OPERA/ I Puritani dei Teatri
di tradizione e la rinascita della lirica
mercoledì 10
ottobre 2012
Un momento della rappresentazione
Approfondisci
Ultima opera di Vincenzo Bellini, composta per Parigi
prima di morire a meno di 35 anni nei pressi della capitale francese I
Puritani è opera da fare tremare il polso ai sovraintendenti ed ai
direttori artistici delle fondazioni liriche. Quindi, è una delle opere più
raramente rappresentate, anche se più belle, del compositore catanese: è
l’apoteosi del “belcanto”, pur se basata su un libretto piuttosto
improbabile in cui amori, intrighi, tradimenti (finti o presunti), e pazzia ai
tempi delle guerre Cromwell si intrecciano tra lori e terminano con colpo di
scena e lieto fine. De Chirico ne firmò un allestimento (rivisto a Roma alla
fine degli Anni Ottanta) in cui l’astrusa vicenda era trasformata in un gioco
di carte - una fazione erano i “quadri” e l’altra i”cuori”- quasi a
sottolineare l’irrilevanza del testo del Conte Pepoli, patriota in esilio a
Parigi. Nel 2008-2009 un allestimento di Pier’Alli è stato co-prodotto
dalle fondazioni liriche di Palermo, Bologna e Cagliari e portato al
Festival di Sanvonlinna in Filandia ed infine a Tokio nell’enorme
Bunka Kaikan. Era una messa in scena all’insegna dell’economia dei costi, delle
sinergie, della qualità e dell’”esportar cantando” del “made in Italy”. Il
grigio dominava i primi due atti, mentre il verde e l’azzurro caratterizzavano
il terzo. Veloci siparietti e proiezioni facilitano l’adattamento a
palcoscenici di varie dimensioni. Erano state chiamate a raccolta le migliori
voci internazionali del “bel canto”- ed un budget conseguente. Fu comunque un
successo, che altre fondazioni liriche, però, esitarono a replicare.
Quindi, numerosi melomani e critici musicali sono
rimasti tra lo scettico ed il sorpreso alla notizia che un gruppo di teatri “di
tradizione” (con risorse infinitamente minori di quelle delle fondazioni
liriche) avevano in animo di mettere in scena il lavoro: il “circuito lombardo”
( Cremona, Como, Brescia, Pavia) ed il “Pergolesi” di Jesi hanno realizzato
un’avventura analoga, affidando la regia, le scene ed i costumi, ad una
squadra proveniente dal teatro di prosa sperimentale (Carmelo Rifici, Guido
Buganza, Margherita Baldoni), e la direzione musicale ed il canto in voci in
gran parte giovani e poco conosciute.
L’allestimento scenico è molto semplice: un salone di
un castello innevato con un secondo piano/soppalco praticabile. I costumi dei
“puritani” sono austeri, quelli dei “cattolici” legati al Regno degli Stuart
lussuosi. Rifici viene dalla prosa ed utilizza in certi momenti attori per
mostrare i pensieri – per lo più erotici – dei due “casti” protagonisti. Un
artificio di cui, a mio avviso, si può fare a meno. Tuttavia, la recitazione è
spigliata e la produzione può essere facilmente portata in altri teatri. Si parla
della possibilità di una tournée sull’altra sponda dell’Adriatico.
Una coproduzione di lunga durata (come questa)
consente affinamenti in corso d’opera. In effetti, a Como e Pavia trionfò la
protagonista di quelle recite – Jessica Pratt - mentre il tenore lasciava a
desiderare. A Jesi, dove ho visto lo spettacolo, il gruppo maschile,
specialmente il tenore Yijie Shi (cinese) ed il baritono Julian Kim (coreano)
sono stati con il basso Luca Tittoto (il meno giovane del gruppo dei
protagonisti) trionfatori dello spettacolo sotto il profilo vocale. La cubana
Maria Aleida ha dato prova di avere potenziale, ma deve lavorare sui registri
ed ampliare il volume prima di affrontare di nuovo l’impervio ruolo di Elvira.
La vera scoperta è il trentenne Giacomo Sagripanti,
noto all’estero molto più che in Italia. I lavori di Bellini sono spesso
considerati opere in cui l’orchestra è mero supporto delle voci. Alcuni decenni
fa, proprio dirigendo I Puritani in un’edizione di cui c’è un
magnifico CD, l’allora giovane Riccardo Muti mostro come l’ultima opera di
Bellini non ha solo una delicatissima introduzione e la giustamente
famosa polonaise ma è un ricamo di atmosfere affidate alla
sonorità orchestrali tali da rendere plausibile (almeno tanto quanto la
vocalità) l’astruso libretto. Nel 2008, a Palermo, da dove partì la
coproduzione delle fondazioni liriche, Friederich Haider, pur autore di una
buona incisione, fece alcuni tagli , specialmente ai da capo, ma
dilatò i tempi.
Sagripanti lavora con una partitura quasi integrale
(lo spettacolo dura quattro ore , compresi i due intervalli) ma rispetta
scrupolosamente i tempi essenziali per le atmosfere belliniane. Nonché
indicazione che se Bellini fosse vissuto avrebbe, al pari di Rossini, viaggiato
non verso il melodramma donizettiano e verdiano ma alla volta del romanticismo
tedesco (non per nulla Richard Wagner , che, ad un orecchio poco accorto, può
sembrare l’antitesi del catanese, lo considerava un Nume ed un Maestro).
Andiamo al vero punto politico: con fondazioni liriche
(10 su 13 con bilanci che chiudono in passivo) che hanno accumulato 300 milioni
di debiti, sono dilaniate da lotte intestine, hanno masse
artistico-tecnico-amministrative sempre sul piede di guerra, le coalizioni di
“teatri di tradizioni” non rappresentano la leva per la rinascita della lirica
in Italia? Giriamo la domanda al Superiore Ministero.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento