Tre thriller
in musica
In queste ultime settimane si sono
visti in diversi teatri italiani tre thriller o gialli in musica. L’analisi del
nostro globetrotter melomane, da Venezia a Ravenna, da Amsterdam a Londra.
Scritto da Giuseppe
Pennisi | sabato, 6 aprile 2013 · Lascia un commento
Alexander Raskatov – Cuore di Cane
Dei tre gialli in musica visti in quest’ultimo periodo, uno resterà in
scena a lungo perché, dopo il debutto a Ravenna, si vedrà a Reggio Emilia e nella
seconda parte del Maggio Musicale fiorentino. Si tratta di un’occasione
abbastanza insolita perché il teatro in musica italiano colto raramente mette
in scena gialli, consuetudine diffusa, invece, in Germania sin dall’inizio del
Romanticismo e nella moderna opera americana. Non mancano le eccezioni: nel
1898 Fedora di Umberto Giordano (tratta, però, da un dramma francese) ha
un primo atto da vero e proprio dramma giudiziario e un finale a sorpresa
(truculento). Due dei tre thriller (la cui scrittura e composizione spanna dal
1920 ai giorni nostri) sono co-produzioni con teatri stranieri. Il terzo è una
produzione interamente italiana.
I tre lavori sono: Il caso Makropulos (1922) di Leoš Janácek è una co-produzione La Fenice di Venezia e Staatstheater di Norimberga e l’Opéra du Rhin di Strasburgo che è stata vista anche a Londra e Leeds e probabilmente arriverà su altri palcoscenici europei (e italiani); The Rape of Lucretia (1946) di Benjamin Britten, debutta a Ravenna per essere in aprile a Reggio Emilia e nella seconda metà di maggio al Maggio Musicale Fiorentino; Cuore di Cane (2010) di Alexander Raskatov, co-prodotto dall’Opera di Amsterdam e dall’English National Opera di Londra, tra qualche mese sarà all’Opéra National di Lione. Due forti donne, più degli uomini che le contornano, sono l’elemento centrale di Makropulos e Lucretia. Una società totalitaria dedita alle manipolazioni genetiche quello di Cuore. I primi due sono thriller tragici; il terzo è un’opera corrosiva sebbene inscritta in un contesto ironico e pieno di slapstick alla Fratelli Marx.
I tre lavori sono: Il caso Makropulos (1922) di Leoš Janácek è una co-produzione La Fenice di Venezia e Staatstheater di Norimberga e l’Opéra du Rhin di Strasburgo che è stata vista anche a Londra e Leeds e probabilmente arriverà su altri palcoscenici europei (e italiani); The Rape of Lucretia (1946) di Benjamin Britten, debutta a Ravenna per essere in aprile a Reggio Emilia e nella seconda metà di maggio al Maggio Musicale Fiorentino; Cuore di Cane (2010) di Alexander Raskatov, co-prodotto dall’Opera di Amsterdam e dall’English National Opera di Londra, tra qualche mese sarà all’Opéra National di Lione. Due forti donne, più degli uomini che le contornano, sono l’elemento centrale di Makropulos e Lucretia. Una società totalitaria dedita alle manipolazioni genetiche quello di Cuore. I primi due sono thriller tragici; il terzo è un’opera corrosiva sebbene inscritta in un contesto ironico e pieno di slapstick alla Fratelli Marx.
Leoš Janácek – Il caso Makropulos
In Makropulos siamo nella Praga degli Anni Venti. Un processo su una
complessa vertenza di successione si trascina da decenni. Proprio mentre sta
per scattare la prescrizione, entra in scena la bellissima giovane cantante
Emilia Marty, che tanto sa ma che è alla ricerca disperata di un manoscritto in
greco. Il dramma di Čapek dura oltre quattro ore ed è infarcito di discorsi
filosofici. È un apologo sul valore e sulla durata della vita come esperienza
terrena. Emilia Marty ha 327 anni: ha avuto negli oltre tre secoli vari nomi
tutti con le iniziali E.M.: suo padre, il negromante cretese Makropulos, aveva
predisposto una pozione di lunga vita per l’Imperatore d’Ungheria. Lei l’ha
provata ed è rimasta giovane per sempre. Ma allo scadere dei giorni in cui si
svolge la vicenda deve confezionare la pozione e berla di nuovo o morirà.
La ricetta si è smarrita nelle mani di un antenato di coloro che sono stati
coinvolti nel maxi-processo. Quindi, la sua ricerca affannosa. Emilia è così
bella che una delle controparti nel processo (senza sapere di essere un suo
bisnipote) si innamora perdutamente di lei, e che un altro si suicida quando
apprende che suo padre (in possesso delle carte in greco antico) dà il
documento in cambio di una notte di sesso con lei. Ma, sotto le lenzuola,
Emilia è fredda. In 300 anni, i suoi amici, i suoi amanti, le sue persone care
sono sparite. Quando, infine, ha il documento, lo cede alla fidanzata di uno
dei suoi innamorati, che lo rifiuta; così Emilia in pochi istanti invecchia e
muore. La regia di Robert Carsen (scene e costumi di Radu e Miruna
Bruzescu) spostano di qualche anno l’ambientazione dell’azione :dal
1922 agli anni in cui a Praga ha luogo la prima della Turandot di
Puccini (presumibilmente il 1929-30). Emilia Marty è, al secondo atto,
applauditissima protagonista dell’ultima opera pucciniana. Nella breve
introduzione musicale, l’abbiamo vista vestire costumi di opera barocca, di tragédie
lyrique, di romanticismo tedesco ed anche di Violetta in Traviata.
Non solo l’opera nell’opera ma un modo di mostrare come in trecento anni E.M.
abbia avuto modo di affinare continuamente le proprie qualità vocali, perdendo
progressivamente i propri sentimenti umani. Una drammaturgia molto efficace che
spiega il successo internazionale dell’allestimento.
Benjamin Britten – The Rape of Lucretia – photo Maurizio Montanari
La vicenda di The Rape of Lucretia è tratta della storia dell’antica
Roma: le scorribande del vizioso e brutale Tarquinio il giovane, durante il
regno dell’etrusco Tarquinio il Superbo. Siamo nel 500 a. C., ma il coro del
secondo atto è un inno alla pietà della Vergine e l’epilogo richiama il Calvario
e la redenzione. Tarquinio violenta la più virtuosa delle romane (che ne
morirà), ma sarà perdonato. Al pari di Peter Grimes, Billy Budd e
War Requiem, The Rape appartiene alle riflessioni di Britten sulla violenza
(e sulla virtù).
The Rape of Lucretia è un thriller per l’incalzare dell’azione e il finale a sorpresa. È anche un esempio di quello che Britten vede come il “teatro in musica dell’avvenire” in un mondo con restrizioni finanziarie per le arti sceniche, sempre più severe. Quindi anche se The Rape non è e non vuole essere un’opera da camera, ma una full opera che presenta una grande economia di mezzi: un ensemble di otto solisti in buca, otto contanti in scena di cui un soprano e un tenore danno corpo al coro. Grazie alla scena a due livelli e alle proiezioni, Daniele Abbado (regista e drammaturgo) crea l’impressione di un colossal con forti riferimenti all’attualità.
Non c’è invece alcuna economia di mezzi in Cuore di Cane di Alexander Raskatov. Nato nel 1953, dopo aver percorso un cursus honorum che lo fece ammettere all’Unione dei Compositori Russi nel 1979 (in età relativamente giovane), è stato una delle voci delle perestroika. Noto in occidente per la cameristica e la musica sacra (specialmente lo Stabat Mater del 1988), dal 1990 opera per lo più all’estero (Stati Uniti, Francia, Canada, Austria) dove insegna e compone. Il soggetto di Cuore, è tratto dall’omonimo romanzo di Michail Bulgakov (1925): uno scienziato trapianta il cuore di un cane moribondo nel cadavere di un uomo appena morto; nasce un nuovo soggetto dalle fattezze umane che ne combina di tutti i colori sino a quando il chirurgo fa l’operazione inversa, ma viene accusato di assassinio. Il romanzo si offre a molteplici letture: dalla satira del nuovo uomo sovietico protagonista della Nuova Politica Economica degli anni Venti alla critica radicale degli eccessi della scienza. Non piacque alle autorità e restò proibito nell’Urss. La prima edizione in russo risale addirittura al 1987. Circolava attraverso il samizdat, la rete clandestina della dissidenza.
The Rape of Lucretia è un thriller per l’incalzare dell’azione e il finale a sorpresa. È anche un esempio di quello che Britten vede come il “teatro in musica dell’avvenire” in un mondo con restrizioni finanziarie per le arti sceniche, sempre più severe. Quindi anche se The Rape non è e non vuole essere un’opera da camera, ma una full opera che presenta una grande economia di mezzi: un ensemble di otto solisti in buca, otto contanti in scena di cui un soprano e un tenore danno corpo al coro. Grazie alla scena a due livelli e alle proiezioni, Daniele Abbado (regista e drammaturgo) crea l’impressione di un colossal con forti riferimenti all’attualità.
Non c’è invece alcuna economia di mezzi in Cuore di Cane di Alexander Raskatov. Nato nel 1953, dopo aver percorso un cursus honorum che lo fece ammettere all’Unione dei Compositori Russi nel 1979 (in età relativamente giovane), è stato una delle voci delle perestroika. Noto in occidente per la cameristica e la musica sacra (specialmente lo Stabat Mater del 1988), dal 1990 opera per lo più all’estero (Stati Uniti, Francia, Canada, Austria) dove insegna e compone. Il soggetto di Cuore, è tratto dall’omonimo romanzo di Michail Bulgakov (1925): uno scienziato trapianta il cuore di un cane moribondo nel cadavere di un uomo appena morto; nasce un nuovo soggetto dalle fattezze umane che ne combina di tutti i colori sino a quando il chirurgo fa l’operazione inversa, ma viene accusato di assassinio. Il romanzo si offre a molteplici letture: dalla satira del nuovo uomo sovietico protagonista della Nuova Politica Economica degli anni Venti alla critica radicale degli eccessi della scienza. Non piacque alle autorità e restò proibito nell’Urss. La prima edizione in russo risale addirittura al 1987. Circolava attraverso il samizdat, la rete clandestina della dissidenza.
Alexander Raskatov – Cuore di Cane
Bulgakov ne realizzò una versione scenica per il Teatro d’Arte di Mosca nel
1926 che non ebbe miglior sorte e non poté essere rappresentata. La struttura
interna dell’opera è pressoché simmetrica: la scena 7 si conclude con
l’operazione che trasforma il cane Šarik nell’uomo (o semi-uomo) Šarikov; le
scene 8-16 corrispondono alle imprese di quest’ultimo sino all’intervento del
professor Filipp Filippovi che riporta Šarikov all’originaria condizione
canina. Rispetto a Bulgakov, l’opera concentra con maggiore continuità la
satira antitotalitaria (al di là degli specifici riferimenti al regime
sovietico del tempo, sono manifesti i richiami alle ombre inquietanti della
Russia contemporanea) e accentua il dramma del creatore che arriva a
distruggere la propria opera. È uno spettacolo grandioso con circa 30 solisti
in scena, mimi e burattini e un’orchestrazione eclettica. È rapido, veloce e
graffiante come un film di Charlie Chaplin. Per questo è piaciuto anche al
tradizionalista pubblico de La Scala.
Giuseppe Pennisi
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