SE LA TRAPPOLA E’ UNA BRETTON WOODS AL CONTRARIO
Giuseppe Pennisi
Al momento in cui viene scritto questa nota sono stati appena pubblicati i risultati elettorali ed è, quindi, difficile fare congetture sul prossimo Governo e sui suoi programmi. E’ ancora più arduo delineare quale potrebbe essere la strategia perché dopo vent’anni il Paese riprenda a crescere, unica strada per evitare un aumento della disoccupazione ed inoccupazione e l’incremento del rapporto tra debito pubblico e Pil, con inevitabili rischi d’insolvenza.
C’è , però, un aspetto di cui pochi parlano sulla stampa quotidiana, anche in quella specializzata in economia e finanza: la necessità perché quale che sia il Governo e la sua politica economica, l’Italia non rinunci ad essere uno degli Stati promotori di un’area di libero scambio atlantica.
E’ un progetto di cui si parla da circa cinquant’anni – alla metà degli Anni Sessanta si prefigurava una ‘Comunità Economica Atlantica’ (ossia un vero e proprio processo d’integrazione economica tra le due sponde dell’Atlantico, molto più pregnante di un’area di libero scambio). Successivamente, la brusca fine del sistema monetario creato nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods, la sempre maggiore attenzione degli Stati Uniti sia al resto del continente americano sia all’Asia, ed in parallelo l’attenzione dell’Unione Europeo al proprio allargamento (inglobando gran parte degli Stati dell’Europa centrale ed orientale) ed al proprio approfondimento (l’unione monetaria) hanno allontano il progetto sino a farlo accantonare. Anzi, dagli Anni Settanta ci sono state vere e proprie ‘ guerre commerciali’ inter-atlantiche da quelle sulla siderurgia e sulla metalmeccanica a quelle , più recenti, sulla proprietà intellettuale ed i brevetti. Nel contempo, nel continente americano, sono nati grandi mercati comuni, di cui il più importante è la Nafta (zona di libero scambio dell’America del Nord) e si stanno cominciando a porre le basi per qualcosa di analogo nel Bacino del Pacifico.
In febbraio, a Mosca, il G20 ha centrato un obiettivo di breve periodo: impedire il ritorno (alla grande) del protezionismo dopo la dichiarazione di morte della Doha development agenda (Dda), il negoziato multilaterale sugli scambi in corso, in seno all’Organizzazione mondiale del commercio(Omc/Wto), dal novembre 2001. Tuttavia, non è caso che, quasi in contemporanea del G20di Mosca, siano di nuovo iniziate conversazioni- non siamo ancora allo stadio di negoziati- per andare verso una zona di libero come base per una rinnovata partnership atlantica Usa-Ue. E’ un percorso tutt’altro che semplice poiché presuppone profondi cambiamenti nella politica agricola comune europea (a cui alcuni Paesi, specialmente Francia ed Olanda, si opporranno vigorosamente).
Tuttavia, solamente nel quadro di una partnership atlantica (di cui una zona di libero scambio Usa-Ue è una premessa essenziale) si potrà costruire una futura architettura finanziaria internazionale basata sulla trasparenza- ciò che né Fmi, né Ocse, né l’Institute of International Finance né la moltitudine di altre istituzioni sono state in grado di assicurare in questi ultimi venti anni. La trasparenza deve riguardare specialmente due aspetti: la leva finanziaria ed il rischio. Se questi due nodi sono risolti quelli della finanza strutturata “tossica” si risolvono senza perdere i benefici della finanza strutturata in buona salute.
La partnership economica atlantica , inoltre, non può che partire dall’abbattimento delle barriere commerciali per giungere ad una più rapida e migliore convergenza dei metodi, delle tecniche, delle procedure e delle prassi nazionali di vigilanza finanziaria ed un loro maggior coordinamento allo scopo anche e soprattutto quello di contenere il contagio , in caso di crisi..
I Governi dell’area atlantica devono operare per evitare la trappola di una Bretton Woods all’incontrario in cui, con il pretesto del riassetto delle regole e delle prassi in materia finanziaria, torni il protezionismo commerciali nelle vesti e nelle maschere più inconsuete.
Giuseppe Pennisi
Al momento in cui viene scritto questa nota sono stati appena pubblicati i risultati elettorali ed è, quindi, difficile fare congetture sul prossimo Governo e sui suoi programmi. E’ ancora più arduo delineare quale potrebbe essere la strategia perché dopo vent’anni il Paese riprenda a crescere, unica strada per evitare un aumento della disoccupazione ed inoccupazione e l’incremento del rapporto tra debito pubblico e Pil, con inevitabili rischi d’insolvenza.
C’è , però, un aspetto di cui pochi parlano sulla stampa quotidiana, anche in quella specializzata in economia e finanza: la necessità perché quale che sia il Governo e la sua politica economica, l’Italia non rinunci ad essere uno degli Stati promotori di un’area di libero scambio atlantica.
E’ un progetto di cui si parla da circa cinquant’anni – alla metà degli Anni Sessanta si prefigurava una ‘Comunità Economica Atlantica’ (ossia un vero e proprio processo d’integrazione economica tra le due sponde dell’Atlantico, molto più pregnante di un’area di libero scambio). Successivamente, la brusca fine del sistema monetario creato nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods, la sempre maggiore attenzione degli Stati Uniti sia al resto del continente americano sia all’Asia, ed in parallelo l’attenzione dell’Unione Europeo al proprio allargamento (inglobando gran parte degli Stati dell’Europa centrale ed orientale) ed al proprio approfondimento (l’unione monetaria) hanno allontano il progetto sino a farlo accantonare. Anzi, dagli Anni Settanta ci sono state vere e proprie ‘ guerre commerciali’ inter-atlantiche da quelle sulla siderurgia e sulla metalmeccanica a quelle , più recenti, sulla proprietà intellettuale ed i brevetti. Nel contempo, nel continente americano, sono nati grandi mercati comuni, di cui il più importante è la Nafta (zona di libero scambio dell’America del Nord) e si stanno cominciando a porre le basi per qualcosa di analogo nel Bacino del Pacifico.
In febbraio, a Mosca, il G20 ha centrato un obiettivo di breve periodo: impedire il ritorno (alla grande) del protezionismo dopo la dichiarazione di morte della Doha development agenda (Dda), il negoziato multilaterale sugli scambi in corso, in seno all’Organizzazione mondiale del commercio(Omc/Wto), dal novembre 2001. Tuttavia, non è caso che, quasi in contemporanea del G20di Mosca, siano di nuovo iniziate conversazioni- non siamo ancora allo stadio di negoziati- per andare verso una zona di libero come base per una rinnovata partnership atlantica Usa-Ue. E’ un percorso tutt’altro che semplice poiché presuppone profondi cambiamenti nella politica agricola comune europea (a cui alcuni Paesi, specialmente Francia ed Olanda, si opporranno vigorosamente).
Tuttavia, solamente nel quadro di una partnership atlantica (di cui una zona di libero scambio Usa-Ue è una premessa essenziale) si potrà costruire una futura architettura finanziaria internazionale basata sulla trasparenza- ciò che né Fmi, né Ocse, né l’Institute of International Finance né la moltitudine di altre istituzioni sono state in grado di assicurare in questi ultimi venti anni. La trasparenza deve riguardare specialmente due aspetti: la leva finanziaria ed il rischio. Se questi due nodi sono risolti quelli della finanza strutturata “tossica” si risolvono senza perdere i benefici della finanza strutturata in buona salute.
La partnership economica atlantica , inoltre, non può che partire dall’abbattimento delle barriere commerciali per giungere ad una più rapida e migliore convergenza dei metodi, delle tecniche, delle procedure e delle prassi nazionali di vigilanza finanziaria ed un loro maggior coordinamento allo scopo anche e soprattutto quello di contenere il contagio , in caso di crisi..
I Governi dell’area atlantica devono operare per evitare la trappola di una Bretton Woods all’incontrario in cui, con il pretesto del riassetto delle regole e delle prassi in materia finanziaria, torni il protezionismo commerciali nelle vesti e nelle maschere più inconsuete.
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