Una nuova lettura del “Nabucco”
24 - 07 - 2013Giuseppe Pennisi
Il Teatro dell’Opera di Roma ed il Ravenna Festival hanno riproposto in
questi giorni il “Nabucco” che ha debuttato a Roma nel marzo 2010 ed è stato
presentato in forma di concerto a San Pietroburgo al “Mariinskiy”. Non si
tratta di una mera ripresa: lo spettacolo chiuderà (con tre repliche a cavallo
tra fine agosto e l’inizio di settembre) il Festival di Salisburgo. Sulle rive
del Saar, Muti (maestro concertatore e direttore musicale dello spettacolo) è
di casa, ma per i complessi del Teatro della capitale si tratta di un’occasione
di grande importanza.Dato che “Nabucco” viene considerato opera risorgimentale per eccellenza, quasi un’icona. Prima di sottolineare le caratteristiche e le qualità dello spettacolo, però, vale la pena riprendere il tema su quanto Verdi possa essere considerato “il bardo” del Risorgimento e in che misura “Nabucco” può essere vista come lavoro che contribuì al movimento di unità nazionale. Gli storici della musica ormai concordano che Verdi acquisì una coscienza risorgimentale solo in concomitanza dei moti del 1848, della Repubblica Romana e delle guerre d’indipendenza.
Occorre, però, fare alcune precisazioni. La coscienza risorgimentale di Verdi fu limitata. Il compositore è stato essenzialmente un apolitico, fedele suddito di Maria Luigia duchessa di Parma sino al trasferimento a Milano (1832) e dopo di allora non ebbe alcuna manifestazione di “dissidenza” nei confronti degli Asburgo, almeno fino al termine della II guerra d’indipendenza. Le opere della “trilogia popolare” (“Rigoletto”, “Trovatore” e “Traviata”) non ebbero le loro prime rappresentazioni nella Milano “liberata” con la II guerra d’indipendenza, ma nella Roma papalina e nella Venezia asburgica. La sua opera concettualmente più rivoluzionaria, “Stiffelio”, imperniata sul perdono dell’adulterio, ebbe la prima rappresentazione a Trieste, città che fungeva da porto e da Borsa merci e valori di Vienna.
Verdi, anzi, provava un certo disprezzo nei confronti della politica, palesato apertamente in “Simon Boccanegra”, “Don Carlo” e, soprattutto, “Aida”. Nominato senatore del Regno, non fece mistero (il suo epistolario è chiarissimo) di annoiarsi. Non potendo dimettersi, andava a palazzo Madama il meno possibile. In effetti, solo la Chiesa (quale che fosse la confezione) veniva tenuto in maggior spregio delle politica: si pensi al ruolo del Grande Inquisitore in “Don Carlo” e dei Sacerdoti in “Aida”; nello stesso “Nabucco” il vero “cattivo” è il Grande Sacerdote di Belo. In breve, la partecipazione di Verdi al movimento di unità nazionale fu sostanzialmente passiva, non come quella di Richard Wagner, rivoluzionario e nazionalista, che sin dalle prime opere (si pensi a “Lohengrin”) vagheggiava un nuovo e invincibile impero germanico. I suoi melodrammi vennero, però, letti come espressione risorgimentale da quella borghesia che andava a teatro, ne finanziava l’operatività ed era l’anima del movimento. Poco importa che alla prima alla Scala nel 1842 “Va’ pensiero” ricevette applausi di cortesia mentre il pubblico si spellò le mani all’inno finale a Dio (sebbene Verdi non fosse credente). Eppure, nell’immaginario, “Va’ pensiero” viene ancora oggi letto come simbolo del Risorgimento, uno dei due periodi peraltro – l’altro è il Seicento a Venezia – in cui in Europa la lirica si finanziò con le proprie gambe, ossia con i proventi della biglietteria e i finanziamenti dei “palchettisti”.
Quanto allo spettacolo, non si tratta di una mera ripresa Anche se regia, scene, e costumi (Jean-Paul Scarpitta e Maurizio Millenotti) non cambiano rispetto al 2010 (un bianco-e-nero alla Gustavo Dorè) e la direzione musicale è sempre affidata a Riccardo Muti, che ha concertato l’opera decine di volte, cambia quasi integralmente il cast vocale rispetto a 2010 , ma soprattutto all’intera impostazione musicale viene data un’impostazione belcantistica, quasi vicina agli ultimi lavori di Donizetti, invece che il carattere nazional-popolare delle produzioni che proprio in questi giorni sono in scena a Macerata ed ad a Verona.
E’ probabilmente un’evoluzione della sensibilità di Muti nei confronti del lavoro. No so quanto abbia inciso la revisione critica proposta questo inverno (e ripresa questa estate) dal salisburbughese Gustav Kuhn,e destinata ad entrare in repertorio in Austria. Muti, ricordiamolo, vive normalmente nei pressi di Salisburgo e forse ha visto la produzione di Kuhn quando ha debuttato nel periodo natalizio, nel nuovo teatro costruito a Erl (ai confini tra Tirolo e Germania) con un cast internazionale di giovani e scene e costumi molto semplici.
Il cast vocale è in linea con questa lettura: spiccano cantanti di provenienza “belcantistica” come Francesco Meli e Sonia Ganassi ed il soprano “anfibio”, ossia in grado di registri molto gravi, come Titiana Serjan, accanto a Luca Salsi e Riccardo Zanellato (che sfoggiano agilità). Muti accentua il ritmo e, soprattutto, l’ impiego dinamico del coro. Quest’ultimo, diretto da Roberto Gabbiani, è il vero mattatore. Di rigore il bis di Va Pensiero. Al pari delle altre opere giovanili di Verdi, Nabucco ha un’orchestrazione limpida e semplice ma acrobatismi vocali e soprattutto corali che a Salisburgo faranno apprezzare i complessi del Teatro dell’Opera. Il Festival di Salisburgo usa produrre CD degli spettacoli; questo lo merita davvero.
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