l’analisi Misura che vale mezzo punto di Pil già nel 1° anno Ma se i soldi non arrivano subito diventa dannosa
DI GIUSEPPE PENNISI M entre è in dirittura d’ar¬rivo il pagamento effet¬tivo (ossia l’erogazione) di una prima tranche dei debiti pregressi della Pa nei confronti delle imprese, circolano anche i primi calcoli degli effetti concre¬ti sull’economia. In primo luogo, molto dipende dalla consistenza della «tranche» e delle modalità puntuali di ero¬gazioni. L’entità dovrebbe essere di 40 miliardi. In una prima boz¬za di decreto, il percorso previsto era senza dubbio complesso: sa¬rebbero passati mesi, ove non an¬ni, prima che la liquidità giun¬gesse là dove è necessario per produrre beni e servizi e offrire lavoro. I tempi sono essenziali perché se non si risolve (almeno in parte) il problema, la situazio¬ne non resta tale e quale (ossia come è oggi) ma peggiora: altre imprese sono costrette a chiude¬re lasciando senza lavoro i loro addetti.
Non sono ancora state annun¬ciate nel dettaglio le modalità del nuovo schema di decreto. E non sono mancate proposte che a¬vrebbero assicurato erogazioni in tempi brevi agli utilizzatori fina¬li, minimizzando l’impatto sui vincoli UE (Fiscal Compact e si¬mili), quale quella della Fonda¬zione Astrid rias¬sunta (vedi box a fianco).
In secondo luogo, per effettuare una stima puntuale degli effetti occor¬rerebbe: a) un’informazio¬ne abbastanza dettagliata sui set¬tori e sulle tipologie di imprese oggetto dell’intervento (gli effet¬ti indiretti variano ed hanno las¬si temporali differenti, ad esem¬pio nelle costruzioni sono più bassi ma si esauriscono in tempi più lunghi che nel manifatturie¬ro); b) una adeguata strumentazione econometrica. La seconda non manca: proprio ieri al Tesoro è stato presentato un nuovo inte¬ressante modello. Tuttavia, si sa poco o nulla sulla distribuzione settoriale dei 40 miliardi. E, quel che più grave, la matrice di con¬tabilità sociale dell’Italia (da cui calcolare moltiplicatori e inter¬dipendenze, ossia effetti indiret¬ti) è ferma al 1994, anche se l’Istat sta lavorando alacre¬mente per aggior¬narla.
In terzo luogo, le stime apparse in questi giorni sono molto approssi¬mative. Le più ottimiste giungo-no ad affermare che l’operazione produrrebbe un aumento di un punto percentuale del Pil. Le più prudenti parlano di un incre¬mento di circa 7 miliardi di inve¬stimenti produttivi nel primo an¬no (dopo l’operazione) e di dieci nell’arco di tre anni.
In quarto luogo – ed è questo il punto fondamentale – queste ed altre stime riguardano cosa av-verrebbe «con il decreto» (e l’e¬rogazione dei fondi) mentre si dovrebbe raffrontare questo scenario con quello «senza de¬creto » (e senza erogazione dei fondi). Uno scenario che non è lo status quo, ma l’aggravarsi della chiusura di imprese, di perdita di occupazione, insom¬ma della recessione.
Con le poche informazioni di¬sponibili, si può dire che un in¬tervento di 40 miliardi, se giunge prestissimo alla imprese credi¬trici (se ne tenga conto nel redi¬gere il decreto), può valere mez¬zo punto di Pil nel primo anno ed avere effetti positivi per un paio d’anni. Si può anche dire (le gran¬di imprese non ce ne vogliano) che si dovrebbe dare priorità al¬la piccole e medie imprese del manifatturiero perché sono quel¬le che hanno sofferto di più in termini di stretta creditizia e so¬no anche quelle a capitalizzazio¬ne più fragile.
LA PROPOSTA
COMPUTARE GLI ARRETRATI NEL DEBITO PUBBLICO
Secondo le regole contabili dell’Unione Europea, i debiti commerciali della Pa entrano a far parte del debito pubblico solo con l’atto di liquidazione o certificazione; secondo la proposta Astrid, invece tutti i debiti dello Stato scaduti e non contestati vengano immediatamente computati nel debito pubblico e nel patto di stabilità interno (anche se non sono stati ancora liquidati). Il rischio è che l’emersione dei debiti della Pa nei confronti delle imprese possa far lievitare il nostro debito a tal punto da rendere insolventi parti dell’apparato statale.Tuttavia, il connesso aggravio contabile nel rapporto italiano debito pubblico/Pil non innescherebbe reazioni negative dei mercati: l’Italia apparirebbe, invece, come un Paese virtuoso. La proposta da associare a questa idea di partenza è quella di incentivare le banche all’acquisto dei crediti certificati delle imprese per mezzo della facoltà unilaterale di cedere tali crediti alla Cassa Depositi e Prestiti. La Cdp avrebbe il diritto di riscuotere i crediti (sommati agli interessi); e, nel caso in cui l’amministrazione in difficoltà lo chiedesse, procederebbe alla ristrutturazione di questi crediti con la conseguente loro estinzione in un periodo di tempo più lungo.
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La priorità andrebbe data alle Pmi che più hanno sofferto la stretta creditizia
DI GIUSEPPE PENNISI M entre è in dirittura d’ar¬rivo il pagamento effet¬tivo (ossia l’erogazione) di una prima tranche dei debiti pregressi della Pa nei confronti delle imprese, circolano anche i primi calcoli degli effetti concre¬ti sull’economia. In primo luogo, molto dipende dalla consistenza della «tranche» e delle modalità puntuali di ero¬gazioni. L’entità dovrebbe essere di 40 miliardi. In una prima boz¬za di decreto, il percorso previsto era senza dubbio complesso: sa¬rebbero passati mesi, ove non an¬ni, prima che la liquidità giun¬gesse là dove è necessario per produrre beni e servizi e offrire lavoro. I tempi sono essenziali perché se non si risolve (almeno in parte) il problema, la situazio¬ne non resta tale e quale (ossia come è oggi) ma peggiora: altre imprese sono costrette a chiude¬re lasciando senza lavoro i loro addetti.
Non sono ancora state annun¬ciate nel dettaglio le modalità del nuovo schema di decreto. E non sono mancate proposte che a¬vrebbero assicurato erogazioni in tempi brevi agli utilizzatori fina¬li, minimizzando l’impatto sui vincoli UE (Fiscal Compact e si¬mili), quale quella della Fonda¬zione Astrid rias¬sunta (vedi box a fianco).
In secondo luogo, per effettuare una stima puntuale degli effetti occor¬rerebbe: a) un’informazio¬ne abbastanza dettagliata sui set¬tori e sulle tipologie di imprese oggetto dell’intervento (gli effet¬ti indiretti variano ed hanno las¬si temporali differenti, ad esem¬pio nelle costruzioni sono più bassi ma si esauriscono in tempi più lunghi che nel manifatturie¬ro); b) una adeguata strumentazione econometrica. La seconda non manca: proprio ieri al Tesoro è stato presentato un nuovo inte¬ressante modello. Tuttavia, si sa poco o nulla sulla distribuzione settoriale dei 40 miliardi. E, quel che più grave, la matrice di con¬tabilità sociale dell’Italia (da cui calcolare moltiplicatori e inter¬dipendenze, ossia effetti indiret¬ti) è ferma al 1994, anche se l’Istat sta lavorando alacre¬mente per aggior¬narla.
In terzo luogo, le stime apparse in questi giorni sono molto approssi¬mative. Le più ottimiste giungo-no ad affermare che l’operazione produrrebbe un aumento di un punto percentuale del Pil. Le più prudenti parlano di un incre¬mento di circa 7 miliardi di inve¬stimenti produttivi nel primo an¬no (dopo l’operazione) e di dieci nell’arco di tre anni.
In quarto luogo – ed è questo il punto fondamentale – queste ed altre stime riguardano cosa av-verrebbe «con il decreto» (e l’e¬rogazione dei fondi) mentre si dovrebbe raffrontare questo scenario con quello «senza de¬creto » (e senza erogazione dei fondi). Uno scenario che non è lo status quo, ma l’aggravarsi della chiusura di imprese, di perdita di occupazione, insom¬ma della recessione.
Con le poche informazioni di¬sponibili, si può dire che un in¬tervento di 40 miliardi, se giunge prestissimo alla imprese credi¬trici (se ne tenga conto nel redi¬gere il decreto), può valere mez¬zo punto di Pil nel primo anno ed avere effetti positivi per un paio d’anni. Si può anche dire (le gran¬di imprese non ce ne vogliano) che si dovrebbe dare priorità al¬la piccole e medie imprese del manifatturiero perché sono quel¬le che hanno sofferto di più in termini di stretta creditizia e so¬no anche quelle a capitalizzazio¬ne più fragile.
LA PROPOSTA
COMPUTARE GLI ARRETRATI NEL DEBITO PUBBLICO
Secondo le regole contabili dell’Unione Europea, i debiti commerciali della Pa entrano a far parte del debito pubblico solo con l’atto di liquidazione o certificazione; secondo la proposta Astrid, invece tutti i debiti dello Stato scaduti e non contestati vengano immediatamente computati nel debito pubblico e nel patto di stabilità interno (anche se non sono stati ancora liquidati). Il rischio è che l’emersione dei debiti della Pa nei confronti delle imprese possa far lievitare il nostro debito a tal punto da rendere insolventi parti dell’apparato statale.Tuttavia, il connesso aggravio contabile nel rapporto italiano debito pubblico/Pil non innescherebbe reazioni negative dei mercati: l’Italia apparirebbe, invece, come un Paese virtuoso. La proposta da associare a questa idea di partenza è quella di incentivare le banche all’acquisto dei crediti certificati delle imprese per mezzo della facoltà unilaterale di cedere tali crediti alla Cassa Depositi e Prestiti. La Cdp avrebbe il diritto di riscuotere i crediti (sommati agli interessi); e, nel caso in cui l’amministrazione in difficoltà lo chiedesse, procederebbe alla ristrutturazione di questi crediti con la conseguente loro estinzione in un periodo di tempo più lungo.
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La priorità andrebbe data alle Pmi che più hanno sofferto la stretta creditizia
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