Bce del "giorno
dopo", istruzioni per sopravvivere
venerdì 7
settembre 2012
(Infophoto)
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Il Presidente della Banca centrale europea, Mario
Draghi, ha delineato un programma di interventi che, come descritto altrove su
questa testata, hanno l’effetto pratico di dare nuovi strumenti
all’istituzione. Lasciamo ai giuristi il dibattito se tali strumenti siano in
armonia con quanto previsto da trattati e statuti. Lasciamo a veggenti e
chiromanti di valutare se e quanti stati chiederanno di essere ammessi al
programma Omt (acronimo di Outright monetary transactions, Transazioni
monetarie dirette) e se il programma avrà effetti positivi con soddisfazione di
tutte le parti in causa. Chiediamoci piuttosto che cosa avverrà se gli
auspici del programma prenderanno corpo. Non si vuole essere "bastian
contrari" per partito preso. Però, uno degli aspetti sino ad ora poco
sottolineati è che il successo (eventuale) della Bce avrà l’effetto di
aumentare, nell’eurozona, gli squilibri tra una politica monetaria molto coesa
e le politiche di bilancio nazionali, quindi di rendere asimmetrici i due
pilastri portanti della politica economica (per quanto riguarda il terzo
pilastro invece – la politica dei prezzi e dei redditi
– nell’Ue, ma anche nell'eurozona stessa, si è sempre rimasti ad uno
stadio puramente declamatorio).
Cosa si può fare dunque per giungere a una politica di
bilancio se non "europea" almeno meglio articolata (a fini europei)
dell’attuale?
Il Trattato di Maastricht è stato poco incisivo: i
saldi previsti sono stati travalicati, quando le firme erano ancora calde,
proprio dagli stati più importanti (Germania e Francia), anche se solo
temporaneamente. Il Fiscal Compact, invece, se e quando sarà stato
ratificato, dovrà esserlo da un numero sufficiente di stati per poter entrare
in vigore. Tuttavia, sino a quando il bilancio dell’Ue e dell’eurozona sarà
pari all’1,5% dei rispettivi Pil, non potrà incidere sugli andamenti
macroeconomici. Il negoziato attualmente in corso tra i 27 vuole intanto
portare al 2% del Pil il bilancio direttamente gestito dall’Ue, mentre
occorrerebbe arrivare progressivamente al 20% per essere in grado “di mordere”.
Qualche passo, indubbiamente, verrà fatto man mano che i bilanci di previsione
nazionali verranno sottoposti ad un vaglio "europeo", come previsto
nel Fiscal Compact. Sotto il profilo politico, ciò richiederebbe la
soluzione di seri problemi di deficit di democrazia all’interno dell’Ue e
dell’eurozona poiché non si può pensare di affidare politiche relative a somme
di tale importanza ed incidenza a non-eletti bensì "nominati".
Ma ammesso che tali nodi vengano risolti, quali
sarebbero le voci di entrata e di uscita che potrebbero essere trasferite più
efficacemente e più agevolmente dai bilanci degli stati nazionali a quello
europeo?
Le voci di uscita sono essenzialmente tre: a) spese
per la difesa; b) spese per le relazioni internazionali; c) spese in conto
capitale. Quanto alle spese per la difesa e per le relazioni internazionali,
esse hanno il forte vantaggio di dare una fisionomia esterna all’Ue e all’eurozona.
Inoltre, in termini di procedure contabili, le spese per la difesa sono da
decenni armonizzate in ambito Nato. In paesi industrializzati ad economia di
mercato, poi, le spese in conto capitale o sono per la manutenzione
straordinaria di investimenti effettuati in passato (modernizzare strade,
acquedotti, linee di trasmissione elettrica) o per grandi progetti (dalle
infrastrutture fisiche a quelle telematiche di interesse europeo) e già adesso
le stesse spese per la manutenzione straordinaria se superano determinati
importi devono seguire regole europee.
Per la rappresentanza internazionale, inoltre, occorre
chiedersi che senso abbia avere 27 ambasciate nazionali ed una
"europea" in piccoli Sstati (specialmente in un momento di
restrizioni finanziarie) e sino a quando gli stati dell’eurozona potranno avere
5 componenti su 24 dei consigli d'amministrazione di Fondo monetario e Banca
mondiale (avendo meno del 30% dei voti).
Per quanto concerne le entrate, invece l’Iva è
indubbiamente candidata ed essere uniformata e diventare una fonte di “gettito
europeo”, ma si dovrà pensare anche a quote delle imposte sul reddito di
individui ed imprese.
I nodi dunque sono complessi e il processo è lungo, ma
più tardi si inizia peggio sarà.
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