giovedì 11 luglio 2013

La “Elektra” che vedremo alla Scala in Formiche 11 luglio


La “Elektra” che vedremo alla Scala
11 - 07 - 2013Giuseppe Pennisi La "Elektra" che vedremo alla Scala
Venti minuti tutti insieme (nel Grand Thé tre de Provence gremito in tutti gli ordini di posti) in piedi ad applaudire dopo due ore di estrema tensione drammatica e musicale. E’ senza dubbio uno degli eventi di teatro in musica più attesi dell’anno: la nuova edizione di Elektra di Richard Strauss su testo di Hugo von Hofmannsthal, coprodotta dal Festival di Aix en Provence, con alla Scala, al Metropolitan, alla Staatsoper di Berlino, al Liceu di Barcellona ed all’Opera Nazionale di Helsinki – i teatri che lo hanno coprodotto – ma già altri teatri ne hanno prenotato il noleggio. Alla Scala sostituirà l’allestimento di Luca Ronconi (con scene di Gae Aulenti) che debuttò nel 1995 con Giuseppe Sinopoli sul podio.
L’attesa era grande perché per la prima volta Patrice Chéreau (regia), Richard Peduzzi (scene), Caroline de Vivaise (costumi), e Esa-Pekka Salonen (direzione musicale) affrontavano uno dei capolavori del teatro in musica del Novecento
Quando il drammaturgo Eugene O’Neill nel 1931 adattò la tragedia greca in un drammone di nove ore ambientato ai tempi della Guerra di Secessione americana, decise di intitolare il lavoro “Il lutto si addice ad Elettra” a ragione del vasto numero di morti che costellavano le tre parti dell’opera. O’ Neill si basò sulla trilogia di Eschilo. Nel 1903, invece, Hugo von Hofmannsthal scrisse “Elektra” traendola dalla tragedia di Sofocle; il lavoro, lanciato a Berlino da Gertrud Eysoldt, (la Duse tedesca dell’epoca) ebbe un immenso successo tanto che nel 1904 venne messa in scena da 22 teatri nel mondo di lingua germanica. L’opera fu successivamente adattata (leggermente accorciata per adeguarla ai tempi della musica) come libretto per l’omonima opera di Richard Strauss, rappresentata nel 1909.
La tragedia in musica in un atto di Strauss dura poco meno di due ore. Sono due ore di tensione assoluta. Il sovrintendente della Scala, Stéphane Lissner, ritiene “Elektra” la più bella opera del Novecento. Credo che, nello stesso elenco dei sette lavori di Strauss ed Hofmannsthal per il teatro in musica, Die Frau ohne schatten (La Donna Senz’Ombra), raramente eseguita in Italia, superi Elektra per carica innovativa e significato.
Tuttavia, Elektra è il lavoro che tutte le persone un tempo chiamate “colte” devono conoscere per comprendere il Novecento. È un prodigio, al tempo stesso, di complementarità e di contrasto tra il testo di Hofmannsthal e la partitura di Strauss; circolare il primo (con il proprio epicentro nel confronto-scontro tra Elettra e Clitennestra, interamente dedicato al significato del perdono); vettoriale il secondo sino all’orgia sonora in do maggiore del finale. Pur se inserita nello spirito freudiano della sua epoca, Elektra precorre musicalmente l’atonalità e apre uno squarcio nella crudeltà collettiva che contrassegnerà il secolo.
Chéreau e Salonen mostrano come sia l’azione sia la musica abbiano una struttura a ellisse; un’introduzione quasi contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare al monologo di Elettra) si snoda in una vasta parte centrale in cui il confronto tra Elettra e Clitennestra (colmo di disperazione proprio per il diniego del perdono da parte della prima) è inserito tra due altri confronti – quelli tra Elettra e Crisotemide (rispettivamente sul significato della vita e sul valore della vendetta); in tutta questa parte centrale si sovrappongono due tonalità musicali molto differenti per unificarsi dalla scena del ritorno di Oreste e del duplice assassinio e predisporre, quindi, il do maggiore della danza macabra finale. Chéreau porta l’azione ai tempi nostri in un luogo imprecisato che assomiglia molto ai Balcani durante le guerre della fine del Novecento: la tragedia degli Atridi diventa quella di famiglie finite in schieramenti contrapposti. La regia è piena di dettagli intelligenti: Oreste non si sporca le mani per uccidere Egisto ma lo fa fare al suo vecchio servo (fedele alla memoria di Agamennone).
Chéreau richiede anche ai cantanti di esibirsi in posizioni difficili: ad esempio, Evelyn Herlitzius durante danze sfrenate. Data la potenza dell’orchestra (note le dissonanze mai prima di allora udite) il maestro concertatore è alle prese con la sfida di non oscurare le voci (ciascuna parola è densa di significato). Salonen ci riesce con estrema abilità dando risalto alle contrapposizioni contrasti tra tonalità e atonalità nella scrittura di Strauss e mostrando quegli aspetti di tenerezza che spesso i concertatori tralasciano. Unico difetto; alla “prima”, l’Orchestre de Paris non è parsa in grado di rendere la varietà di tinte musicali richieste dal podio. Ciò rappresenta una sfida importante per l’orchestra della Scala.
Di grande livello il cast vocale, specialmente Evelyn Herlitzius (Elektra) e Adrianne Pieczonnka (Crisotemide). Waltruad Meier (Clitennestra) ha però scansato i registri più gravi (dato che dar anni canta ruoli di soprano). Tra le voci maschili eccelle Mikhail Petrenko (Oreste). In due ruoli minori troviamo, ancora in buono stato, due icone del passato: il 92nne Franz Mazura (Precettore di Oreste) e il 79nne Donald McIntyre (Vecchio Servo). Un omaggio di Chéreau all’amicizia. Hanno lavorato assieme al Ring rivoluzionario di Bayreuth (1976-80) quando Chéreau aveva 31 anni e sul podio c’era Pierre Boulez.

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