COMMERCIO INTERNAZIONALE, FORSE UNA SVOLTA DALL’INCONTRO MONTI-LAMY
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Roma - È
passato inosservato l’incontro Mario Monti-Pascal Lamy (direttore generale
dell’Organizzazione mondiale del commercio – meglio conosciuta con il suo
acronimo inglese Wto) del 13 settembre. Non si è trattato di disattenzione ma
del fatto che in quei giorni – fra la sentenza della Corte costituzionale
tedesca, la presentazione del programma di ‘unione bancaria’ della Commissione
Europea e le implicazioni del risultato delle elezioni olandesi per il futuro
dell’Europa, nonché il crescente disagio sociale in Italia – le pagine
economiche dei giornali erano strapiene: unicamente Il Sole 24 Ore ha
presentato una cronaca della giornata di Lamy a Roma.
Eppure per l’Italia, Paese in cui tradizionalmente la crescita dipende dall’esportazioni e, quindi, dalla liberalizzazione del commercio internazionale, i temi trattati sono di grande importanza. In primo luogo, a quel che si apprende al di là dei comunicati ufficiali e delle cronache ufficiose, Lamy (che ha un’antica consuetudine di lavoro con Monti nei lunghi anni in cui erano ambedue commissari europei) ha detto chiaro e tondo al nostro presidente del Consiglio che la Doha Development Agenda (DDA), iniziata undici anni fa con tante aspettative, è in fase di stallo. Ha, però, anche formulato proposte su come riattivare il processo di liberalizzazione degli scambi commerciali evitando una frammentazione di accordi regionali o bilaterali.
Le ragioni del fallimento della DDA risiede nella composizione del Wto e nelle sue regole di funzionamento. Nel 1947, quando venne portato a termine il primo negoziato multilaterale sugli scambi, i Paesi partecipanti erano 23 e tutti abbastanza omogenei. All’inizio della DDA erano 155 a cui se ne sono aggiunti altri, un ‘club’ vasto e variegato. Come se non bastasse la DDA era partita con l’assunto di un Big Bang – liberalizzazione negli scambi di manufatti, agricoltura e servizi – e con il motto ‘O un accordo su tutto o niente’. Si è giunti, dopo più di dieci anni, al ‘niente’.
A Ginevra, dove la sede del Wto è localizzata nel Parco dal nome emblematico Mon Repos sulla riva destra del Lago Lemano, si sta facendo strada una nuova ipotesi: un Global Recovery Round aperto a tutti i componenti del Wto effettivamente interessati alla liberalizzazione di manufatti (il 55 per cento del commercio mondiale) e di servizi, accantonando l’agricoltura e lasciando in tranquilla attesa tutti coloro che non possono o non vogliono partecipare. È un’idea che non piace a numerosi Paesi in via di sviluppo. Pare non goda il favore dell’Amministrazione Obama ma ha il supporto del GOP (i repubblicani Usa). Incerta la posizione Ue. Monti potrebbe essere il mediatore chiave, in ambito Ue, per dare all’ipotesi la volata. (ilVelino/AGV)
Eppure per l’Italia, Paese in cui tradizionalmente la crescita dipende dall’esportazioni e, quindi, dalla liberalizzazione del commercio internazionale, i temi trattati sono di grande importanza. In primo luogo, a quel che si apprende al di là dei comunicati ufficiali e delle cronache ufficiose, Lamy (che ha un’antica consuetudine di lavoro con Monti nei lunghi anni in cui erano ambedue commissari europei) ha detto chiaro e tondo al nostro presidente del Consiglio che la Doha Development Agenda (DDA), iniziata undici anni fa con tante aspettative, è in fase di stallo. Ha, però, anche formulato proposte su come riattivare il processo di liberalizzazione degli scambi commerciali evitando una frammentazione di accordi regionali o bilaterali.
Le ragioni del fallimento della DDA risiede nella composizione del Wto e nelle sue regole di funzionamento. Nel 1947, quando venne portato a termine il primo negoziato multilaterale sugli scambi, i Paesi partecipanti erano 23 e tutti abbastanza omogenei. All’inizio della DDA erano 155 a cui se ne sono aggiunti altri, un ‘club’ vasto e variegato. Come se non bastasse la DDA era partita con l’assunto di un Big Bang – liberalizzazione negli scambi di manufatti, agricoltura e servizi – e con il motto ‘O un accordo su tutto o niente’. Si è giunti, dopo più di dieci anni, al ‘niente’.
A Ginevra, dove la sede del Wto è localizzata nel Parco dal nome emblematico Mon Repos sulla riva destra del Lago Lemano, si sta facendo strada una nuova ipotesi: un Global Recovery Round aperto a tutti i componenti del Wto effettivamente interessati alla liberalizzazione di manufatti (il 55 per cento del commercio mondiale) e di servizi, accantonando l’agricoltura e lasciando in tranquilla attesa tutti coloro che non possono o non vogliono partecipare. È un’idea che non piace a numerosi Paesi in via di sviluppo. Pare non goda il favore dell’Amministrazione Obama ma ha il supporto del GOP (i repubblicani Usa). Incerta la posizione Ue. Monti potrebbe essere il mediatore chiave, in ambito Ue, per dare all’ipotesi la volata. (ilVelino/AGV)
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