Italia, ultimi e penultimi
(cultura e istruzione)
Il dato pubblicato in questi giorni dall’Eurostat
parla chiaro: siamo all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa
pubblica destinata alla cultura e penultimi per l’istruzione
di Giuseppe
Pennisi
L ‘Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione
Europea, ha comunicato che “L’Italia è all’ultimo posto in Europa per
percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2%
dell’Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale
di spesa in istruzione (l’8,5% a fronte del 10,9% dell’Ue a 27)”.
Eurostat ha comparato la spesa pubblica nel 2011 nei 27 Stati dell’Unione
Europea (UE).
C’è un nesso tra i due dati: in uno studio limitato
alla musica lirica nella primavera del 2006 ho documentato che la poca
attenzione all’istruzione in generale ed all’istruzione musicale in generale è
il ‘sottostante’ delle difficoltà finanziarie in cui, in Italia, versa il
settore.
Tuttavia, il nodo non è necessariamente la scarsezza
di risorse destinate al Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali (Mibac). Nel
recente volume I Beni Culturali tra Tutela, Mercato e Territorio a cura
di Luigi Covatta (Passigli Editore, Firenze 2013), uno studio condotto da me e
da Pietro Graziani (a lungo direttore del servizio centrale di controllo
interno del Mibnac) documenta che i differenti governi che si sono succeduti in
questi ultimi due decenni hanno cercato di trovare soluzione alla necessità di
immettere ingenti risorse pubbliche al fine di garantire la tutela e promuovere
la valorizzazione del patrimonio culturale, destinandole alle amministrazioni
(tanto dello Stato quanto delle Regioni e degli Enti locali) e contemplando
meccanismi per la loro efficiente ed efficace utilizzazione. Anche e
soprattutto a motivo dell’esperienza operativa del Mibac, la considerazione che
il bene culturale potesse essere un efficace volano di crescita economica e
sociale non è riuscita ad andare oltre la proposizione di limitati livelli di
esternalizzazione nell’esercizio dei servizi connessi alla valorizzazione del
bene (i cosiddetti servizi aggiuntivi) e la riformulazione, quasi
ossessivamente ripetuta a partire dal 1998 ad ogni cambio di compagine
ministeriale, dell’organizzazione amministrativa del Mibac stesso. I
consistenti finanziamenti straordinari che hanno interessato il Mibac nel
periodo 1986-1998 (Fio, l. 41/86, 160/88, 84/90, 449/92, ecc.) non sono stati
accompagnati da una parallela riforma dei meccanismi organizzativi e gestionali
e non sono riusciti a produrre effetti virtuosi di lungo termine; è mancata, in
ogni caso, la valutazione ex-post (tanto a completamento delle singole
iniziative quanto dopo alcuni anni di esercizio per esaminarne, con strumenti
quantitativi, risultati conseguiti, effetti ed impatti). Le esigenze di
bilancio connesse al rispetto dei parametri per la partecipazione dell’Italia
all’Unione monetaria europea hanno portato a una progressiva riduzione delle
risorse finanziarie messe disposizione del Mibac. Il finanziamento pubblico e
privato alla cultura ha così assunto a partire dal 2000 un andamento
discendente, che può essere così riassunto: (da Compendium Cultural Policies
and Trends in Europe, cap. 6.1.)
In breve, dopo una rapida crescita per due decenni,
dal 2000 c’è stata una contrazione delle spese Mibac: l’aumento dell’8% a
prezzi correnti corrisponde ad una riduzione del 6,4% a prezzi costanti (sulla
base dei deflatori di Datastream, ovvero il metodo utilizzato dal centro
studi per analizzare i prezzi da valori correnti a valori costanti e viceversa).
Diversificato il quadro ai vari livelli di governo, sia a ragione della
devoluzione legiferata nel 2001 sia a ragione di differenze di definizioni: in
termini reali, le spese del Mibac hanno avuto una contrazione del 18%, mentre
sono aumentate quelle dei comuni (5,7%) e delle province (13,8%) anche se in
termini assoluti le spese di queste ultimi restano basse. Analisi recenti (ad
esempio, il lavoro di Giovanni Signorello, Enrico Bertacchini e Walter
Santagata, Loving Cultural Heritage: Private Individual Giving and
Pro-Social Behavior, FEEM Working Paper N.11, 2010) e Civita-Unicab Le
donazioni in denaro a favore del patrimonio storico e artistico e dei
musei del nostro Paese, Roma 2009) indicano che, anche a ragione
dell’attuale normativa tributaria, i privati (individui, famiglie ed imprese)
non sono incoraggiati a contribuire con elargizioni liberali al settore.
Il nodo della capacità di spesa è il problema
centrale. Negli ultimi anni, il saldo effettivo di cassa decresce
percentualmente nel tempo per attestarsi intorno al 44% della competenza. Tale
andamento non è però determinato da un incremento significativo delle uscite
quanto piuttosto da un decremento delle entrate in particolare per il triennio
2006-2008.
La tempistica negli accreditamenti viene di solito
indicata come la principale determinante di questo andamento; gli
accreditamenti avvengono a volte a fine anno finanziario, determinando ipso
facto un trasportato (cioè gli importi spostati da un esercizio finanziario ad
un’altro). Tale determinante, però, si dovrebbe «assorbire» nell’arco di un
paio di esercizi finanziari, ossia i problemi del ritardo degli accrediti
nell’anno «n» dovrebbe essere risolto nell’«anno n + 2» o «n + 3» in quanto
ormai entrato nella prassi amministrativa. Altra determinante indicata è la
scarsità delle risorse professionali disponibili in ragione del blocco al
turn-over. In realtà, la tabella indica una costanza e persistenza del fenomeno
che appare prescindere dalla variabilità nella tempistica degli accreditamenti
(non univoca nel periodo in questione), comunque ammortizzabile in una
eventuale situazione a regime. Altra causa imputata è riconducibile alla
complessità delle procedure (progettazione, affidamenti con procedure ad
evidenza pubblica, collaudo, ecc.) connesse alla realizzazione dei lavori
pubblici nella cui categoria rientrano molte delle risorse finanziarie
accreditate. La scarsa capacità di spesa è pienamente confermata da uno studio
commissionato dal Segretariato generale del ministero al Centro Ask
dell’Università Bocconi di Milano e dell’Università di Roma «La Sapienza» ed i
cui risultati preliminari sono stati presentati il 13 dicembre 2010 al
Consiglio superiore dei beni culturali.
Prima di essere oggetto dello studio mio e di
Graziani, la scarsa capacità di spesa è stata oggetto di analisi da parte della
Corte dei Conti, della Ragioneria Generale dello Stato e della Presidenza del
Consiglio. Nel giugno 2009, il Consiglio Superiore del Ministero ha formulato
una serie di proposte per tentare almeno di alleviare il problema, prima che
l’attuazione della nuova normativa sulla contabilità pubblica portasse ad una
perdita netta di risorse. Le proposte sono state recepite dal Ministro allora
in carica. Non hanno, però, avuto attuazione. Con la conseguenza, che il Mibac
è stato uno dei Ministeri più colpiti dalla spending review.
© Riproduzione riservata
Autore
Nato a Roma nel 1942, ha avuto una
prima carriera negli Usa (Banca mondiale) sino alla metà degli Anni Ottanta.
Rientrato in Italia è stato Dirigente Generale ai Ministeri del Bilancio e del
Lavoro e docente di economia al Bologna Center della Johns Hopkins University e
della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di cui ha coordinato il
programma economico dal 1995 al 2008. Frequente collaboratore di quotidiani e
periodici, attuale scrive regolarmente per Avvenire. E’ Consigliere del Cnel in
quanto esperto nominato dal Presidente della Repubblica ed insegna alla
Università Europea di Roma. Ha pubblicato una ventina di libri di economia e
finanza in Italia, Usa, Gran Bretagna e Germania. Culture di musica classica, è
stato Vice Presidente del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto e critico
musicale del settimanale Il Domenicale dal 2002 al 2009; attualmente collabora
regolarmente in materia di lirica al settimanale Milano Finanza ed al
quotidiano britannico Music & Vision.
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