TORNA A ROMA IL "GRAND-OPÉRA" PADANO
Edizione completa
Roma - Dal palcoscenico del Teatro
dell’Opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli era assente da vent’anni. Torna
da martedì 23 ottobre, alle 20.30, uno dei titoli più famosi e amati dal grande
pubblico Alla guida dell’Orchestra il prestigio internazionale della bacchetta
di Roberto Abbado. Tra le opere popolari romantiche più applaudite, per le
forti tinte passionali e gli effetti teatrali drammaticamente caricati racconta
una vicenda ispirata a un dramma di Victor Hugo e ambientato nella Venezia del
Seicento: la protagonista, la cantatrice Gioconda sacrifica la propria vita per
amore del nobile genovese Enzo Grimaldo innamorato invece di Laura, moglie del
nobile e potente Alvise Badoero. Sulla scena un cast di intense voci dal mondo:
Gioconda è Jennifer Wilson (Elisabete Matos, 27 e 31 ottobre); Laura Adorno è
Ekaterina Semenchuk (Anna Malavasi, 27 e 31 ottobre); Alvise Badoero è Roberto
Scandiuzzi (Carlo Cigni, 27 e 31 ottobre); Enzo Grimaldo è Aquiles Machado
(Sung Kyu Park, 27 e 31 ottobre); Barnaba è Claudio Sgura (Marco Di Felice, 27
e 31 ottobre). Dopo la prima di martedì 23 ottobre, La Gioconda andrà in scena
giovedì 25 (20.30), sabato 27 (18.00), domenica 28 (17.00), martedì 30 (20.30),
mercoledì 31 (20.30). Info: www.operaroma.it Intendiamoci La Gioconca non ha
nulla a che vedere con il sorriso ambiguo del ritratto di Leonardo. E’ un
truculento grand-guignol tratto da un drammone di Victor Hugo. Nella Venezia di
fine ‘500, Gioconda è una cantante con mamma cieca a carico. Si innamora del
proscritto Ezio Grimaldo, a sua volta spasimante (corrisposto) di Laura sposa
del Capo dell’Inquisizione, Alvise. La spia Barnaba desidera fare sesso con la
cantante e a tal fine esercita ogni pressione (accusando la cieca di
stregoneria). Al termine di una complicata vicenda vediamo il carnevale di
Venezia, una festa (con cadavere) nella Ca’ d’Oro, l’incendio di un brigantino,
una morte apparente, un tentativo di avvelenamento, un annegamento ed un
suicidio, Laura ed Ezio fuggono verso la libertà mentre tutti gli altri vengono
sconfitti dal Fato o dalla cattiveria umana.
Per oltre un secolo, l’opera ha mandato il pubblico in visibilio; è il miglior esempio di ‘grand-opéra” padano ossia dei tentativi a fine ottocento di fondere il melodramma verdiano con il ‘grand-opéra’ francese ; ne furono esponenti Rossi, Marchetti, Gobatti, Gomes, solo Ponchielli è rimasto in repertorio . Ciò è merito di Ponchielli, non di Boito che ne scrisse il libretto . Il maestro cremonese era un fine orchestratore, culturalmente vicino a quella “scapigliatura” milanese che voleva innovare rispetto al melodramma verdiano. Il suo flusso orchestrale continuo risente anche di wagnerismo cromatico ed intriso di leit-motiven (alla polenta padana). La scrittura vocale richiede sei grandi voci con registri in grado di spaziare dalle “romanze” e “concertati” tradizionali al declamato para-wagneriano.. Negli ultimi dieci anni, se ne ricordano due buone edizioni a La Scala al Teatro dell’Opera di Roma; non hanno entusiasmato platee, palchi e loggioni. La primavera scorsa un allestimento del circuito toscano (peraltro in economia e con una discutibile regia di Micha van Hoecke) è stato poco apprezzato dagli spettatori.
L’allestimento di Pizzi è stilizzato: una scena unica (per effettuare, con pochi spostamenti, i cambi di ambiente) in una Venezia invernale, nebbiosa, macera e decadente. Dominano il bianco, nero, il rosso e varie sfumature di grigio da cui si stacca il viola dell’abito di Gioconda. In breve, uno spettacolo elegante e raffinato (che è piaciuto a Madrid, Barcellona, Bilbao e Montecarlo) ma che non ha nulla di “popolare”. Quindi, lascia delusi, coloro che si aspettano Piazza San Marco, l’Arsenale, la Ca’ d’Oro e la Giudecca in cartapesta e molteplici effetti speciali (oltre alla nave in fiamme al termine della prima parte). (ilVelino/AGV)
Per oltre un secolo, l’opera ha mandato il pubblico in visibilio; è il miglior esempio di ‘grand-opéra” padano ossia dei tentativi a fine ottocento di fondere il melodramma verdiano con il ‘grand-opéra’ francese ; ne furono esponenti Rossi, Marchetti, Gobatti, Gomes, solo Ponchielli è rimasto in repertorio . Ciò è merito di Ponchielli, non di Boito che ne scrisse il libretto . Il maestro cremonese era un fine orchestratore, culturalmente vicino a quella “scapigliatura” milanese che voleva innovare rispetto al melodramma verdiano. Il suo flusso orchestrale continuo risente anche di wagnerismo cromatico ed intriso di leit-motiven (alla polenta padana). La scrittura vocale richiede sei grandi voci con registri in grado di spaziare dalle “romanze” e “concertati” tradizionali al declamato para-wagneriano.. Negli ultimi dieci anni, se ne ricordano due buone edizioni a La Scala al Teatro dell’Opera di Roma; non hanno entusiasmato platee, palchi e loggioni. La primavera scorsa un allestimento del circuito toscano (peraltro in economia e con una discutibile regia di Micha van Hoecke) è stato poco apprezzato dagli spettatori.
L’allestimento di Pizzi è stilizzato: una scena unica (per effettuare, con pochi spostamenti, i cambi di ambiente) in una Venezia invernale, nebbiosa, macera e decadente. Dominano il bianco, nero, il rosso e varie sfumature di grigio da cui si stacca il viola dell’abito di Gioconda. In breve, uno spettacolo elegante e raffinato (che è piaciuto a Madrid, Barcellona, Bilbao e Montecarlo) ma che non ha nulla di “popolare”. Quindi, lascia delusi, coloro che si aspettano Piazza San Marco, l’Arsenale, la Ca’ d’Oro e la Giudecca in cartapesta e molteplici effetti speciali (oltre alla nave in fiamme al termine della prima parte). (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 18 Ottobre 2012 12:52
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