lunedì 8 ottobre 2012

IL FESTIVAL VERDI È PROPRIO AL VERDE in Il Velino 8 ottobre



IL FESTIVAL VERDI È PROPRIO AL VERDE

anteprima
Edizione completa Edizione completa
Roma - Gianandrea Gavazzeni ha sempre ritenuto che ogni sera in ogni città importante del mondo si celebra Verdi mettendo in scena uno dei suoi capolavori: quindi, inutile organizzare un Festival perché c’è poco da riscoprire (come nel caso di Rossini o Donizetti) e tutti innovano (ad esempio, si pensi alle bellissime edizioni di “Traviata” in programma da anni a Berlino e Stoccolma e mai accolte in un teatro italiano). Il Parlamento italiano ha dato ragione a Gavazzeni, escludendo il Festival Verdi da quelli di ‘rilevanza internazionale’ che riceveranno contributi speciali. Si può essere d’accordo o meno con queste affermazioni e queste decisioni ma questo ottobre 2012 sarebbe stato meglio dare un sabbatical al buon Peppino poiché un Festival così non se lo meritava proprio.


Circa otto anni fa è stato iniziato un progetto per rappresentare versioni D.O.C. di tutte le opere di Verdi in occasione dell’ormai imminente bicentenario; quindo gli allestimenti sarebbero stati presentati in un cofanetto di DvD. Nel contempo, altre case editrici lanciano cofanetti verdiani sul mercato. Alcuni sponsor si sono ritirati. E’ cambiata amministrazione a Parma. E’ giunto a scadenza il Sovrintendente e Direttore Artistico; il nuovo team è stato nominato a Festival iniziato e presenterà le linee guida del ‘suo’ programma il 10 ottobre. Già si mormora, in quel di Milano, che tanto Direttore Esecutivo quanto Direttore Artistico vedono Parma come una scampagnata per arrivare nel 2015 alla Scala.

L’aspetto più evidente è che Verdi e al verde; quindi, si deve contentare di cosa passa il convento ai monaci privi di sostanze. Il bravo ufficio stampa dirama ogni giorno comunicati densi di speranze sul presente e sul futuro delle attività in terre verdiane in memoria del Maestro ma non dispone neanche di programmi di sala da offrire ai critici accreditati.


In breve, per un mese, il Festival prevede due opere: Rigoletto e La Battaglia di Legnano, il solito Requiem e concerti di ogni genere (pure jazz) tanto per riempire il calendario. Il vostro chroniqueur non ha ascoltato Rigoletto in quanto presentato nella stessa edizione messa in scena tre anni fa, a sua volta un polveroso remake (con il settantenne Nucci) di uno spettacolo di Samaritani di un quarto di secolo fa.

E’ invece andato, il 6 ottobre, alla prima de La Battaglia di Legnano. Nonostante numerosi invitati , c’erano file di platea e palchi vuoti. Aspetto inconsueto per il Regio di Parma. La Battaglia di Legnano è stata , composta da Verdi (su un pessimo libretto di Cammarano) nei mesi in cui si preparava la nascita della breve Repubblica Romana del 1849. E’ l’unica opera veramente patriottica di un Verdi che disdegnava la politica. E’ un lavoro minore ma che ha in nuce temi importanti della poetica del compositore : l’amicizia virile, la famiglia. Mostra notevole maestria nella gestione del coro.

Emerge da un lungo letargo a ragione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Le ultime edizioni che si ricordano sono quella romana del 1983 e quella del circuito emiliano del 1999 ed una recente a Trieste. Viene di norma associata a celebrazioni; dopo la prima assoluta al Teatro Argentina il 27 gennaio 1849 (e uno strepitoso successo per un mese), riapparve un paio di volte alla fine dell’Ottocento (subito dopo la breccia di Porta Pia), nel 1916 (Prima Guerra Mondiale) con interpolazioni di Gabriele D’Annunzio, nel 1951 (centenario della Seconda Guerra d’Indipendenza) e nel 1961 (centenario dell’unità d’Italia). Poco rappresentata all’estero - ne ricordo una messa in scena, con regia vagamente ironica, negli Usa degli Anni Settanta - Era di repertorio a Budapest dal 1970 al 1990, in chiave di libertà dal giogo sovietico.


La musicologia italiana la considera un passo indietro nello sviluppo di un Verdi che aveva già prodotto capolavori come “Macbeth” e “Ernani”. Il dramma - peraltro (spe1814 - è inesistente: un triangolo amoroso in un quadro storico di maniera. Pur se la Repubblica Romana avrebbe costretto il Papa a scappare a Gaeta non c’è segno di anti-clericalismo. Musicalmente, a una buona compatta overture, fanno seguito quattro brevi atti in cui cabalette amorose si alternano a cori enfatici.

L’anno scorso si è dato atto al Teatro dell’Opera di Roma di avere trattato egregiamente, anzi nobilitato, questo “pastiche”. In primo luogo, già il tema spruzza patriottismo da ogni nota che la regia (Ruggero Cappuccio; scene e costumi di Carlo Salvi), invece, di forzare la mano, situa la vicenda in un imprecisato Novecento all’interno di un museo in restauro, dove battaglie e amplessi amorosi sono nelle tele e nelle statue su cui i restauratori lavorano; quindi, niente castelli, chiese e campi di battaglia di cartapesta. Il pubblico pare avere gradito questa scelta. In secondo luogo. Pinchas Steinberg (maestro concertatore) e Roberto Gabbiani (direttore del coro) hanno tenuto serrati gli aspetti musicali, evitando enfasi e dando tempi ben modulati, ma tesi, alla partitura (i quattro atti sono divisi da un unico intervallo).

In terzo luogo, un cast vocale di grande livello. Ha trionfato il giovane tenore coreano (dalla perfetta dizione italiana) Yonghoon Lee sin dalla cavatina iniziale al commovente addio alla vita finale.

A Parma ,invece, la regia , le scene ed i costumi di Pier Luigi Pizzi sono un remake dell’edizione che firmò a Roma nel 1983 e, trent’anni dopo, hanno tutto il sapore di minestra riscaldata. In buca non c’è Pinchas Steinberg ma Boris Brott, con piglio enfatico , quasi bandistico (specie nella overture), e con difficoltà nel trovare equilibrio con il palcoscenico.


Ottimo, come sempre, il coro guidato da Martino Faggiani. Molto buono William Corrò nel breve ruolo di Federico Barbarossa- Il baritono Ghezim Myshketa è gradualmente migliorato nel corso dello spettacolo. I due protagonisti o non erano in una buona serata o devono ancora crescere prima di affrontare questi ruolo: in Verdi gli acuti non vanno mai strillati, ma temperati da buon fraseggio e mezza voce e per il soprano (spesso il ruolo è affidato ad un mezzo) accompagnati dalla capacità di discendere a tonalità gravi. Il Regio non luogo per saggi di fine corso.


Il pubblico ha applaudito calorosamente. I tempi sono davvero cambiati. Nelle due sponde del torrente. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 08 Ottobre 2012 10:20
facebook_icontwitter_iconokno_iconsegnalo_icondigg_icon

Nessun commento: