DI GIUSEPPE
PENNISI
La sfida (difficile) di una crescita inclusiva
ra i Consigli Europei più recenti quello del 18-19 ottobre verrà ricordato per la concitata preparazione negli ultimi giorni prima dell’appuntamento. Prassi vuole che il comunicato finale venga essenzialmente stilato con grande anticipo. In queste ore le diplomazie dei 27 (ed ancora di più quelle dei 17 dell’Eurozona) stanno faticando quattro camice per mettere a punto un nuovo testo con qualche
omissis da riempire – come di consueto – all’ultimo minuto. L’assemblea del Fondo monetario e della Banca mondiale hanno infatti cambiato, se non l’ordine del giorno, l’enfasi sui vari punti dai lavori.
In breve, l’idea di base sarebbe stata quella di trattare alcuni temi di interesse immediato (Grecia, Spagna, bilancio preventivo delle istituzioni comunitarie per il 2013) e di pagare i consueti omaggi verbali alle politiche di crescita prima di affrontare i temi del rapporto del presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy. Ora, invece, sono le politiche di crescita ad avere le luci della ribalta puntate. A Tokyo è stato detto a chiari toni (molto duri i Brics) che se «l’Europa non si dà una regolata per riprendere a crescere», il mondo sarà nei guai: l’Europa è stata presentata non come il «grande malato» (in quanto ancora tale non è) ma come l’«imputato» di un rallentamento dell’economia mondiale che grava soprattutto sulle fasce più povere dei Paesi a basso reddito.
Possono Ue ed Eurozona essere la determinante principale del ciclo economico mondiale? A Washington e non solo, si afferma che (con il 25% del Pil mondiale l’Ue e con il 20% l’Eurozona) il ciclo economico nel Vecchio Continente non può non incidere su quelli degli altri. Anche gli «emergenti», i cui tassi di crescita, pur se ancora contenuti, sono in netta frenata. Quindi, le politiche di crescita, o soprattutto di una «crescita inclusiva» tale da favorire le fasce più fragili, saranno la sostanza del vertice, unitamente a misure di breve periodo per dilazionare (di due anni) gli impegni della Grecia, nonché vedere come affrontare il nodo delle banche spagnole: quanto più si ritarda la richiesta di aiuti tanto più si aggrava il costo per la Spagna (a ragione degli alti tassi d’interesse). Il problema di fondo è come conciliare una politica di crescita con il Fiscal Compact : la prima richiede misure espansioniste di finanza pubblica (quelle monetarie hanno sino ad ora avuto poco effetto), il secondo è fortemente restrittivo. Non è da escludersi, però, che con questo vertice, l’Europa faccia gli equilibrismi giuridici necessari per cambiare marcia. Ed il rapporto Van Rompuy? Riceverà molto spazio nel comunicato finale unitamente a grandi dichiarazioni di principio e poche decisioni concrete.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
l’analisi
L’Ue avrà un ruolo decisivo nel sancire la fine della recessione mondiale
La sfida (difficile) di una crescita inclusiva
ra i Consigli Europei più recenti quello del 18-19 ottobre verrà ricordato per la concitata preparazione negli ultimi giorni prima dell’appuntamento. Prassi vuole che il comunicato finale venga essenzialmente stilato con grande anticipo. In queste ore le diplomazie dei 27 (ed ancora di più quelle dei 17 dell’Eurozona) stanno faticando quattro camice per mettere a punto un nuovo testo con qualche
omissis da riempire – come di consueto – all’ultimo minuto. L’assemblea del Fondo monetario e della Banca mondiale hanno infatti cambiato, se non l’ordine del giorno, l’enfasi sui vari punti dai lavori.
In breve, l’idea di base sarebbe stata quella di trattare alcuni temi di interesse immediato (Grecia, Spagna, bilancio preventivo delle istituzioni comunitarie per il 2013) e di pagare i consueti omaggi verbali alle politiche di crescita prima di affrontare i temi del rapporto del presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy. Ora, invece, sono le politiche di crescita ad avere le luci della ribalta puntate. A Tokyo è stato detto a chiari toni (molto duri i Brics) che se «l’Europa non si dà una regolata per riprendere a crescere», il mondo sarà nei guai: l’Europa è stata presentata non come il «grande malato» (in quanto ancora tale non è) ma come l’«imputato» di un rallentamento dell’economia mondiale che grava soprattutto sulle fasce più povere dei Paesi a basso reddito.
Possono Ue ed Eurozona essere la determinante principale del ciclo economico mondiale? A Washington e non solo, si afferma che (con il 25% del Pil mondiale l’Ue e con il 20% l’Eurozona) il ciclo economico nel Vecchio Continente non può non incidere su quelli degli altri. Anche gli «emergenti», i cui tassi di crescita, pur se ancora contenuti, sono in netta frenata. Quindi, le politiche di crescita, o soprattutto di una «crescita inclusiva» tale da favorire le fasce più fragili, saranno la sostanza del vertice, unitamente a misure di breve periodo per dilazionare (di due anni) gli impegni della Grecia, nonché vedere come affrontare il nodo delle banche spagnole: quanto più si ritarda la richiesta di aiuti tanto più si aggrava il costo per la Spagna (a ragione degli alti tassi d’interesse). Il problema di fondo è come conciliare una politica di crescita con il Fiscal Compact : la prima richiede misure espansioniste di finanza pubblica (quelle monetarie hanno sino ad ora avuto poco effetto), il secondo è fortemente restrittivo. Non è da escludersi, però, che con questo vertice, l’Europa faccia gli equilibrismi giuridici necessari per cambiare marcia. Ed il rapporto Van Rompuy? Riceverà molto spazio nel comunicato finale unitamente a grandi dichiarazioni di principio e poche decisioni concrete.
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l’analisi
L’Ue avrà un ruolo decisivo nel sancire la fine della recessione mondiale
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