martedì 30 luglio 2013

La frenata dei Brics: la fine di un'illusione in L'Indro del 30 luglio



La globalizzazione a macchia di leopardo

La frenata dei Brics

La fine di un'illusione

Giuseppe Pennisi

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In questo scorcio di estate 2013, grande preoccupazione si avverte  a proposito della ‘frenata’ in corso nel gruppo di Paesi chiamato Brics (Brasile, Russia, India, Cina). Il settimanale 'The Economist' ha dedicato al tema la copertina, l’editoriale ed un’inchiesta nel numero del 27 luglio-2 agosto. A mio avviso, si tratta della fine di un’illusione che molti avevano in appropriatamente nutrito. Andiamo con ordine.
Il ruolo dei Brics nella crisi in corso dal 2007. La teoria economica (in particolare quella elaborata da H. Minsky) aveva anticipato, con la teorizzazione della “grande moderazione”, che la fase di crescita relativamente contenuta dell’economia mondiale, bassa inflazione e bassi tassi d’interesse reali e monetari sarebbe sfociata in una nuova grande crisi, successiva a quelle degli anni '80 (America Latina , in particolare) e gli anni '90 (Russia, Brasile, Asia) e molto più vasta e profonda: avrebbe portato ad una crescita molto rapida di liquidità. Seguii lo stesso ragionamento - è antipatico citare sé stessi, ma lo faceva Rossini con grande frequenza -  in un breve saggio pubblicato nel 1999; nel 2004 individuai nei Brics (in articoli giornalistici) una delle componenti delle tensioni finanziarie già allora in atto. Questo punto è stato sviluppato magistralmente, ed in modo divulgativo, da Martin Wolf nel libro Fixing Global Finance, Forum on Constructive Capitalism. In breve, negli anni della “grande moderazione”, lo squilibrio dei conti con l’estero degli Usa ha avuto l’effetto di aumentare a dismisura i saldi attivi dei Paesi colpiti dalle crisi degli anni '90 (tra cui, in primo luogo, Brasile, Russia e Sud Est Asiatico). Il Brasile e la Russia, tra l’altro, sono stati molto abili nel gestire la loro politica economica internazionale utilizzando la strumentazione della “teoria delle opzioni reali”: un documento della Banca Mondiale e del Banco Interamericano per lo Sviluppo analizza, ad esempio, come il Brasile abbia impiegato con acume le strategia e le stesse equazioni proposte in A. Dixit e R.S. Pindyck Investment under Uncertainty , Princeton University Press e come ciò abbia messo a repentaglio l’Argentina. Tali saldi attivi sono stati in gran misura collocati in titoli americani, gonfiando la liquidità interna Usa e ponendosi tra le componenti principali della crisi subprime. E’ difficile fare congetture sugli effetti delle recenti decisioni della Banca popolare di Cina in materia di tasso di cambio dello yuan sui saldi e sulla liquidità (anche in quanto la Cina, come altri Paesi, ha di recente mutato strategia ed il proprio attivo viene in parte incanalato tramite un fondo sovrano, che partecipa al Long Term Investors Club, LTIC).
I Brics e la globalizzazione parziale. Il mondo è in una fase di “globalizzazione parziale” , analoga a quella del 1870-1914. Come allora, è una “globalizzazione a macchia di leopardo” promossa dalla tecnologia (allora, elettricità e trasporti; oggi, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Allora (ci sono analisi di livello, ad esempio di Jeffrey Williamson), ci fu l’ascesa di Paese feudali (Germania e Giappone) tramite l’industrializzazione tardiva ma accelerata. Anche allora la trasformazione della struttura economica non venne accompagnata da un analogo sviluppo istituzionale, come dimostrato da D.C. North nel libro "Istituzioni, Sviluppo Istituzionale, Andamento dell’Economia" (Il Mulino), che gli valse il Premio Nobel 1991. L’esito furono due guerre mondiali. North utilizza ampiamente la teoria dei giochi a più livelli ed i paradigmi dell’economia dei costi di transazione (R. Putman, F. Del Monte , F. Barca ed io stesso abbiamo utilizzato il metodo North per l’analisi dei problemi del Mezzogiorno d’Italia). Sulla Cina Amy Chua, dell’Università di Yale - ora americana ma d’ascendenza cinese - è giunta a conclusioni simili. Esistono monografie su Cina, Brasile e Russia che arrivano a risultati simili. Pur non disponendo di dati analoghi (e di una strumentazione econometrica) , credo che il nostro studio debba focalizzare su questo punto.
I Brics e la exit strategy dalla crisi Il G20 appena tenuto a Mosca è un’ulteriore dimostrazione che il ruolo dei Brics come motore per uscire dalla crisi non può essere che marginale a causa non solo del loro peso ancora limitato nell’economia mondiale ma soprattutto delle loro contraddizioni interne (ammesse dallo stesso Marcelo Neri, a lungo consigliere economico dell’allora Presidente del Brasile, Lula). Ai G20 , in breve, i Brics sono poco più che comprimari. Il dialogo è essenzialmente tra Usa e Ue e sul ruolo della seconda nel trainare fuori dalla crisi l’economia mondiale, nonostante, secondo le stime effettuata da Angus Maddison prima di morire, a parità di potere d’acquisto il Pil della Cina sfiorerebbe l’80% di quello degli Stati Uniti.
I Brics nel lungo termine dell’economia mondiale. Si entra in pure congetture: come ricordato in precedenza, per dare una assetto istituzionale “moderno” a Germania e Giappone è stata necessario il “secolo breve” con le sue due guerre mondiali. Le mie conoscenze dirette di Brasile, Russia e Cina mi inducono a ritenere che i problemi sono molto più complessi di quelli che dovettero affrontare Germania e Giappone all’inizio del XIX Secolo: al di fuori di pochi poli di sviluppo si è ancora ad economia, e società, primitive come quelle dell’Africa Sub-Sahariana; i processi decisionali sono quanto meno poco trasparenti; le funzioni di benessere sociale perseguite dalle classi dirigenti oscure e difficili da decifrare; la corruzione è diffusissima ed i costi di transazione ( blocco primario allo sviluppo) elevatissimi, le discriminazioni (principalmente razziali) sono fortissime. Inoltre, India e Cina hanno un serio vincolo al proprio sviluppo: la scarsa disponibilità di risorse idriche. La Cina, inoltre, è l’unico Paese al mondo con una lingua scritta ma non parlata – altro severo vincolo allo sviluppo. In materia c’’è molta letteratura. I nodo essenziale è la tecnologia, il vero motore, ancora una volta, della globalizzazione. Mentre nel 1870-1910, i Paesi di tarda industrializzazione svilupparono tecnologie “proprie” (siderurgia, chimica, impiantistica, strumentazione di precisione), i Brics perseguono una strategia di “efficienza adattiva” nell’adattare tecnologia altrui alla propria vasta disponibilità di lavoro ed ai propri bassi salari e bassa protezione sociale. E’ una strategia che ha limiti ben precisi come dimostrò Sir Arthur Lewis nell’articolo del 1954 che gli fruttò il Premio Nobel.
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