InScena
A Roma La
Gioconda emerge dalle nebbie
di Giuseppe
Pennisi
La Gioconda
di Amilcare Ponchielli (su libretto di Arrigo Boito) è l'unico esempio di grand
opèra padano ancora sulle scene. Il genere a fine Ottocento ambiva a superare
il melodramma verdiano con elementi sia dell'opera francese sia dell'esperienza
wagneriana, ma così non è stato.
Questa edizione, curata da Pierluigi Pizzi, è a Roma fino al 31 ottobre e
viaggia dal 2005, quando debuttò all'Arena di Verona, senza convincere del tutto. Al
teatro dell'opera della capitale l'opera è ambientata in una Venezia nebbiosa,
stilizzata, dove dominano varie tonalità di bianco e grigio e alcuni elementi
di rosso. L'impianto siffatto rende credibile il truculento intreccio.
L'aspetto più significativo è, comunque, rappresentato dalla direzione musicale
di Roberto Abbado. La Gioconda è erroneamente ritenuta un'opera di voci (meglio
se fanno tremare i lampadari) mentre il suo apporto migliore è la complessa e
delicata orchestrazione, come per esempio gli accompagnamenti per arpa e fiati,
nonché il gioco astuto degli archi. Tra le voci spicca il gruppo femminile,
composto da Elisabete Matos, Ekaterina Semenchuck ed Elisabetta Fiorillo, che
supera per qualità quello maschile di Aquiles Machado, Carlo Cigni e Claudio
Sgura. Tra essi emerge quest'ultimo, sia per vocalità sia per abilità nella
recitazione. Il cantante si pone dunque (anche grazie alla regia) come vero
protagonista dell'opera. Efficace la coreografia di Georghe Iancu nei ballabili
del primo e terzo atto. (riproduzione riservata)
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