto
differente da quello di Enrico Letta.
Che congetture fare? Due approcci contrapposti (ma con il medesimo
obiettivo, o con due obiettivi convergenti) possono essere efficaci nel
giungere ad una nuova interpretazione del Fiscal Compact.
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