La “Elektra” che vedremo alla Scala
Venti minuti tutti insieme (nel Grand Thé
tre de Provence gremito in tutti gli ordini di posti) in piedi ad applaudire
dopo due ore di estrema tensione drammatica e musicale. E’ senza dubbio uno
degli eventi di teatro in musica più attesi dell’anno: la nuova edizione di
Elektra di Richard Strauss su testo di Hugo von Hofmannsthal, coprodotta dal
Festival di Aix en Provence, con alla Scala, al Metropolitan, alla Staatsoper
di Berlino, al Liceu di Barcellona ed all’Opera Nazionale di Helsinki – i
teatri che lo hanno coprodotto – ma già altri teatri ne hanno prenotato il
noleggio. Alla Scala sostituirà l’allestimento di Luca Ronconi (con scene di
Gae Aulenti) che debuttò nel 1995 con Giuseppe Sinopoli sul podio.
L’attesa era grande perché per la prima
volta Patrice Chéreau (regia), Richard Peduzzi (scene), Caroline de Vivaise
(costumi), e Esa-Pekka Salonen (direzione musicale) affrontavano uno dei
capolavori del teatro in musica del Novecento
Quando il drammaturgo Eugene O’Neill nel
1931 adattò la tragedia greca in un drammone di nove ore ambientato ai tempi
della Guerra di Secessione americana, decise di intitolare il lavoro “Il lutto
si addice ad Elettra” a ragione del vasto numero di morti che costellavano le
tre parti dell’opera. O’ Neill si basò sulla trilogia di Eschilo. Nel 1903,
invece, Hugo von Hofmannsthal scrisse “Elektra” traendola dalla tragedia di
Sofocle; il lavoro, lanciato a Berlino da Gertrud Eysoldt, (la Duse tedesca
dell’epoca) ebbe un immenso successo tanto che nel 1904 venne messa in scena da
22 teatri nel mondo di lingua germanica. L’opera fu successivamente adattata
(leggermente accorciata per adeguarla ai tempi della musica) come libretto per
l’omonima opera di Richard Strauss, rappresentata nel 1909.
La tragedia in musica in un atto di
Strauss dura poco meno di due ore. Sono due ore di tensione assoluta. Il
sovrintendente della Scala, Stéphane Lissner, ritiene “Elektra” la più bella
opera del Novecento. Credo che, nello stesso elenco dei sette lavori di Strauss
ed Hofmannsthal per il teatro in musica, Die Frau ohne schatten (La Donna
Senz’Ombra), raramente eseguita in Italia, superi Elektra per carica innovativa
e significato.
Tuttavia, Elektra è il lavoro che tutte le
persone un tempo chiamate “colte” devono conoscere per comprendere il
Novecento. È un prodigio, al tempo stesso, di complementarità e di contrasto
tra il testo di Hofmannsthal e la partitura di Strauss; circolare il primo (con
il proprio epicentro nel confronto-scontro tra Elettra e Clitennestra,
interamente dedicato al significato del perdono); vettoriale il secondo sino
all’orgia sonora in do maggiore del finale. Pur se inserita nello spirito
freudiano della sua epoca, Elektra precorre musicalmente l’atonalità e apre uno
squarcio nella crudeltà collettiva che contrassegnerà il secolo.
Chéreau e Salonen mostrano come sia
l’azione sia la musica abbiano una struttura a ellisse; un’introduzione quasi
contrappuntistica (il dialogo delle ancelle per preparare al monologo di
Elettra) si snoda in una vasta parte centrale in cui il confronto tra Elettra e
Clitennestra (colmo di disperazione proprio per il diniego del perdono da parte
della prima) è inserito tra due altri confronti – quelli tra Elettra e
Crisotemide (rispettivamente sul significato della vita e sul valore della
vendetta); in tutta questa parte centrale si sovrappongono due tonalità
musicali molto differenti per unificarsi dalla scena del ritorno di Oreste e
del duplice assassinio e predisporre, quindi, il do maggiore della danza
macabra finale. Chéreau porta l’azione ai tempi nostri in un luogo imprecisato
che assomiglia molto ai Balcani durante le guerre della fine del Novecento: la
tragedia degli Atridi diventa quella di famiglie finite in schieramenti
contrapposti. La regia è piena di dettagli intelligenti: Oreste non si sporca
le mani per uccidere Egisto ma lo fa fare al suo vecchio servo (fedele alla
memoria di Agamennone).
Chéreau richiede anche ai cantanti di
esibirsi in posizioni difficili: ad esempio, Evelyn Herlitzius durante danze
sfrenate. Data la potenza dell’orchestra (note le dissonanze mai prima di allora
udite) il maestro concertatore è alle prese con la sfida di non oscurare le
voci (ciascuna parola è densa di significato). Salonen ci riesce con estrema
abilità dando risalto alle contrapposizioni contrasti tra tonalità e atonalità
nella scrittura di Strauss e mostrando quegli aspetti di tenerezza che spesso i
concertatori tralasciano. Unico difetto; alla “prima”, l’Orchestre de Paris non
è parsa in grado di rendere la varietà di tinte musicali richieste dal podio.
Ciò rappresenta una sfida importante per l’orchestra della Scala.
Di grande livello il cast vocale,
specialmente Evelyn Herlitzius (Elektra) e Adrianne Pieczonnka (Crisotemide).
Waltruad Meier (Clitennestra) ha però scansato i registri più gravi (dato che
dar anni canta ruoli di soprano). Tra le voci maschili eccelle Mikhail Petrenko
(Oreste). In due ruoli minori troviamo, ancora in buono stato, due icone del
passato: il 92nne Franz Mazura (Precettore di Oreste) e il 79nne Donald
McIntyre (Vecchio Servo). Un omaggio di Chéreau all’amicizia. Hanno lavorato
assieme al Ring rivoluzionario di Bayreuth (1976-80) quando Chéreau aveva 31
anni e sul podio c’era Pierre Boulez.
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