domenica 7 aprile 2013

Samson in bianco e nero e con la frusta in Formiche del 7 aprile



07 - 04 - 2013Giuseppe Pennisi
SAMSON ET DALILA_Olga Borodina(Dalila), Elchin Azizov(Gran Sacerdote di Dagon)_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_3842
SAMSON ET DALILA_Olga Borodina(Dalila)_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_3820
SAMSON ET DALILA_Olga Borodina(Dalila)_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_4255
SAMSON ET DALILA_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_3782

SAMSON ET DALILA_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_4018
SAMSON ET DALILA_Opera Roma,Stagione 2012-13_foto LellieMasottiCTeatro dell'Opera di Roma_4058

Il Samson et Dalila di Camille Saint-Saën in scena al Teatro dell’Opera di Roma dal 5 al 13 aprile non ha decisamente nulla a che vedere con il ‘colossal’ di Cecil B. De Mille del 1949 in cui Victor Mature era il fortissimo eroe ebreo e Hedy Lamar l’ammaliatrice filistea (tale da pentirsi , però, alla fine e complottare con l’eroe che ha fatto accecare per distruggere il Tempio del Dio Dagon (con tutti i capi dei filistei destinati a perire tra le rovine). Non assomiglia neanche ai numerosi DvD in commercio (il più diffuso è quello del Metropolitan) che in vario modo interpretano la partitura come un grand opéra: grandi scene, balletto leggiadro ma lussureggiante al termine del primo atto, baccanale grandioso nel secondo. Non è neppure un’attualizzazione di quelle che si vedono in Germania: con lotta cruenta tra Hamas ed Israeliani, dato che la vicenda si svolge a Gaza e dintorni.
Carlus Padrissa, alla guida della Fura dels Baus , il gruppo catalano famoso in tutto il mondo per gli spettacolari allestimenti di grande impatto visivo, è stato chiamato a dirigere gli aspetti drammaturgici del lavoro (che mancava da Roma dalla Stagione 1962-63,quando fu rappresentato in un allestimento ‘colossal’ con due protagonisti di prestigio: Giulietta Simionato e Mario Del Monaco). Nelle mani della della Fura dels Baus, la vicenda diventa atemporale (nell’ultimo atto i filistei sono vestiti come borghesi di oggi) ed in bianco e nero (tali gli elementi scenici, i costumi e le proiezioni). Recupera, specialmente nel primo atto, le intenzioni di Saint-Saën che aveva inizialmente concepito il lavoro come un oratorio da eseguire principalmente in Chiesa (allora il Clero doveva essere piuttosto permissivo data la sensualità del secondo atto ed il baccanale del terzo). Il secondo atto, per la Fura dels Baus, è un lungo amplesso in bianco e nero dove, attenzione, Dalila (Olga Borodina) vesto un lungo e casto abito nero anche durante il coito in cui strappa Sansone (Alexandr Antonenko) il segreto della sua forza. Nel terzo atto, il baccanale è un sadico quadro di torture a giovani ragazze e ragazzi ebrei prima di essere immolati al Dio Dagon , ed alla ritrovata forza (grazie alle preghiera) di Sanson che distrugge il Tempio con tutti i filistei. A mio avviso, ed a molti dei critici in sala, l’allestimento è elegante e risolve alcuni problemi: la sostanziale mancanza di azione teatrale e nel terzo atto la musica violentissima che accompagna il baccanale – più adatta ad un quadro intriso di sadismo che ad una danza. Ai palchi alti ed al loggione, questa lettura è piaciuta poco o nulla data la bordata di fischi a Carlus Padrissa ed a suoi colleghi.
Andiamo alla parte musicale. Saint-Saën era un grande ammiratore dell’opera romantica tedesca e delle innovazioni apportate da Wagner. Saint-Saën ambiva che Samson et Dalila diventasse unTristan und Isolde in stile francese , collocato, però, nel contesto dello scontro tra filistei ed ebrei. Il Teatro dell’Opera ha trovato due voci d’eccezione: Olga Borodina, nei panni della In effetti, nonostante il lavoro avesse tutte le carte per appassionare il pubblico della Terza Repubblica (trama orientale, forte carica sensuale, finale perbenista in cui i ‘malvagi’ vengono puniti) non ebbe grande successo quando venne presentato. La ‘prima’ ebbe luogo, in traduzione ritmica tedesca, nel 1877 nel piccolo teatro di Weimar. Apparve in Francie nel 1890 a Rouen. Né Weimar né Rouen potevano mettere in campo i mezzi per un ‘gran opéra’ con una vasta orchestra, corpo di ballo e complesse scenografia. In questa edizione del Teatro dell’Opera la direzione musicale è affidata ad una delle maggiori, e più attente, bacchette francesi, Charles Dutoit.
Fin dal preludio, Dutoit fa avvertire un fluido scorrere di archi (come nell’introduzione de L’Oro del Reno) e dal coro sommesso che esprime la desolazione degli ebrei, Saint-Saën riesce a effettuare una fusione davvero unica tra la musica corale di Händel, Banch e Mendelssohn e le innovazioni wagneriane in cui ci sono elementi tipicamente francesi: l’aria di ingresso di Sanson è molto vicina a Gounod o al Verdi di Otello (e non ha nulla di un heldtenor tedesco) e il satrapo Abimelech (Mikhail Korobeinikov) è ritratto da un aria baritonale dal gusto orientaleggiante accompagnata da ottoni gravi e da legni invece acutissimi (un anticipo delle danze del secondo atto).
Dopo un breve omaggio al gusto verdiano (il terzetto tra Sansone, Dalida ed il Vecchio Ebreo- Dario Russo ), Saint-Saën chiude il primo atto con un coretto sensuale e floreale di fanciulle ebree e l’aria di sortita di Dalida Printemps qui commence – il personaggio viene tratteggiato da Olga Borodina in modo efficace con pochi tratti: nulla di più distante da Isolde, Dalida è una popolana ‘ fascinosa ‘ ed ammaliatrice che, secondo alcuni, ricorda la Carmen di Bizet ed anticipa la Parisina di Mascagni o la Silvana de La Fiamma di Respighi.
Nel secondo atto la presenza di Borodina – Dalida domina tutta la partitura : già il preludio è intriso di sensualità per preparare la grande aria Amour, viens aider ma faiblesse che prepara un lungo duetto di seduzione (più che d’amore) chiuso da un’altra aria della protagonista Mon coeur s’ouvre à toi di grande bellezza a cui si aggiunge la voce di Sansone. Che quest’ultimo sia un tenore lirico spinto (una voce più verdiana che wagneriana) è mostrato a tutto tondo nel terzo atto, specialmente nell’aria in cui offre a Dio la sua sofferenze , Je t’offre , O Dieu, mon âme brisée, perché ritrovi la forza di un tempo. Nelle scene successive, il baccanale, l’inno de filistei al Dio Dagone, ritroviamo i materiali del primo atto in funzione revocatrice, mnemonica ben distinta dai leitmotive wagneriani sino a culminare nel grande finale.
In breve, un’esecuzione musicale di altissimo livello che ha appassionato anche coloro che hanno fischiato Pedrissa.


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