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LETTA/ Tasse e spese, lo "spartito" del melofilo Saccomanni
lunedì 29 aprile 2013
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NEWS Economia e Finanza
Pochi sanno che Fabrizio Saccomanni, neo-ministro dell’Economia e delle
Finanze, è un vero e serio melofilo. Lo conosco da quando vivevo a Washington.
Vi ero approdato nel 1967 (e ci restai sino al 1982). Fabrizio e suo moglie
Luciana vi arrivarono nel 1970 e vi vissero sino al 1975. Ci presentò Francesco
Palamenghi-Crispi, una persona squisita che era stato un amico di mio padre e
ha rappresentato per dieci anni l’Italia nel Consiglio d’Amministrazione del
Fondo monetario internazionale (organo che si riunisce di norma tre volte la
settimana e, quindi, i suoi componenti risiedono a Washington).
Io lavoravo in Banca mondiale nel settore progetti (quindi contornato da
ingegneri, agronomi e altri specialisti), lui al Dipartimento rapporti
commerciali e di cambio del Fmi; allora le due istituzioni erano ancora nello
stesso edificio e, quindi, era facile incontrarsi a lunch o per un caffè.
Scoprimmo che eravamo ambedue melofili e che avevamo trascinato nella nostra
passione le rispettive mogli. Lo era un po’ anche Palamenghi-Crispi, ma, come
molti italiani, i suoi “confini” erano Verdi e Puccini, mentre noi spaziavamo
molto nel teatro in musica dell’Europa centrale e orientale e nella
contemporaneità (in quegli anni le “prime mondiali” di Beatrice Cenci e Bomarzo
dell’argentino Alberto Ginastera venivano date in una Washington puritana
che si scandalizzava sia per i nudi integrali in scena, sia per la
dodecafonia). Altri melofili italiani con ruoli nell’economia (penso a Sergio
Cofferati, a Piero Giarda, a Mario Sarcinelli e ai compianti Bruno Visentini e
Luigi Spaventa) hanno la loro “melofilia” non ristretta ai nostri “campioni
nazionali” dell’Ottocento e primo Novecento.
Nella Washington dell’inizio degli anni Settanta, da giovani funzionari -
con stipendi da giovani funzionari (quindi, non elevati) - trovavamo sempre il
modo di abbonarci alla stagione della Washington Opera e di andare, in inverno,
alla tournée nella capitale federale della New York City Opera (allora davvero
all’avanguardia) e, in inverno, a quella del Metropolitan (molto tradizionale)
al Wolf Trap Farm Park, gran teatro all’aperto nei sobborghi ovest. Tornati a
Roma, mia moglie, Patrice, ed io scoprimmo che avevamo lo stesso turno
d’abbonamento dei Saccomanni al Teatro dell’Opera e ci incrociavamo spesso alla
sinfonica di Santa Cecilia. Quando Saccomanni era a Londra, alla Banca europea
per la ricostruzione e lo sviluppo, ci sorprese incontrare, nel luglio 2000,
lui e Luciana al Grand St. Jean, un teatro all’aperto a dieci chilometri da
Aix-en-Provence, dove era in scena quel capolavoro dadaista e cubista L’Amore
delle Tre Melarance scritto e composto dal “giovane” Serghej Prokofiev tra
il 1919 e il 1921 per Chicago e raramente rappresentato in Italia, anche a
ragione del suo spirito corrosivo nei confronti dei Palazzi.
Che c’entra tutto questo con le responsabilità di un Ministro dell’Economia
e delle Finanze di un’Italia che dopo avere ristagnato per dieci anni è in
recessione da cinque? Ci trase, ci trase, direbbe Antonio Di
Pietro. Il corrispondente de La Stampa da Parigi, Alberto
Mattioli, ha pubblicato un bel saggio “Anche Stasera - Come l’Opera Ti
Cambia La Vita”. Si può parafrasarlo dicendo che “l’Opera ti cambia
l’economia”. Tutti sanno che Keynes era tanto melofilo che costruì a suo spese
un teatro a Cambridge (che ne era priva) e lo gestì, per anni, in prima
persona. Pochi però sanno che Hayek ascoltava musica lirica alla radio mentre
si vestiva e, anche per questo motivo, arrivava alla London School of Economics
a fare lezione con un calzino verde e uno rosso. Gli esempi potrebbero
continuare: da Paul Volcker ad Angela Merkel.
Porre un alto dirigente della Banca d’Italia alla guida del ministero
dell’Economia e delle Finanze, vuol dire “commissariare” la politica economica
all’istituto d’emissione? Ossia il contrario di quanto avviene in Gran Bretagna
e Francia dove le relative banche centrali dipendono dagli indirizzi del
Tesoro. Ciò avvenne ai tempi di Guido Carli, ma non temo che si verificherà di
nuovo, perché sin dagli anni del Fmi, Saccomanni era noto come independent
thinker (ossia uno che pensa con la testa propria).
Come affronterà la tragédie lyrique dell’economia
italiana? In primo luogo, sa che, nonostante i drammi dagli aspetti anche
truculenti, tutte le tragédies lyriques hanno un lieto fine.
Le previsioni dei 20 maggiori istituti econometrici internazionali (pubblicate
nei giorni scorsi) sono caratterizzate da un “agitato con moto” nel 2013 e un
possibile “moderato cantabile” nel 2014. Per evitare tempi sfalsati e note
stonate, la strategia non può che prevedere una riduzione della spesa pubblica
e, in parallelo, della pressione fiscale-contributiva; una manovra “ben
temperata” nel cui quadro si potrà affrontare anche il nodo dell’Imu.
Occorre anche un rilancio dell’investimento pubblico. Lo ha già
sottolineato nelle prime interviste. A questo fine, e per un percorso più
morbido nell’equilibrio strutturale di bilancio, è essenziale un negoziato con
l’Unione europea. Dove sono apprezzati i buoni economisti e i buoni intenditori
di musica. Un po’ l’opposto del tax and spend conclamato da
Stefano Fassina. Il quale di buona musica non si intende.
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