sabato 20 aprile 2013

Le meraviglie del Settecento napoletano in Formiche del 20 aprile

Le meraviglie del Settecento napoletano

20 - 04 - 2013Giuseppe Pennisi
Lo sappia, il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: ci fu un tempo in cui la città da lui amministrata era la vera capitale d’Europa. Aveva un milione di abitanti, mentre Londra e Parigi arrivavano a circa 250.000; era la sede dell’innovazione intellettuale, alcuni intellettuali stranieri (come Charles de Brosses nel 1739 nelle sue memorie di Viaggio in Italia) la considerava ‘capitale musicale del mondo intero’). Intellettuali di tutto il mondo si sarebbero recati alla volta di Napoli (e la avrebbero scelta come loro residenza) al pari di quanto in altre epoche hanno fatto a Parigi, Londra, Berlino, Londra e New York. Insediandosi sul trono napoletano nel 1734, don Carlos di Borbone assume il titolo di Re delle Due Sicilie e diventa sovrano di due regni uniti nella sua persona ma indipendenti: il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia. Questa divisione, sancita dalla presenza a Palermo di un Viceré da lui nominato, lo mise in condizione di dedicarsi completamente alla parte continentale del regno, e soprattutto a Napoli e alla regione circostante. Lo fece concependo un piano di grandi interventi i quali, più che riguardare l’assetto interno dello Stato, si concentrarono proprio su una vasta strategia di modernizzazione della capitale.
La riscoperta del novecento
La musica di quel periodo è stata conservata in scrigni preziosi dei conservatori locali (San Pietro a Majella, la Scuola della Pietà dei Turchini). Dimenticata nell’ottocento (in quanto travolta prima dal neoclassicismo e de vere e proprie ‘rivoluzioni’ del romanticismo e del verismo), è stata riscoperta nel Novecento da musicisti come Casella, Malipiero e Pizzetti ed ora ha trovato punti fermi in Riccardo Muti (che per cinque anni ha dedicato all’’opera napoletana’ il Festival di Pentecoste di Salisburgo, portando i singoli lavori in giro per il mondo) ed in Antonio Florio, dal 1987 alla guida del complesso I Turchini da lui creato ed ormai noto ed apprezzato in tutto il mondo. L’originalità  dei programmi ed il rispetto rigoroso della prassi esecutiva barocca, fanno dei Turchini una delle punte di diamante della vita musicale italiana ed europea. L’ensemble è stato invitato ad esibirsi su palcoscenici importanti (Accademia di Santa Cecilia di Roma, Teatro di San Carlo, Palau de la Musica di Barcellona, Berliner Philharmonie, Wiener Konzerthaus, Teatro Lope de Vega di Siviglia, Associazione Scarlatti di Napoli, Teatro La Monnaie) e ha preso parte ai maggiori festival di musica antica europei: Festival Monteverdi di Cremona, Festival di Versailles, Nancy, Nantes, Metz, Caen, Ambronay, Festival de Otoño di Madrid, Festival di Musica Antica di Tel Aviv, Barcellona, Potsdam, BBC Early Music Festival, Cité de la Musique di Parigi, Saison Musicale de la Fondation Royamount, Festival Mozart di La Coruna.
Le opere in scena
Ricco il cartellone delle opere portate in scena o eseguite in forma concertistica dai Turchini: Il disperato innocente di Boerio, Dido and Ãeneas e The Fairy Queen di Purcell, Fessta napoletana, La Statira principessa di Persia (per il San Carlo), quindi Montezuma di Ciccio De Majo, La Partenope di Vinci in prima moderna, La finta giardiniera di Anfossi; L’Ottavia restituita al trono di Domenico Scarlatti, La Salustia di Pergolesi, Aci Galatea e Polifemo di Haendel.
Le tournée
Nelle loro frequenti, anzi continue, tournée nazionali ed internazionali, hanno fatto una tappa, il 19 aprile, alla Sala Sinopoli del Parco della Musica a Roma, nell’ambito della stagione di musica da camera dell’Accademia di Santa Cecilia. Hanno portato un programma davvero speciale: un’antologia di concerti per violoncello e complesso da camera. Con loro uno dei più noti violoncellisti e compositori su piazza: Giovanni Sollima (autore, tra l’altro, dell’opera Ellis Island sull’emigrazione italiana, soprattutto siciliana, negli Stati Uniti). Il concerto ha compreso lavori di Giuseppe De Majo, Nicola Fiorenza e Leonardo Leo (nonché una composizione di Sollima) e nei bis musiche di Pergolesi e Piasiello.
Cosa notare in una breve recensione?
In primo luogo, la differenza marcata tra i colori lievi (ma anche ironici e sornioni) dei concerti settecenteschi rispetto alla tinta cupa, pur se risolta in un ‘allegro’ finale, della composizione di Sollima. In secondo luogo, il modo in cui la ‘scuola napoletana’ anticipasse di almeno mezzo secolo Haydn e Mozart, specialmente nei ‘dialoghi’ tra il solista ed il resto del complesso. In terzo luogo, il senso di melanconia mediterranea che pervade pure i numeri apparentemente più leggeri.

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