Ottobre è tradizionalmente il
mese delle celebrazioni verdiane,
almeno a Parma e nelle terre
in cui il compositore nacque,
crebbe e decise di vivere (a Villa
Sant’Agata) gran parte della sua
avventura umana. Giuseppe Verdi
è considerato, a torto o a ragione,
in tutto il mondo come una
figura chiave del Risorgimento, il
movimento di unità nazionale che
nel diciannovesimo secolo, portò
alla formazione del Regno d’Italia.
Pure se le sue opere sono spesso
contrassegnate da una generale
sfiducia nei confronti della politica,
i loro libretti e, soprattutto, la loro
musica infiammavano gli animi di
tutti i ceti sociali e sono state elemento
fondante non solo delle tre
Guerre d’indipendenza, ma anche
della Prima guerra mondiale con
cui si completò l’unità della nazione.
Le opere verdiani erano la vox
populi nel Paese che alcuni secoli
prima era stato la patria della
“musa bizzarra ed altera” (termine
calzante con cui il musicologo
tedesco Herbert Lindenberger ha
chiamato l’opera lirica). Le opere
di Verdi sono anche le più rappresentate
al mondo (ben 3.020 rappresentazioni
nelle stagioni 2007-
2008/2011-12 secondo il censimento
effettuato da Operabase,
con un forte distacco rispetto alle
2.410 di Mozart, alle 2.294 di
Puccini e alle 1.292 di Wagner,
ossia gli altri compositori in testa
alla classifica). Di conseguenza,
Verdi è, di fatto, il più importante
ambasciatore dell’Italia e della sua
cultura nel resto del mondo.
Eppure il bicentenario della sua
nascita rischia di essere contrassegnato,
proprio nel Paese dove è
nato e ha operato, da celebrazioni
povere e prive della risonanza
internazionale che meriterebbero.
Con l’eccezione del Teatro alla
Scala e del Teatro dell’Opera di
Roma (che hanno messo in cartellone
alcune nuove produzioni),
gran parte degli altri teatri tirano
fuori dai loro magazzini allestimenti
vecchi e polverosi. Soprattutto,
il Festival Verdi – che ogni ottobre
riempiva Parma e le terre verdiane
di turisti da tutto il mondo – è
virtualmente defunto. Erano corse
voci di un programma articolato su
tre nuovi allestimenti – Otello, La
battaglia di Legnano, Don Carlo
(nella versione detta “di Reggio
Emilia” in italiano ma in cinque
atti, quella che lo stesso Verdi
considerò “definitiva”), nonché
una serie di concerti dell’Orchestra
del Teatro Regio diretta da Yury
Temirkanov e – come ormai prassi
– la presentazione in brevi concerti
delle arie e dei cori salienti di tutte
le altre opere verdiane. Alla scadenza
contrattuale del 30 giugno,
il sovrintendente non è stato rinnovato.
Non ne è stato nominato
uno nuovo, ma è stato lanciato
un concorso internazionale (il cui
espletamento richiederà alcuni
mesi). Il sindaco di Parma – della
lista Cinque Stelle – ha annunciato
un programma articolato sulla
ripresa di un vecchio allestimento
di Rigoletto firmato da Pierluigi Samaritani
(defunto nel 1994) con il
settantenne Leo Nucci come protagonista
e una nuova produzione
di La Battaglia di Legnano con la
regia dell’ottantaduenne Pier Luigi
Pizzi, bilanciata dalla direzione
musicale del venticinquenne Andrea
Battistoni e da un cast vocale
giovane e in gran misura non italiano.
Questo modesto programma
viene integrato da un concerto
“verdiano” il 10 ottobre, il giorno
del 199simo compleanno del
compositore. Non solo, l’orchestra
del Teatro Regio di Parma (di cui è
formalmente direttore Temirkanov)
è di fatto dismessa e sostituita
con la sinfonica Toscanini (per
anni, ma non più da un lustro,
guidata da Lorin Maazel). Non c’è
ancora segno del programma per
il 2013, anno del bicentenario, in
cui si sarebbe dovuta completare
la registrazione dell’integrale verdiana
in una confezione speciale
del Teatro Regio. Gli artisti di qualità,
come è noto, vengono ingaggiati
con due-tre anni di anticipo.
Il Festival Verdi non è stato incluso
tra quelli “di rilievo internazionale”
che avranno supporto speciale
dallo Stato. Povero Peppino, non
te lo meritavi!
mese delle celebrazioni verdiane,
almeno a Parma e nelle terre
in cui il compositore nacque,
crebbe e decise di vivere (a Villa
Sant’Agata) gran parte della sua
avventura umana. Giuseppe Verdi
è considerato, a torto o a ragione,
in tutto il mondo come una
figura chiave del Risorgimento, il
movimento di unità nazionale che
nel diciannovesimo secolo, portò
alla formazione del Regno d’Italia.
Pure se le sue opere sono spesso
contrassegnate da una generale
sfiducia nei confronti della politica,
i loro libretti e, soprattutto, la loro
musica infiammavano gli animi di
tutti i ceti sociali e sono state elemento
fondante non solo delle tre
Guerre d’indipendenza, ma anche
della Prima guerra mondiale con
cui si completò l’unità della nazione.
Le opere verdiani erano la vox
populi nel Paese che alcuni secoli
prima era stato la patria della
“musa bizzarra ed altera” (termine
calzante con cui il musicologo
tedesco Herbert Lindenberger ha
chiamato l’opera lirica). Le opere
di Verdi sono anche le più rappresentate
al mondo (ben 3.020 rappresentazioni
nelle stagioni 2007-
2008/2011-12 secondo il censimento
effettuato da Operabase,
con un forte distacco rispetto alle
2.410 di Mozart, alle 2.294 di
Puccini e alle 1.292 di Wagner,
ossia gli altri compositori in testa
alla classifica). Di conseguenza,
Verdi è, di fatto, il più importante
ambasciatore dell’Italia e della sua
cultura nel resto del mondo.
Eppure il bicentenario della sua
nascita rischia di essere contrassegnato,
proprio nel Paese dove è
nato e ha operato, da celebrazioni
povere e prive della risonanza
internazionale che meriterebbero.
Con l’eccezione del Teatro alla
Scala e del Teatro dell’Opera di
Roma (che hanno messo in cartellone
alcune nuove produzioni),
gran parte degli altri teatri tirano
fuori dai loro magazzini allestimenti
vecchi e polverosi. Soprattutto,
il Festival Verdi – che ogni ottobre
riempiva Parma e le terre verdiane
di turisti da tutto il mondo – è
virtualmente defunto. Erano corse
voci di un programma articolato su
tre nuovi allestimenti – Otello, La
battaglia di Legnano, Don Carlo
(nella versione detta “di Reggio
Emilia” in italiano ma in cinque
atti, quella che lo stesso Verdi
considerò “definitiva”), nonché
una serie di concerti dell’Orchestra
del Teatro Regio diretta da Yury
Temirkanov e – come ormai prassi
– la presentazione in brevi concerti
delle arie e dei cori salienti di tutte
le altre opere verdiane. Alla scadenza
contrattuale del 30 giugno,
il sovrintendente non è stato rinnovato.
Non ne è stato nominato
uno nuovo, ma è stato lanciato
un concorso internazionale (il cui
espletamento richiederà alcuni
mesi). Il sindaco di Parma – della
lista Cinque Stelle – ha annunciato
un programma articolato sulla
ripresa di un vecchio allestimento
di Rigoletto firmato da Pierluigi Samaritani
(defunto nel 1994) con il
settantenne Leo Nucci come protagonista
e una nuova produzione
di La Battaglia di Legnano con la
regia dell’ottantaduenne Pier Luigi
Pizzi, bilanciata dalla direzione
musicale del venticinquenne Andrea
Battistoni e da un cast vocale
giovane e in gran misura non italiano.
Questo modesto programma
viene integrato da un concerto
“verdiano” il 10 ottobre, il giorno
del 199simo compleanno del
compositore. Non solo, l’orchestra
del Teatro Regio di Parma (di cui è
formalmente direttore Temirkanov)
è di fatto dismessa e sostituita
con la sinfonica Toscanini (per
anni, ma non più da un lustro,
guidata da Lorin Maazel). Non c’è
ancora segno del programma per
il 2013, anno del bicentenario, in
cui si sarebbe dovuta completare
la registrazione dell’integrale verdiana
in una confezione speciale
del Teatro Regio. Gli artisti di qualità,
come è noto, vengono ingaggiati
con due-tre anni di anticipo.
Il Festival Verdi non è stato incluso
tra quelli “di rilievo internazionale”
che avranno supporto speciale
dallo Stato. Povero Peppino, non
te lo meritavi!
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