OPERA/ I quattro motivi per riscoprire "Elena" di Francesco
Cavalli
venerdì 12 luglio 2013
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NEWS Musica
Così come non tutte le ciambelle
riescono con il buco, non tutte le riscoperte di teatro in musica del passato
hanno successo. Ne abbiamo parlato un paio di mesi fa in occasione de Il
Trionfo di Clelia di Gluck presentato al Comunale di Bologna in occasione
dei 250 anni dall’inaugurazione; era stata l’opera inaugurale e sarebbe stata
ricordata meglio se coperta da una coltre di oblio. La prima esecuzione
mondiale di Elena di Francesco Cavalli, a oltre 300 anni da quel 1659 in
cui venne rappresentata al Teatro San Cassiano di Venezia, significa
probabilmente l’inizio di una nuova carriera per il lavoro.
In primo luogo, l’allestimento che
ha debuttato al Festival di Aix-en-Provence (dove è in scena sino al 27 luglio)
è una coproduzione tra otto teatri francesi e portoghesi, dove la si vedrà,
quindi, nel 2013- 2014, in un pacchetto di una cinquantina di repliche. Dato
che Cavalli è uno dei maggiori compositori veneziani (ha guidato per lustri la
Cappella Ducale per componendo cinque opere l’anno per teatri commerciali) è
auspicabile che lo spettacolo, godibilissimo, arrivi nel Veneto e nel resto
d’Italia. Richiede un ensemble di undici musicisti (nell’edizione vista ed
ascoltata in Provenza, la Cappella Mediterranea diretta da Leonardo García
Alarcón) 12 cantanti-attori (in grado di interpretare 26 ruoli e fare piroette
cantando), una scena unica (molto efficace quella di Laure Pichat
dell’allestimento varato a Aix). Sovrintendenti, invece di piagnucolare perché
gli anni delle vacche grasse sono finiti, fatevi avanti.
In secondo luogo, occorre chiedersi
perché questa Elena piace anche a un pubblico giovane, quello che spesso
si tiene alla larga dai teatri d’opera. Nella Venezia del Seicento, i teatri
commerciali non ricevevano sussidi, ma puntavano a spettacoli che fossero
divertenti e anche irriverenti (tali da mostrare in teatro ciò che avveniva
nelle alcove dei Palazzi, nonostante i divieti dell’Inquisizione). Questa Elena
è molto più castigata di altre opere di Cavalli (ad esempio, La Callisto)
a ragione della carica pubblica coperta dal compositore. E’ fatta, però, per
fare ridere e stuzzicare.
In terzo luogo, alcuni la
considerano la prima “opera comica” del teatro in musica. E’, invece, un lavoro
eclettico e composito come “The Twelveth Night” di Shakespeare o “L’Illusione
Comique” di Corneille. Momenti comici (ad esempio la danza degli orsi) si
alternano con scene patetiche (le arie di Menelao) con quadri di guerra
(arrivano i “nostri” che sarebbero gli Argonauti ed i Dioscuri) con sequenze
vagamente erotiche e via discorrendo. Elena è quella il cui nome è
associato alla guerra di Troia ma di Paride e del conflitto in Asia Minore non
c’è traccia. La complicata vicenda riguarda un’adolescente abile nella arti
marziali; Menelao, innamoratisi alla pazzia, si veste da amazzone pur di
corteggiarla. La vuole per se anche Teseo, che lascia la propria compagna (la
vera regina delle Amazzoni Ippolita) per rapirla e farla sua portandola nel
Regno di Creante, il cui figlio Menesteo tenta anche lui di portarsela via. In
breve, tutti vanno pazzi per la fanciulla un po’ come Brigitte Bardot in “E
Dieu crea la femme”, il film di Roger Vadim che la lanciò.
Ove la situazione non fosse
abbastanza complicata, il braccio destro di Teseo, Peristoo vuole portarsi a
letto Menelao, credendolo una bella fanciulla, e Ippolita arriva alla guida
delle Amazzoni per riprendersi Teseo, proprio mentre Castore e Polluce
sbarcano, con gli Argonauti, per venire in aiuto alla sorellina Elena. Il fine
non può che essere lieto: Menelao e Elena si sposano, Teseo e Ippolita si
riconciliano, Peristoo apprende che non basta essere vestito da donna per
appartenere al gentil sesso e Menesteo viene punito dal proprio Re e padre.
In quarto luogo, sotto il profilo
musicale, è un’ulteriore prova di come a Venezia l’opera “commerciale” abbia
fatto, in pochi decenni, notevoli progressi introducendo vere e proprie arie,
duetti, terzetti, quartetti ed anche concertati. Con pochi mezzi veniva creato
uno spettacolo degno di Broadway (l’impresa non era sovvenzionata e viveva di
biglietteria e donazioni liberali). L’edizione presentata a Aix è quanto di più
filologico si possa mettere in scena oggi: un complesso specializzato in musica
antica che suona con strumenti d’epoca (o ad essi simili), uso di controtenori
in ruoli scritti per castrati, scene essenziali (e facilmente trasportabili da
palcoscenico a palcoscenico), una regia spigliata e piena di trovate (ad
esempio, la lotta greco-romana tra i due protagonisti, la danza degli orsi) che
rende , se non plausibile, divertente un intreccio complicato che poco ha di
omerico e molto di picaresco. Di regia , scene e costumi si è detto (di grande
apporto, le luci di Chistian Dube). Tra le voci spiccano i quattro protagonisti
Valer Barna-Sabadus (un contro-tenore di cui si parlerà a lungo per il registro
che riesce a raggiungere), Ernöke Baráth (la bella Elena), Fernando Guimarãe
(il fedifrago Teseo) e Solenn Lavanant Linke (un’Ippolita abilissima a tirar di
spada).
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