Non so il
ministro della Coesione Territoriale, Fabrizio Barca, sia “disceso” o “salito”
in campo. Tuttavia, per quanto abbiamo weltanschaungeen (visioni
politico-culturali del mondo) piuttosto differenti, ci frequentiamo da un certo
numero di anni; non da quando ha un incarico di governo per la buona prassi di
non cercare amici in ruoli ufficiali ove non si è esplicitamente cercati.
Non
solamente ci rispettiamo a vicenda ma credo che abbiamo reciproco piacere a
scambiare idee. Siamo ambedue economisti di formazione anglosassone, anche se
Barca è chiaramente e decisamente marxista (d’altronde la Cambridge nel Regno
Unito è stata per decenni l’ultimo avamposto dei seguaci di Karl Marx in
Occidente) e io mi considero di tradizione neo-classica liberal-liberista (pur
se con una punta di “strutturalismo” di marca più asiatica ed africana che
latino-americana). Ho sempre trovato stimolanti le discussioni con lui.
Non è, però,
a ragione del piacere della conversazione che ritengo che, ove Barca “scenda” o
“salga” in politica attiva, egli sia la persona adatta a fare diventare
“europeo” il Pd, a porre un partito la cui dirigenza sembra logora e la cui
struttura organizzativa (capillare, costosa e poco efficiente) ricorda il mondo
di fare politica nel Novecento storico più che nell’era dell’integrazione
economica internazionale. Le ragioni sono le seguenti:
In primo
luogo, Barca ha una profonda ‘culture’ internazionale non solo per gli studi a
Cambridge e per il lungo lavoro in stretto contatto con le istituzioni europee
ma anche e soprattutto perché ha una famiglia internazionale. Così come, con
mia moglie Patrice, alterno italiano con inglese e francese in gran misura in
funzione dell’ambiente in cui siamo, penso che anche lui parli
indifferentemente italiano o inglese con sua moglie Clarissa (e con i loro
figli) a seconda della circostanze. Non è un dettaglio secondario. Così come
non lo è leggere come primo quotidiano un giornale straniero (nel mio caso
l’International Herald Tribune che mi viene recapitato alle 6,30 ogni mattina).
L’utilizzazione di una lingua internazionale, e la lettura di un quotidiano
internazionale, pongono le nostre faccende di bottega in un contesto più vasto.
Probabilmente, quello più appropriato per comprenderle e per distinguere ciò
che è davvero importante da ciò che riguarda litigi da comari.
In secondo
luogo, si deve a Fabrizio Barca la migliore analisi del capitalismo italiano e
dei suoi problemi. Suggerisco di leggere non tanto i suoi lavori pù prettamente
accademici quanto lo snello “Il capitalismo italiano, storia di un compromesso
senza riforme” edito da Donzelli una quindicina di anni fa. E’ un’analisi
puntuale di come si è arrivati alla situazione attuale, di quali sono i
compromessi che bloccano le riforme e di quali sono le riforme essenziali che
occorre fare per rimettere in moto l’Italia.
E’
un’analisi, of course, di un’economista di scuola marxista ma in gran misura
condivisibile perché rigorosa ed “europea”. Le implicazioni sono riforme ben
differenti da quelle delineate da uno Stefano Fassina e dall’attuale scuderia
del PD. L’agenda per il cambiamento, di cui si è spesso parlato in questi
giorni dandole contenuti fumosi (per utilizzare un lessico elegante), la si
ricava dalle misure per ridurre quel “compromesso senza riforme” che da decenni
blocca l’evoluzione della società e da vent’anni arresta la produttività dei
fattori produttivi. E’ un’agenda che pone come sue prime misura la rottura di
recinti alla base di privilegi.
In terzo
luogo, Barca ha avuto modo di conoscere amministrazioni pubbliche molto
efficienti (la Banca d’Italia) e molto inefficienti (Ministeri, Regioni) e di
avere anche esperienze in organizzazioni internazionali di differente spessore
e qualità. Quindi, ha consapevolezza dei limiti dell’azione amministrativa,
anche quando è guidata dall’azione politica con le migliori intenzioni. Non se
ha mai letto il capolavoro che ha fatto ottenere il Premio Nobel a V.S. Naipul,
il romanzo A Bend in the River ma è certamente d’accordo con il messaggio di
fondo del libro: per l’uomo l’utopia è la cosa peggiore. Lo è ancor di più per
chi fa politica ed assume posizioni di leadership.
Questi
elementi inducono a pensare che Fabrizio Barca posso tirare il Pd fuori dalle
secche in cui si è messo e portarlo ad essere un partito socialdemocratico di
livello europeo.
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