venerdì 31 maggio 2013

Numeri, tesi, boccoli e parrucche di Palazzo Koch in Formiche 31 maggio



Numeri, tesi, boccoli e parrucche di Palazzo Koch
31 - 05 - 2013Giuseppe Pennisi Numeri, tesi, boccoli e parrucche di Palazzo Koch
Il problema centrale della scarsa efficienza adattiva dell’Italia a un mondo che sta cambiando profondamente e, quindi, della inadeguata capacità di utilizzazione delle proprie risorse (prima di tutto quelle umane) è essenzialmente politico: le istituzioni politiche sono rimaste quelle del "Novecento storico". Una lettura eterodossa delle Considerazioni finali del governatore Ignazio Visco
In un passo importante de L’Ancien Régime et la Révolution, Alexis de Tocqueville sottolinea che quanto più un’istituzione perde efficacia ed incidenza tanto più mette in atto riti complicati. Cita come esempio gli abiti sempre più complicate e le parrucche sempre più arzigogolate di Nobiltà e Clero proprio mentre si avvicinavano i giorni della rivoluzione e si arrotava la ghigliottina.
L’Assemblea di Bankitalia
Ho disertato la “parata” annuale a Palazzo Koch. Il 31 maggio non solamente nella passerella mancavano ragazze attraenti ma svolazzavano piccoli che pensavano di sembrare grandi se visti da grandi che facevano finta di essere piccoli. Dopo avere tentato (sempre con successo dato che i controlli erano laschi) di entrare in sala stampa un paio di volte, ho evitato lo spettacolo di cronisti economici e finanziari che, leggendo le “Considerazioni Finali”, discettavano come se fossero Premi Nobel della “triste scienza” senza rendersi conto che erano proprio loro a gettare un cono d’ombra triste sulla professione. Di conseguenza, credo si debba essere lieti che la cerimonia sia diventata più sobria.
Le parole di Visco
E’ anche diventata più utile? Difficile dirlo. Quest’anno le “Considerazioni Finali” sono state connotate da un “Do maggiore” nei confronti del ceto politico: “L’azione di riforma ha perso vigore nel corso dell’anno passato, anche per il progressivo deterioramento del clima politico”, ha detto Ignazio Visco aggiungendo che “i rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interesse particolare”. Bisogna riprendere le riforme “con decisione”. In questo contesto, il governatore della Banca d’Italia ha anche chiesto che non si dissipino i sacrifici compiuti dall’uscita della procedure d’infrazione dell’Ue in materia di finanza pubblica. “I sacrifici compiuti per conseguire e consolidare la stabilità finanziaria rispondono a rigidità a lungo trascurate, a ritardi accumulati nel tempo. L’uscita dalla procedura di deficit eccessivo ne è un primo frutto, da non dissipare. Va considerato un investimento su cui costruire”.
L’emergenza disoccupazione e il rafforzamento del sistema di protezione
In questo spirito ha dedicato una sezione chiave delle “Considerazioni Finali” all’occupazione, tema non necessariamente germano alle funzioni di un istituto d’emissione nel quadro del Sistema Europeo di Banche Centrali (Sebc). “Molte occupazione stanno scomparendo: negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro”. Quindi occorre “sin d’ora” creare nuove chance di impiego e di rafforzare “sistemi di protezione, pubblici e privati, nei periodi di inattività”. “Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all’11,5% lo scorso marzo – ha ricordato il governatore – si è avvicinato al 40% tra i più giovani, ha superato questa percentuale nel Mezzogiorno. La riduzione del numero di persone occupate è superiore al mezzo milione”. “Non bisogna aver timore del futuro, del cambiamento. Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati”.
Un aggiustamento rinviato troppo a lungo
Severo il giudizio sull’ultimo quarto di secolo quando “non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni”. “L’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica che necessita del contributo decisivo della politica, ma anche della società”.
Il messaggio al mondo bancario
Naturalmente, le “Considerazioni Finali” dedicano spazio ai temi più strettamente legati al mondo delle banche e della finanza: l’invito è a “spezzare la spirale negativa” nata dal calo dei prestiti bancari alle imprese da un lato e la flessione della domanda di credito da parte delle aziende che incide “negativamente sull’attività economica”. Visco ha invitato gli azionisti degli istituti di credito a sostenere finanziariamente le banche, “rinunciare ai dividendi quando necessario” e “accettare la diluizione del controllo favorendo all’occorrenza l’aggregazione con altri istituti”.
Il ruolo delle banche centrali
Bacchettando la politica e i politici e dando centralità ai nodi occupazionali, il governatore è uscito dal proprio seminato? Dato che l’istituto d’emissione è solo uno degli azionisti (e non certo quello di maggioranza) di chi fa la politica della moneta in Europa ed in Italia, sta tentando di darsi un nuovo ruolo come i Nobili ed il Clero osservato da Tocqueville? Non credo.
La politica e la crescita economica
Una settimana fa su questa testata ho ricordato due lavori che hanno suscitato un notevole dibattito nel mondo accademico anglo-sassone ma non sono citati nei “quaderni di storia economica” della Banca d’Italia e non appaiono nel dibattito italiano, anche se la traduzione di uno dei due (il primo citato) è da qualche giorno in libreria. I due libri esaminano, in modo differente, temi analoghi “Why Nations Fall: The Origins of Power, Prosperity and Poverty” di Daron Acemoglu e James Robinson (2012) e “Pillars of Prosperity; The Political Economy of Development Clusters” di Timothy Besley e Torsten Persson (2011). I due studi giungono alla conclusione che “non esiste un’ingegneria economica per la crescita” e che le determinanti meta-economiche più significative sono quelle politiche. Per Acemoglu e Robinson si può crescere se la politica fornisce “un assetto istituzionale inclusivo” (in cui si incoraggia la partecipazione e quindi la equa suddivisione di costi e benefici); se resta al palo con “un assetto istituzione estrattivo” che “arricchisce chi decide a spese del resto della società”. Lo diceva già negli Anni Cinquanta il Premio Nobel per l’Economia Gunnard Myrdal in un libro tradotto nei tascabili Feltrinelli con il titolo “L’elemento politico nella formazione delle dottrine dell’economia pura”.
Una politica vecchia
Il problema centrale della scarsa efficienza adattiva dell’Italia a un mondo che sta cambiando profondamente e, quindi, della inadeguata capacità di utilizzazione delle proprie risorse (prima di tutto quelle umane) è essenzialmente politico: le istituzioni politiche sono rimaste quelle del “Novecento storico” e, quindi, non operano con la necessaria speditezza in un contesto in rapida trasformazione. Ciò incide necessariamente sugli equilibri finanziari e monetari di stretta competenza della Banca d’Italia.
L’analisi è lucida, rigorosa e semplice. Quanti la capiranno? Quanti diranno che “è colpa del vicino, non loro”? Mentre si arrotolano i boccoli a parrucche che non rendono meno tagliente la ghigliottina.

giovedì 30 maggio 2013

Dopo 22 anni, "La Sylphide" di Bournonville torna al Teatro dell'Opera di Roma in Il Sussidiario del 31 maggio



OPERA/ Dopo 22 anni, "La Sylphide" di Bournonville torna al Teatro dell'Opera di Roma
venerdì 31 maggio 2013
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Dopo 22 anni di assenza è tornato al Teatro dell'Opera di Roma, La Sylphide di August Bournonville. Lo spettacolo è tanto amato dal pubblico che il corpo di ballo e le étoiles del Teatro dell’Opera lo hanno messo in scena, i questi anni, al Teatro Brancaccio, al Teatro Nazionale e nella stagione estiva delle Terme di Caracalla). Non è solo uno spettacolo breve (meno di due ore intervallo compreso) e gradevole ma La Sylphide ha una valenza particolare nella storia del teatro in musica. Nel 1830, è il balletto che sancì la fine dei balletti grandiosi basati sulla mitologia greco-romana: è la nascita del balletto romantico “francese”, nonostante la partitura e la coreografia attualmente utilizzata  siano di due  danesi, Hermann Severin von Løvenskjold e Erik Bruhn. Lo spettacolo venne però ideato per Parigi dove ebbe la prima rappresentazione.
Nel 1830, anno “rivoluzionario”, venne considerato innovativo perché trattava una vicenda (allora) contemporanea: l'amore impossibile di un uomo, James, che rinuncia alle certezze della realtà per inseguire La Sylphide, creatura fantastica che turba i suoi sogni. La situava, poi, tra le nebbie di una Scozia come poteva essere immaginata dalla Parigi dell’epoca. Era, poi, un balletto intimista, non colossale, che faceva perno su amori intricati ma delicati. La musica di Severin von Løvenskjold, che ha lasciato oltre ad un paio di altri balletti, un Singspiel e una Turandot (nessuno di questi lavori è stato ripreso in tempi moderni), è delicata come un calice di vino bianco dello Chablis. Per queste ragioni, piace ancora oggi; dal 1966 ad oggi il Teatro dell’Opera di Roma lo ha presentato in ben dodici stagioni , tra sala principale e sedi di più piccole dimensioni.
Il balletto nasce di Charles Nodier (autore molto noto del primo romanticismo francese, "Trilby ou le lutin d'Argail"). Il balletto e la sua coreografia hanno una storia complicata. Fu Adlpohe Nourrit, allora noto tenore dell'Opéra di Parigi, a suggerire a Filippo Taglioni l'idea di creare un balletto ispirato al racconto di Charles Nodier, dopo che egli vide la figlia del coreografo, Maria, danzare con estrema grazia e leggiadria in "Robert le Diable" di Jacques Meyerbeer. Il balletto conteneva un’innovazione tanto importante da fare storia: per la prima volta la protagonista (e le altre Sylphides) utilizzano scarpette da punta appositamente confezionale per dare una bellezza e di una leggerezza innaturale tale da calzare perfettamente al personaggio (e le sue amiche). Il tutù, il costume bianco della Silfide, ha creato uno stile che ha segnato il balletto per più di un secolo, ed è ancora oggi la divisa tipica della ballerina. Il tutù venne disegnato dal costumista Eugène Lamy, mentre gli altri costumi erano di Lormier. Con l'introduzione del tutù, "La Sylphide" dette l'avvio a una serie di "ballets blancs" o balletti bianchi che sarebbero diventati il simbolo dello stile Romantico. La coreografia , rappresentata per la prima volta all'Opéra di Parigi il 12 marzo 1832, è di Filippo Taglioni, con la musica composta per il balletto da Jean Schneitzhoeffer. Maria la danzò con Joseph Mazilier, circondata dagli straordinari macchinari scenografici di Pierre Luc-Charles Cicéri.
Nonostante il successo strepitoso del balletto e le innumerevoli repliche che ebbe in seguito, "La Sylphide" di Taglioni venne replicata solo fino al 1858, con interprete Emma Livry. Pochi anni dopo la prima rappresentazione della versione ideata da Taglioni, August Bournonville ideò una propria versione del balletto a Copenaghen, intitolato "Sylfiden". August, figlio e allievo di Antoine Bournonville, che dal 1792 era stato primo ballerino, poi maestro del Balletto Reale Danese, dopo aver studiato a Parigi con Auguste Vestris e Pierre Gardel, divenne il primo ballerino al Balletto dell'Opera di Parigi dal 1820 al 1828, al fianco di Maria Taglioni. Ritornato in Danimarca nel 1829 e nominato primo ballerino e coreografo del Balletto Reale Danese, dopo aver visto "La Sylphide" a Parigi nel 1834, creò una nuova versione del balletto, seguendo lo stesso schema e libretto di quella di Taglioni. Bournonville utilizzò una nuova partitura musicale, quella di Hermann Severin von Løvenskjold, e fece interpretare il ruolo della protagonista alla sua allieva prediletta, Lucile Grahn, ma ampliò il ruolo del protagonista, James: il 28 novembre 1836 a Copenaghen andò in scena la nuova Sylphide. La coreografia di Bournonville, rimasta attualmente come la versione più celebre del balletto, si distingue da quella di Taglioni, oltre che per la musica, per l'esuberanza, la leggerezza, la bellezza formale e per il maggior rilievo dato al ballerino maschio.
A Roma è stata presentata un’edizione davvero internazionale La versione di Erik Bruhn è stata ripresa da Maina Gielgud, lungo direttrice dell'Australian Ballet e del Balletto Reale Danese. Sul podio, l'esperienza e lo stile del britannico David Garforth. Le scene sono di Michele Della Cioppa, i costumi di Shizuko Omachi. Protagonisti: l’italiana Gaia Straccamore ed il cubano Rolando Sarabia. Buon successo alla “prima” il 28 maggio grazie alla bravura anche degli altri solisti e del copro di ballo. Sono in programma otto repliche questa stagione e riprese in futuro. A Roma, La Sylphide è ormai di repertorio.


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Accademia Santa Cecilia: Prendete nota in Quotidiano Arte del 31 maggio


venerdì 31 maggio 2013
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Lo slogan dello studio Venti caratteruzzi
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Accademia Santa Cecilia: Prendete nota
Giuseppe Pennisi
La comunicazione visiva legata alle istituzioni musicali denuncia un progressivo scollamento tra le modalità di fruizione della musica e i valori comunicati attraverso le campagne che la annunciano, la promuovono, ne comunicano i valori e “l’immagine”. Specialmente in Italia, le dinamiche con cui si trasforma la vita musicale moderna non vengono quasi mai lette visivamente: mentre la musica “classica” tende a caratterizzarsi sempre più come fenomeno collettivo di partecipazione alla performance, diminuendo progressivamente le connotazioni generazionali e di censo, la comunicazione visiva resta ancorata a modelli antiquati di spettacolo “borghese” non riuscendo a risaltare nel generico inquinamento visivo che affolla lo spazio urbano, laddove invece la musica classica è sempre più percepita come occasione di pulizia dei sentimenti e dell’udito, che in essa e nella sua espressività senza tempo, trovano rifugio dal frastuono quotidiano.
Lo studio Venti caratteruzzi, impegnato sin dalla fondazione nella ricerca sulla cartellonistica musicale, sull’“immagine” associata alla musica classica e sulle sue implicazioni in seno alla cultura occidentale, ha elaborato per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia un progetto realizzato intorno ai parametri di congruenza, consistenza, economia dei mezzi e centralità della musica. L’obiettivo è che l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia venga visualizzata non come una delle possibili “alternative” della vita concettistica italiana ma come espressione immediata e precipua della Musica, calata nel contesto moderno e coinvolgente del Parco della Musica di Roma.
Il progetto insiste su uno slogan di estrema sintesi e congruenza musicale: “Prendete nota”, leggibile contemporaneamente come: invito all’attenzione nei confronti della campagna abbonamenti; invito ad appropriarsi della musica avvicinandosi alla sua istituzione simbolo, il cui emblema campeggia al centro del lato opposto dell’immagine; ironico “Leitmotiv” riproponibile in qualsiasi momento della Stagione.

info: www.santacecilia.it



mercoledì 29 maggio 2013

Promozione Ue di corto respiro senza revisione della spesa in Avvenire 30 maggio



l’analisi Promozione Ue di corto respiro senza revisione della spesa


DI GIUSEPPE PENNISI L’ Italia «esce» dunque dalla procedura d’infrazione per ec­cessivo indebitamento netto delle pubbli­che ammi­nistrazione.

Non è l’uni­ca procedu­ra d’infra­zione aperta dall’Unione europea nei confronti dell’Italia – nume­rose altre, infatti, riguarda­no aspetti tecnici – ma la più importante per la valenza politica.

L’uscita è in ogni caso una pri­ma vittoria segnata dal go­verno Letta in materia di po­litica europea. Ed è stata pos­sibile anche grazie a misure severe adottate dal prece­dente governo Monti. Una volta considerato il significa­to politico attribuito al­la «certifica­zione » da parte del­l­’Eurostat, ovvero che non siamo più a rischio di «sforare» i parametri (e i vincoli) che abbiamo circo­scritto, la fine della «proce­dura », va comunque detto che la «chiusura» è stata cari­cata da aspettative. Occorre, quindi, analizzarne con cura le implicazioni nel breve e nel medio termine.

Le conseguenze immediate.


L’uscita dalla procedura vuo­le dire che non rientriamo più tra il gruppo dei Paesi «inda­gati » dall’Eurostat (e dagli al­tri servizi della Commissione europea) in quanto ad alta probabilità di non essere in grado di restare nell’alveo tracciato. L’«indagine» non si è conclusa però con un’ar­chiviazione: restiamo «atten­zionati » e ai primi segni di tra­sgressione dal percorso co­mune potremmo diventare «sorvegliati», «sorvegliati spe­ciali » e di nuovo «indagati». La Ue non propone né un condono né un’amnistia né un indulto. Non fa sconti. In­vita l’organo deliberante (il Consiglio dell’eurozona) a so­spendere le indagini (poiché abbiamo dimostrato che vo­gliamo e possiamo restare nei vincoli di trattati ed accordi), ma a continuare a seguirci con particolare cura.

Uscire dalla procedura potrà avere effetti immediati: ridu­zione dello spread (e quindi degli oneri sul bilancio pub­blico). Ciò dipende, in gran­dissima misura, da come i mercati leggeranno le reazio­ni politiche dell’Italia. Se si stappano troppe bottiglie di prosecco (la crisi ha allonta­no lo champagne dai Palazzi), se si invocano aumenti della spesa per questo o quel me­ritevole obiettivo, i mercati potrebbero dare una «lettu­ra » negativa come nell’esta­te 1992 e nell’autunno 2011. Con implicazioni nefaste. Quindi, è essenziale che l’E­secutivo sia coeso, abbia u­na voce sola e un Parlamen­to che lo supporta in questa delicata fase.

Le implicazioni di medio pe­riodo.


L’uscita dalla procedu­ra apre varie finestre d’op­portunità. Sul piano della fi­nanza pubblica, senza dover ricorre alla richiesta di un’e­stensione di due anni per il raggiungimento dell’equili­brio strutturale di bilancio (come ottenuto da Francia e Spagna, ora diventati «sorve­gliati speciali»), guadagnia­mo una maggiore flessibilità nel mantenere il disavanzo entro il 3% del Pil. Avremo in­dubbiamente un margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review e fosse tolto il «grasso» che appe­santisce la spesa pub­blica. Si po­trebbe an­che giunge­re a una spe­cie di «gol­den rule» – esenzione dal computo di parte degli investimenti co­finanziati con la Ue con o­biettivi altamente prioritari – per un aumento della pro­duttività e riduzione della di­soccupazione giovanile. Da anni la caduta delle pro­duttività è l’aspetto più preoccupante. I dati dell’ul­timo rapporto Ocse sono e­loquenti: in un decennio i co­sti del lavoro per unità di pro­dotto sono aumentati in Italia del 10% rispetto alla media dell’area dell’euro e del 35% ri­spetto alla Germania. Non si pensa cer­to a colmare la differenza con una riduzione dei salari net­ti in busta paga (mediamen­te tra i più bassi nell’eurozo­na), ma con misure atte ad aumentare produttività ed impiego. Agire sui costi uni­tari del lavoro non sarebbe sufficiente se l’azione non ve­nisse accompagnata da mi­sure per accorciare i tempi della giustizia civile, per rafforzare il sistema bancario in modo da diventare un mo­tore per il finanziamento del­le imprese, per snellire la bu­rocrazia, per accorciare i tem­pi del pagamento dei debi­ti alle imprese. Nei prossi­mi mesi, la Ue guarderà a questi aspetti (non solo ai saldi di bilancio) ed avre­mo una graduale maggiore flessibilità di finanza pub­blica (per lo sviluppo) man mano che mostreremo progressi in tali aree.

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L’uscita dalla procedura significa che non siamo più tra i Paesi «indagati» dall’Eurostat Margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review