OPERA/ Bizet: la riscoperta de
"I pescatori di perle" al San Carlo di Napoli
venerdì 19
ottobre 2012
Un momento dello spettacolo
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In una mitica Ceylon, quale poteva essere immaginata
nel Secondo Impero da Eugène Delacroix e dalla ricca borghesia emergente, due giovani,
Nadir e Zungar, sono amici per la pelle. Il primo è cacciatore, il secondo un
pescatore di perle ed è appena stato eletto Re del villaggio. Si sono ambedue
innamorati di una bella ragazza, Leila, peraltro appena intravista, ma
ciò non ha intaccato il loro rapporto fraterno. In questo ambiente da cartoline
illustrate delle Maldive, i guai iniziano quando Leila appare su un barca
dall’Oceano Indiano in compagnia con il capo dei Bramini (i sacerdoti),
Nourabab. Leila è destinata al Tempio ed alla verginità. Entrata nel Tempio,
Leila scopre di essere innamorata di Nadir e fa quello che due ragazzi
innamorati usano fare. Vengono scoperti sotto le lenzuola e denunciati. Ma
proprio Zurga, memore che Leila (quando era bambina lo ho fatto nascondere
nella propria capanna salvandolo da nemici che lo inseguivano), li fa scappare
dal rogo sacro mettendo a fuoco l’intero villaggio. Lelia e Nadir fuggono
grazie al compiacente Oceano Indiano, ma Zugar finisce alle fiamme. Questa
favola sentimentale affascinò il venticinquenne Georges Bizet, il quale aveva
già una vita affettiva ed erotica abbastanza complicata.
Considerata il suo primo capolavoro operistico, Les
Pêcheurs de Perles, opera esotica, spesso incompresa e dalla vita piuttosto
travagliata, viene considerata dalla critica moderna importante tanto quanto la
più nota Carmen. Viene riproposta dal San Carlo nella sua versione in
lingua originale (non nella consueta tradizione ritmica italiana), sarà in
scena dal 16 al 25 ottobre. La produzione parte dal Teatro Verdi di Trieste e
si è vista anche a Udine. Sembra - ma in questi anni di crisi finanziaria il
dubitativo è d’obbligo - che viaggerà anche verso altri teatri. Les Pêcheurs de
Perles venne accolta piuttosto freddamente quando nel 1863 venne presentata al
Théâtre Lyrique di Parigi. Bizet allora era relativamente poco noto nel mondo
musicale francese. Ebbe un grande successo pochi anni dopo la morte del
compositore e restò nei cartelloni (in Italia in traduzione ritmica) sino ad
essere riesumata dalla Scala nel 1938. Risponde allo stile orientaleggiante di
moda in quegli anni.
E’ bene che in questi anni la si stia riscoprendo. La
partitura è percorsa da affascinanti melodie – come il duetto tra tenore e
baritono al primo atto e l’aria di bravura Je crois entendre encore.
Favorita da tenori come Caruso, Gigli, Simoneau, Kraus e Getta, viene
raramente messa in scena per le difficoltà vocali della parte di Nadir. Dmitry
Korchak mostra di essere oggi, con Juan Diego Flórez e Juan Francisco
Gatell, uno dei rari tenori in grado di dar voce a Nadir. Ottimo anche lo
Zungar di Dario Solari, mentre la Lelia di Patricia Ciofi ha avuto, la sera
della prima una sbavatura nell’aria del primo atto per riprendersi nei
successivi (anche se non ha più la tessitura di alcuni anni fa: ha cantato
troppe Traviata e la voce le si è ispessita ). Bravi Gabriele
Ferro e Salvatore Caputo nel dirigere orchestra e coro. Di ordinaria
amministrazione la coreografia di Annarita Pasculli (anche a ragione dei
modesti costumi delle danzatrice). Efficace, ed economiche, le scene unica di
Giorgio Ricchelli: una grande spiaggia bianca, ruderi di un tempio e mare in
lontananza. Tradizionale la regia di Fabio Sparvoli.
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