OPERA/ I giovani di Santa Cecilia alle prese con il Novecento
giovedì 13
settembre 2012
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L’Opera
Studio dell’Accademia di Santa Cecilia, guidata da Renata Scotto, si distingue
da iniziative analoghe (Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, Scuola
dell’Opera di Bologna, Scuola della Scala) perché pone l’accento non sul
Settecento (da molti ritenuto come un terreno di elezione per la formazione di
giovani voci) ma sul Novecento. Inoltre, per la prima presentazione in pubblico
dei giovani cantanti-attori in azione, utilizza la Sala Petrassi (700 posti) le
cui dimensioni sono tali da consentire a voci “giovani” di cantare senza
sforzarsi. Un anno fa ha prodotto La piccola volpe astuta di Janá ek, in
prima esecuzione a Roma con grande successo lo scorso anno, l’inizio ad un
progetto triennale di Teatro Musicale del ‘900 che vede protagonisti, accanto
ai giovani dell’ Opera Studio, i professori d’Orchestra dei Corsi di
perfezionamento diretti da Carlo Rizzari.
Quest’anno la scelta è caduta su due capolavori
del teatro musicale novecentesco: L’heure espagnole di Ravel e Gianni
Schicchi di Puccini, due partiture - affidate alla regia di Cesare Scarton
- che, pur provenendo da contesti molto diversi, si collocano nell’ambito del
teatro comico e formano un dittico dal perfetto equilibrio musicale e teatrale.
Lo stesso Ravel affermava che componendo L’heure espagnole intendeva
“rigenerare l’opera buffa italiana”, anche se profondamente trasformata nelle
sue strutture portanti: L’heure espagnole è una commedia musicale, scriveva il
compositore, nella quale predomina non tanto la melodia quanto la declamazione
plasmata sulla prosodia della lingua francese con i suoi accenti e le sue
inflessioni. Un procedimento comune anche a Puccini che, in Gianni Schicchi,
pur usando formule melodiche di grande fascino, adotta un linguaggio modellato
sul parlato nel quale l’umorismo nasce dal carattere insolito dell’armonia, del
ritmo, del disegno melodico e dell’orchestrazione. Se Ravel ha voluto
recuperare a suo modo la tradizione dell’opera buffa italiana, inserita in un
contesto di raffinatezza squisitamente francese, Puccini mette fine a quella
lunga tradizione nata come genere a se stante all’inizio del Settecento. Le
scene sono di Gennaro Vallifuoco e le proiezioni sono di Flaviano Pizzardi. Lo
spettacolo che ha debuttato a Roma l’11 settembre inaugurerà il 16 settembre il
Festival musicale reatino al Teatro Vespasiano di Rieti. Astuto l’allestimento
scenico che mira a creare un collegamento tra i due lavori che vengono
presentati nella stessa serata: non due opere separate, dunque, ma un’unica
serata divisa in due atti.
I protagonisti delle due opere hanno iniziato la
loro già rilevante carriera artistica proprio all’Opera Studio ma possono
vantare esperienze artistiche di alto profilo professionale: ad esempio, Rosa Feola
è già stata diretta da grandi direttori quali Zubin Mehta e Riccardo Muti e si
è esibita in importanti teatri tra cui La Fenice di Venezia, il San Carlo di
Napoli e il Teatro dell’Opera di Roma; Sergio Vitale (ha cantato al Teatro alla
Scala di Milano e alla Deutsche Oper di Berlino; Davide Giusti (è vincitore di
numerosi premi internazionali; Carmen Romeu (Concepción) si è esibita, tra
l’altro, al Palau della Musica di Valencia e al São Carlos di Lisbona. Molti i
punti positivi dello spettacolo, visto ed ascoltato alla “prima” dell’11
settembre: l’abilità con cui l’orchestrazione (tanto Ravel quanto Puccini
scrivono per organici molto vasti) è stata rielaborata per il meno numeroso
complesso Ensemble Novecento dell’Accademia, l’ottima prova data dai giovani
cantanti-attori, la spigliata regia e l’efficace impianto scenico. Il
punto debole è la scelta de L’heure espagnole poiché cantare in francese
richiede una conoscenza della lingua e della sua pronuncia che non ci si può
aspettare da giovani. Alcuni anni fa , ricordo un’edizione del Faust di Gounod
al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto con esattamente gli stessi problemi.
L’heure espagnole è stata concepita, plasmando musica e canto in modo che si
comprendesse ogni parola. Purtroppo, la dizione era incomprensibile.
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