RIFORMA
PENSIONI/ Meno anni e più integrazioni possono "aiutare" Governo (e
italiani)
lunedì 29 luglio 2013
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NEWS LAVORO
Un nuovo tema minaccia di aggravare l’agenda già pensante del fragile
Governo di larghe intese e di un Parlamento in cui l’opposizione (e parte di
deputati e senatori formalmente schierati con la maggioranza) è in continua
fibrillazione. Si tratta della previdenza, materia che ha fatto crollare più di
un Governo. In Italia e non solo. A settembre, si dovrebbe aprire un “tavolo”
per mettere a posto il “pasticciaccio brutto” degli “esodati” (chiaramente
prodotto da scarsa cooperazione istituzionale e da marchingegni di imprese e
sindacati per ottenere il massimo “free riding”, scaricando sulla collettività
problemi aziendali e categoriali). Potrebbe essere un “tavolo tecnico” per
cercare rimedi immediati, mettendo - si direbbe a Roma - una pezza qua e una
pezza là.
La materia del tavolo potrebbe essere, però, ampliata, poiché dati recenti
mostrano che in futuro, a ragione delle riforme che si susseguono dal 1992 e di
una crisi economica strutturale, c’è il rischio che fasce della popolazione o
non avranno titolo a pensione (perché non hanno contribuito per i 20 anni
richiesti) oppure avranno trattamenti molto bassi. In questo dibattito, si è
inserita una proposta formulata da Giuliano Amato in un articolo su Il Sole
24 Ore: un contributo di solidarietà per lavoratori ad alto reddito e
pensionati ad alti trattamenti per alimentare un fondo destinato a chi rischia
di restare senza pensione oppure di avere un trattamento inferiore alla stessa
sussistenza.
Non si può negare che il problema esista. Già nella metà degli anni
Settanta in libri pubblicati in Italia, Usa, Regno Unito e Francia ho delineato
prospettive che sarebbero potute essere cupe per le fasce deboli, con periodi
anche lunghi di interruzione dall’impiego, bassi salari in vita attiva.
Occorre, però, tenerlo ben distinto da quello degli esodati, nodo da risolvere
con massima collaborazione istituzionale e una mappatura dettagliata tale da
portare a microprovvedimenti puntuali.
Non credo, però, che sia opportuno mettere sul tappeto una nuova riforma
delle pensioni basata, in via surrettizia, su un aumento della pressione
tributaria (il “contributo” altro non è che un’imposta “di scopo” da cui i
principi generali della scienza delle finanze suggeriscono di tenersi ben
lontani). Il solo accennare a una nuova riforma delle pensioni non può che avere
conseguenze controproducenti sui comportamenti degli individui, delle famiglie,
delle imprese. Specialmente perché dal gennaio 1993 abbiamo avuto una dozzina
di riforme della previdenza, tutte decantate come definitive. Il “fondo”, poi,
potrebbe, a torto o a ragione, sembrare un “poltronificio”.
Si può operare su alcuni istituti della (complessa) normativa in vigore per
porre rimedio al problema. In primo luogo, occorre abbassare il vesting,
il numero di anni/mesi/settimane in cui si sono versati contributi per avere
titolo a previdenza. Nel gennaio 1993 è stato alzato da 15 a 20 anni,
suscitando critiche (ufficiose) dell’Organizzazione internazionale del lavoro,
poiché in gran parte dei paesi membri si richiedevano tra 10 e 15 anni. Inps e
Ragioneria Generale dello Stato dovrebbero effettuare simulazioni quantitative
per individuare un numero di anni per un vestingcompatibile con le
ristrettezze di finanza pubblica.
In secondo luogo, occorre operare sull’assegno di solidarietà per
gli anziani incapienti (ossia privi di mezzi), re-introducendo qualcosa di
analogo all’integrazione al minimo previdenziale. In terzo luogo,
occorre lanciare un vasto programma di alfabetizzazione
finanziaria-previdenziale. Un tempo, almeno per i funzionari pubblici, tali
programmi venivano effettuati dalla Scuola nazionale di Pubblica
amministrazione, ora sembrano spariti. In quarto luogo, occorre riformare, con
incentivi e disincentivi, la previdenza complementare per ridurre i fondi
pensione dagli attuali circa 700 lillipuziani (non in grado di attirare
risparmi né piccoli, né grandi).
Operando su queste linee si può fare molto. Senza innervosire tutti.
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