FINANZA/ Quei 400 miliardi "impossibili" da incassare per
l’Italia
lunedì 15 luglio 2013
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NEWS Economia e Finanza
Il Pdl ha presentato un programma
per ridurre, principalmente tramite vendite di immobili pubblici e privatizzazioni,
di 400 miliardi di euro lo stock del debito pubblico nell’arco dei prossimi
cinque anni. Il programma non sembra avere ricevuto grandi consensi dal Governo
(dato che non ci sono state reazioni ufficiali). Non è stato però neanche
accolto con segni di rigetto. Dato che, in questi giorni, sono all’estero e non
conosco i dettagli del programma non credo sia appropriato che esprima commenti
di merito. Tuttavia, la proposizione stessa del programma solleva un
interrogativo: è o non è il momento di pensare a misure straordinarie di
riduzioni dello stock di debito pubblico di cui tener conto nel prossimo
Programma nazionale di riforme e nella prossima Legge di stabilità? La
riclassificazione al ribasso della qualità dei nostri titoli di Stato da parte
di una delle maggiori agenzie di rating è un segnale che si farebbe bene a
pensare a misure di questo genere?
Poco più di un anno fa, una dozzina
di proposte presentate da vari economisti sono state passate in rassegna in un
seminario del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Il
dibattito là innescato si è smorzato nell’arco di pochi mesi a ragione, in gran
misura, dell’avvicinarsi delle elezioni, ma anche delle polemiche econometriche
sul modello di Reinhart e Rogoff sugli effetti negativi del debito pubblico
sulla crescita. Occorre riconoscere che alcune settimane prima della proposta
del Pdl, l’economista Paolo Savona ha rilanciato con forza il problema in
articoli e interviste.
A mio parere, anche se sarebbe
errato prendere alla lettera le stime di Reinhart e Rogoff (in base alle quali
il debito pubblico rallenta di un punto percentuale la crescita se supera il
90% del Pil), il fardello del debito è, senza dubbio, un freno allo sviluppo,
specialmente in un Paese a forte invecchiamento demografico e la cui struttura
produttiva è in gran misura matura. Sempre a mio avviso, è stato temerario
l’impegno, assunto nel Fiscal Compact, di ridurre il debito
pubblico di tre punti percentuali l’anno per i prossimi vent’anni.
Queste considerazioni inducono
ovviamente a suggerire che, prima o poi (anzi meglio prima che poi),
un’operazione straordinaria di consolidamento dovrà venir fatta. Quindi ,
il problema è come e quando farla. Oggi, a valori immobiliari calanti e con la
Borsa in fibrillazione - e mentre aziende italiane di prestigio passano di mano
a conglomerati stranieri - può non essere il momento migliore. Tuttavia, le
aspettative di tassi d’interesse in aumento, inducono a pensare che in futuro
il peso del debito pubblico potrebbe essere ancora maggiore.
Una risposta secca, dunque, non è
facile. Occorre aprire un dibattito. Questa può essere la sede appropriata per
un confronto. Pensando sempre, però, che senza una politica di crescita (che
può voler dire allentare per qualche anno i vincoli di bilancio), qualsiasi
manovra straordinaria sul debito avrebbe effetto caduchi.
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