Il
soldatino anti-comunista di Igor Stravinskij
30 - 04 - 2013Giuseppe Pennisi
La
sera del 28 aprile, nella magnifica “Sala Accademica” di Via dei Greci (sede
storica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia) nell’ambito del programma di
concerti dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, è stata presentata la versione
integrale dell’Histoire du Soldat di Igor Stravinskij.
Il
compositore, sempre profondamente anti-comunista, aveva lasciato la Russia alle
prime avvisaglie della rivoluzione sovietica ma proprio cento anni fa aveva
portato in Francia la musica tradizionale russa con quel Le Sacre du Primtemps
che causò notevole scalpore a Parigi ma trionfò a Montecarlo, prima, e nel
resto d’Europa, poi.
Con
la prima guerra mondiale su suolo francese, emigrò povero in canna in Svizzera
dove composti lavoro proprio allo scopo di girare per città e villaggi a costi
bassissimi: comporta un attore – voce recitanti (nelle versioni più elaborate –
ne ricordo una alla Piccola Scala nel 1980 ed uno all’Orchestra Sinfonica di
Roma nel 2011- vengono utilizzate marionette) ed un ensemble di sette
strumentisti (violino, tromba, clarinetto, fagotto, trombone, percussioni,
contrabbasso). E’ una micro-opera. Verso schemi simili andò Britten dopo la seconda
guerra mondiale a ragione delle sempre maggiori difficoltà di allestimento di
opere tradizioni che il compositore preconizzava a causa delle crescenti
restrizioni economiche e dell’aumento di offerta in altri settori (cinema,
televisione, viaggi).
Oggi
alcuni compositori italiani e stranieri stanno tornando verso “opere da camera”
e “micro-opere”. L’ Histoire è, quindi, lavoro che apre un solco nel “Novecento
storico”: l’abbandono delle opere post-romantiche e veriste con enormi organici
ed il ritorno all’opera da salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni
Gavazzeni ricorda un altro aspetto importante de l’ Histoire: è il lavoro con
cui Stravinskij effettua una sbalorditiva virata al periodo russo alla poetica
neoclassica sino ad approdare in vecchiaia alla dodecafonia in un’operina per
la televisione finanziata da una casa di dentifrici.
La
trama è di un’innocenza al limite dell’ingenuo ma i versi di Charlez Ramuz
messi in musica da Stravinskij ne fanno un’ironica ma profonda considerazione
sulla condizione umana. Oppure una parabola: il diavolo, subdolo ed ingannatore
che promette ricchezza e felicità al povero soldatino, viene da quest’ultimo
sconfitto. E’ anti-comunista perché il diavolo è – lo ha detto lo stesso
compositore – il Soviet che tutto promette e nulla dà. Attenzione pochi sanno
che Stravinskij, morto nella propria villa vicina a New York, chiese di essere
sepolto in Italia per (lo è nel cimitero di Venezia) e che, nonostante la sua
avversione al comunismo, era assolutamente apolitico, come rivela un’intervista
data in Francia, durante il Fronte Popolare, in cui dice di “aborrire” la
sinistra, “detestare” la destra e che il centro gli “fa semplicemente schifo”.
L’orchestra
del Teatro dell’Opera di Roma ha presentato un’edizione senza inutili
abbellimenti, come fecero una decina di anni fa sia lo stesso Teatro
dell’Opera in un’edizione scenica al Teatro Nazionale sia il Roma-Europa
Festival al Teatro India.
Beppe
Barra era la voce recitante che interpretava con sagacia i vari ruoli . Efficace
l’ensemble anche se il direttore Carlo Donadio avrebbe dovuto curare di più gli
impasti (a volte gli ottoni predicavano sugli altri) e fare attenzione di non
coprire la voce di Barra. Bravi i solisti, soprattutto Vincenzo Bolognese al
violino, Massimo Ceccarelli al contrabbasso Rocco Luigi Bitondo alla batteria
ed i legni (Angelo De Angelis , Eliseo Smordoni) . Un po’ troppo bandistici gli
ottoni (Davide Simoncini e Angelo De Angelis).